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I 10 record del mondo che hanno cambiato la storia dell'atletica leggera

Paolo Pegoraro

Aggiornato 27/04/2020 alle 20:15 GMT+2

Dall'8.90 di Bob Beamon a Città del Messico al 9''58 di Usain Bolt a Berlino: i 10 primati del mondo che hanno cambiato il corso della storia della "regina degli sport", l'atletica leggera.

Atletica leggera record

Credit Foto Eurosport

Ci sono giorni in cui l’aria è elettrica e lascia presagire che qualcosa di assolutamente fuori dall’ordinario sia sul punto di materializzarsi. È il caso delle 10 giornate che hanno cambiato per sempre il corso dell’atletica leggera e dello sport a tutto tondo. La nostra è una selezione brutale, obietterete: non campeggiano in questa lista i prodigiosi balzi di Mike Powell e Stefka Kostadinova, il sensazionale giro di pista del Caballo Juantorena a Montreal '76 oppure l'ineguagliato 1500 di Hicham El Guerrouj al Golden Gala. Concedeteci, però, il beneficio del dubbio e dopo aver scorso la nostra top 10 diteci un po’ se ve la sareste sentita di depennare qualcuno. Si tratta di atleti che non si sono limitati a ritoccare un record, ma l’hanno raso al suolo proiettando le rispettive specialità in un’altra dimensione in un impeto di vulgar display of power, per citare un’espressione tanto cara ai fan dei Pantera.

8.90, Bob Beamon: salto in lungo

Un balzo mostruoso, irreale, inspiegabile: il 18 ottobre del 1968, ai Giochi Olimpici, Bob Beamon migliora di 55 (!) centimetri il record del mondo imperante stampando memorabile 8.90 nella finale del salto in lungo. E pensare che non avrebbe dovuto nemmeno reggersi in piedi quel giorno in pedana: già, la sera prima aveva pensato bene di affogare i suoi dolori in un oceano di tequila nel peggiore bar di Città del Messico. Ve la ricordate la scena madre di Harry ti presento Sally? “Quello che ha preso il signorino, grazie”, appositamente rivisitata. Dopo quei Giochi non supererà mai più nemmeno quota 8 metri. Volete trovare un senso a questa storia? Auguri!
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Quando Bob Beamon distrusse il record del mondo nel salto in lungo

9’’58, Usain Bolt: 100 metri

Nel 2008 ai Giochi di Pechino l'allampanato sprinter giamaicano aveva proiettato la velocità mondiale in un'altra era con sbalorditivo crono di 9’’69 transitando sul traguardo con scarpetta chiodata slacciata: negli ultimi 15 metri il suo sforzo si era per giunta convertito in un’esultanza smodata, come dopo un gol al 90esimo. Un anno più tardi Usain Bolt, senza mai staccare il piede dall’acceleratore, autografa il capolavoro di una carriera sulla pista di atletica in tartan blu dell’Olympiastadion di Berlino, ai Campionati del mondo: il 9’’58 è la cifra stilistica del fulmine di Trelawny. Provate a digitare l’espressione fastest man on earth su google: chi vi comparirà mai?
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La prima straordinaria perla di Usain Bolt nei 100 metri: la finale di Pechino 2008

10’’49, Florence Griffith-Joyner: 100 metri

È il record maledetto della regina dell’estate 1988. 16 luglio, quarti di finale dei Trials americani di Indianapolis (patria della 500 miglia, non a caso) in preparazione dei Giochi di Seoul: Flo-Jo corre i 100 metri in fantascientifico 10’’49 con vento 0.0 - nonostante le forti correnti di quel giorno - demolendo il precedente record del mondo, il 10’’76 di Evelyn Ashford. L’outift della nuova donna jet è da diva glam: body attillato che lascia scoperta una gamba, slip turchese, unghie laccate. La Griffith-Joyner si consacrerà alle Olimpiadi del 1988 ma si ritirerà dall’attività agonistica una volta calato il sipario sui Giochi, alimentando dubbi e sospetti. Nell’almanacco statistico della IAAF sotto la voce del suo record campeggia la seguente scritta:
Probabilmente, fortemente assistito dal vento, ma riconosciuto come record degli Stati Uniti e del mondo.
Appena dieci anni dopo quel 10’’49 - tuttora fuori categoria per tutte le sue epigoni – Flo-Jo scomparve in tragiche e misteriose circostanze, soffocata nel sonno da una crisi epilettica. Se la sua vita fosse un film, sarebbe diretto da David Lynch e scandito dalle musiche di Angelo Badalamenti.

