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Il lato strano della Coppa Italia, terra di conquista per le provinciali

Daniele Fantini

Aggiornato 14/02/2017 alle 20:52 GMT+1

Da quando è stato introdotto il formato delle FinalEight, la Coppa Italia ha vissuto grandi storie di squadre provinciali, underdog o sfavorite: dal 2006 a oggi, Napoli e Avellino hanno vinto i loro primi e unici trofei, Treviso ha chiuso con il canto del cigno, e Sassari ha innescato il ciclo del Triplete, dimostrando come fosse possibile vincere con il penetra-e-scarica e il tiro da tre.

La Coppa Italia è una competizione splendida. Si gioca per tre giorni consecutivi, arrivi alla fine che sei stanco morto, ma è lì che si vede la squadra che ha veramente voglia e veramente fame di vincere. È diversa dal campionato: lì devi scendere in campo e vincere, subito – Richard Mason Rocca.
Sì, è una citazione riesumata da un’intervista vecchiotta, datata 2009, ma ancora più attuale che mai. Nel tratteggiare il profilo della sua visione della Coppa Italia, Mason Rocca aveva messo in luce un aspetto-chiave: “si vede la squadra che ha veramente voglia e veramente fame di vincere”. E, spesso, non è la squadra che tutti si aspettano sia.
La Coppa Italia, nel basket, è sempre stata tradizionalmente il terreno di battaglia delle provinciali. O meglio, il terreno di conquista. Dall’introduzione delle FinalEight, datata 2000, l’albo d’oro presenta molti aspetti curiosi: dopo il dominio iniziale di Treviso e Virtus Bologna, dal 2006 si nota una netta inversione di tendenza. In quell’anno vinse Napoli, seguita da Treviso, Avellino e il bis di Sassari, successivo alla cinquina della Montepaschi Siena, poi ridotta a tre con la revoca degli ultimi due titoli per le note vicende legate ai falsi in bilancio della gestione Minucci. In questi anni, la Coppa Italia ha sempre raccontato grandi storie, quasi fiabesche, slegate dal contesto più classico e tradizionale della pallacanestro della nostra Serie A.

Le prime e uniche volte di Napoli e Avellino

Il Basket Napoli, la società poi fallita nel 2009 dopo il passaggio di consegne da Maione a Papalia, ha messo in bacheca un solo trofeo nella sua storia: la Coppa Italia del 2006. E lo stesso vale per la Scandone Avellino:la Coppa Italia del 2008. Per certi versi, furono due storie molto simili, e non soltanto per il riemergere del Sud nello scacchiere cestistico della penisola, ma perché coronarono due cavalcate speciali di due squadre che, in quel momento, avevano, per coesione, carattere, fuoco interiore e voglia di vincere, qualcosa in più (anzi, molto più di un semplice qualcosa...) rispetto alle avversarie più quotate. Entrambe avevano una superstar di livello superiore per il nostro campionato, due folletti con qualità offensive pazzesche, capaci di spaccare le difese, realizzare dal nulla canestri decisivi nei momenti importanti delle partite, e trascinare compagni, pubblico e semplici appassionati. Perché di fronte a Lynn Greer e Marques Green, era d'obbligo togliersi il cappello, a prescindere dalla fede personale.
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Carpisa Napoli Coppa Italia 2006

Credit Foto Eurosport

Nel 2006, Napoli chiuse quarta in regular-season, venendo poi eliminata dalla Fortitudo in gara-5 delle semifinali playoff: Greer viaggiò a 22.6 punti e 3.3 assist di media, con il 53% da due e il 48.3% da tre. L’anno successivo sbarcò in NBA, indossando la maglia dei Milwaukee Bucks. Marques Green, per certi versi, era ancora più impressionante: quel “bambino” di 165 centimetri con i calzoncini che arrivavano alle ginocchia, capace di intrufolarsi tra giocatori di due metri e scagliare triple da centrocampo con una naturalezza spaventosa: a vederlo giocare, faceva quasi tenerezza, ma, in realtà, sul campo era il più duro e spietato di tutti. Oggi, a 35 anni, è ancora lì, a fare il generale in campo con i suoi 165 centimetri e la maglia di Avellino cucita addosso.

L’ultimo squillo di Treviso

La Coppa Italia del 2007 fu l’ultimo trofeo messo in bacheca dalla Benetton Treviso, una società che ha sempre considerato questo torneo con un occhio particolare di riguardo: Treviso è, assieme alla Virtus Bologna, la squadra che ha conquistato più volte (8) la Coppa nazionale. Quella Benetton, che la spuntò proprio sulla Virtus 67-65, cominciava a intraprendere il cammino lungo il viale del tramonto, per poi dare l’addio alla Serie A nel 2012: quell’anno, cominciato da campione in carica, chiuse all’11° posto in classifica. Seguirono poi un decimo, un quarto, un ottavo, un quinto e un undicesimo posto, con l'addio alla grande squadra di campioni di inizio millennio e il passaggio a una filosofia più prudente, parca e volta alla crescita e allo sviluppo dei giovani, un'attività da sempre praticata con grande entusiasmo alla Ghirada.
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Benetton Treviso, Coppa Italia 2007 (LaPresse)

Credit Foto LaPresse

L’emergere di Sassari

Il 2014 fu l’anno della Dinamo. In rampa di lancio da un paio di stagioni, la società di Sardara conquistò il primo trofeo della storia al Forum, pugnalando dapprima in rimonta i padroni di casa dell’Olimpia Milano, e regolando poi in serie Reggio Emilia e la Montepaschi Siena. In campionato, Sassari non riuscì a replicarsi in semifinale contro la stessa Olimpia (Milano vinse 4-2 e conquistò lo scudetto battendo poi Siena in finale), ma quella Coppa Italia servì alla Dinamo per prendere coscienza delle proprie potenzialità, innescando il Triplete dell’anno successivo, quando il club sardo vinse Supercoppa, fece il bis in Coppa Italia e trionfò per la prima volta nella storia in campionato. Il doppio successo in Coppa Italia premiò entrambe le versioni del “sacchettismo”: la prima, ancora per così dire “sperimentale”, con i cugini Diener a controllare palloni e gioco; la seconda in quella che potremmo chiamare l’apoteosi della filosofia di coach Meo, con una squadra leggera, rapida, veloce, atletica, verticale, votata al penetra-e-scarica e al tiro da tre punti, in grado di costringere continuativamente gli avversari ad adattarsi e a inseguire.
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2015, Esultanza Sassari, Final8 Coppa Italia, LaPresse

Credit Foto LaPresse

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