6.14 m, Sergey Bubka: salto con l’asta

Il nuovo fenomeno del salto con l'asta "Mondo" Duplantis ha da poco infranto il record del mondo indoor con strepitoso 6.18, ma all’aperto lo svedesino volante dovrà ancora fare i conti con il mito: il 6.14 saltato dallo "zar" Sergey Bubka non è ancora stato scalfito. 31 luglio 1994: Bubka torna in pedana dopo il buen ritiro in Svezia, in un rifugio isolato tra i boschi per smaltire lo stress e lavare l'onta della disastrosa performance ai Giochi Olimpici di Barcellona '92. Sono in molti a bollarlo come 'finito', ma il campionissimo sulla pista del Sestriere autografa la zampata d'autore: supera quota 6.14 migliorando di un centimetro il primato da lui stesso stabilito due anni prima. Tenendo fede alla promessa fatta ai figlioletti Vitalj e Sergey junior vince una Ferrari 348 decappottabile, il premio messo in palio dagli organizzatori del meeting per i recordmen del mondo, da sei anni in attesa di un padrone.

2.45, Javier Sotomayor: salto in alto

Nel 2008 il gruppo reggiano di dichiarata estrazione socialista degli Offlaga Disco Pax compose Ventrale, inno dedicato al mitico interprete di quell’arcaico stile di salto in alto Vladimir Yashchenko; un passaggio del brano recita:
L’unico fosburysta giustificato è il compagno Javier Sotomayor
Fu proprio il Gato de Limonar a portare a pieno compimento la rivoluzione Fosbury stampando l’attuale record del mondo a 2.45 in una torrida giornata del luglio 1993 sulla fidata pedana di Salamanca, con la consueta azione tanto plastica quanto elegante, felina. L’uomo del destino non poteva che provenire da Cuba.
Thränhardt, Sotomayor, Mögeburg

8.13, Jesse Owens: salto in lungo

L’eredità spirituale del leggendario Jesse Owens sono le quattro medaglie d’oro conquistate ai Giochi di Berlino 1936 sotto gli occhi di Adolf Hitler, ma forse non tutti sanno che il velocista originario dell’Alabama un anno primo infranse 6 (!) record del mondo nel giro di 45 minuti (!) al Big Teen Meet di Ann Arbor, nel Michigan. 25 maggio 1935: Jesse, indossando la storica casacca di Ohio State, dalle 15.15 alle 16.00 stabilisce i nuovi primati di salto in lungo, 220 iarde piane (valido anche per i 200 metri piani), 220 iarde a ostacoli (valido anche per i 200 metri a ostacoli) oltre a eguagliare quello delle 100 iarde. È il primo uomo di sempre a superare quota 8 metri nel lungo, migliorando di ben 15 centimetri il precedente record del giapponese Chuhei Nambu. Piccolo particolare: quel giorno non riusciva nemmeno a chinarsi per toccare le ginocchia a causa di un lancinante mal di schiena. Solo Ralph Boston il 12 agosto del 1960 (!) ritoccherà quel primato portandolo a 8.21.
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Hall of Fame, le leggende olimpiche: Jesse Owens

19’’72, Pietro Mennea: 200 metri

Dal 1979 al 1996 il record del mondo dei 200 metri non fu appannaggio di un super uomo sovietico o di un culturista americano, bensì di un minuto velocista di Barletta. Quel 19'72 fu figlio dell’aria rarefatta di Città del Messico ma soprattutto di una forza di volontà sovrumana, la stessa che un anno più tardi avrebbe consentito alla Freccia del Sud di conquistare un’impensabile medaglia d’oro olimpica. Si potrebbero versare fiumi d’inchiostro su quel primato, ma preferiamo affidarci alle parole che lo stesso Pietro Mennea riferì al giornalista Gianni Minà dopo aver tagliato il traguardo della finale delle Universiadi, in quell'indimenticabile 12 settembre del 1979:
Sono undici anni che vado alla ricerca di un risultato del genere: adesso anche io sono primatista del mondo! Io, un ragazzo del Sud senza piste, sono riuscito a fare il record del mondo, togliendolo forse alla persona cui non volevo toglierlo, cioè al famoso Tommie Smith, il quale ha detto che questo sport è umile e io sono partito con umiltà arrivando a stabilire questo record!
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12 settembre 1979: il giorno in cui Mennea diventò leggenda

19’’32, Michael Johnson: 200 metri

Il 1996 fu l'anno in cui Michael Johnson passò dalle etichette di "Forrest Gump", "Soldatino di piombo" e "Papero" a quelle di "Superman" o de "L'uomo con le scarpette d'oro". Lo prendevano in giro per via di quello stile di corsa inusuale contraddistinto da busto eretto e braccia mosse alla stregua di stantuffi: il 1° agosto nella finale olimpica dei 200 metri ad Atlanta stupì il mondo con un 19''32 da marziano sbarcato quel giorno sulla terra per puro caso. Il texano classe 1997 si era già impadronito del record di Mennea fermando il crono a 19''66 il precedente 23 giugno, sempre ad Atlanta, ma ai Giochi Olimpici confezionò il capolavoro superando i 37 km/h divelocità media e facendo segnare un irreale 9''20 nei secondi 100 metri. È il primo (e finora unico) atleta a potersi fregiare della doppietta 200 e 400 nella stessa edizione di un'Olimpiade: successe, manco a dirlo, ad Atlanta.
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Hall of Fame, le leggende olimpiche di Atlanta 1996: Michael Johnson

46’’78, Kevin Young: 400 metri hs

C’è qualcosa di beamonesco anche nella traiettoria sportiva di Kevin Young, primo uomo ad abbattere il muro dei 47 secondi nei 400 ostacoli. È forse il nome meno altisonante della nostra rassegna, eppure l’atleta californiano fu capace di “borseggiare” il record del mondo a Sua MaestàEdwin Moses grazie allo stratosferico 46’’78 della finale olimpica di Barcellona. Signoreggiò la specialità nel biennio 1992-1993 laureandosi campione mondiale a Stoccarda, ma prima e dopo quella celestiale parentesi navigò sostanzialmente nell’anonimato. Ci sono voluti 26 anni perché un atleta tornasse sotto i 47 secondi: il suo primato mondiale del 1992, tuttavia, resiste e più passa il tempo più assume contorni mistici. E pensare che quel giorno inciampò sull’ultimo ostacolo ed esultò prima di tagliare il traguardo! Del resto nel 1992 aveva già capito tutto attaccando dei post-it sulle puntine delle chiodate con scritto: “46.89”. Stupì perfino se stesso.
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L'irreale 46''78 stampato da Kevin Young nella finale olimpica dei 400 hs di Barcellona '92

43’’03, Wayde van Niekerk: 400 metri

I 400 metri sono stati ribattezzati "Il giro della morte" e mai definizione risultò più azzeccata. Wayde van Niekerk si aggiudicò la finale mondiale del 2015 ma finì dritto in ospedale: collassò a terra dopo aver tagliato il traguardo. Un anno dopo si presentò ai nastri di partenza della finalissima olimpica di Rio privo dei favori del pronostico, tanto che il crono tutt'altro che eccezionale fatto registare in semifinale gli costò l'ottava corsia. Parti, dunque, davanti a tutti conducendo la gara: il problema, per gli avversari, è che non lo raggiunsero mai! Stavolta nessuno svenimento al traguardo, ma solo l'incredulità mista a sbigottimento per lo stratosferico record mondiale - sottratto a Michael Johnson 17 anni dopo - che gli valse la palma di miglior atleta maschile dell'Olimpiade. Un momento un po' così, tra il beamonesco e il boltiano.
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#Beattherecord: il grandissimo record di van Nierkerk sui 400 a Rio 2016

Fuori categoria: Jonathan Edwards, salto triplo

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