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Dopo Napoli e Avellino, ecco Torino: la sua Coppa Italia è il ritratto della follia

Daniele Fantini

Pubblicato 19/02/2018 alle 17:00 GMT+1

Un coach esordiente, un MVP appena sbarcato in Italia, una squadra che ha sfiorato il collasso dopo due esoneri in serie: per come è arrivato, il primo titolo della storia dell’Auxilium Torino entra di diritto nelle grandi imprese della Coppa Italia già marchiate in passato da Verona, Napoli, Avellino e Sassari.

Peppe Poeta (Auxilium Torino) solleva la Coppa Italia 2018 dopo la finale vinta contro Brescia

Credit Foto LaPresse

Alla fine, forse, era giusto (o normale) che finisse così: che fosse Torino, la più classica dei dark horse (per dirla all’americana) a mettere le mani su questa edizione folle della Coppa Italia, un torneo che ha visto saltare tre delle quattro teste di serie al primo turno e vissuto l’irreale sogno di Cantù di approdare in finale con mezzo roster di mestieranti pescati dalle minors. Se non ci sono stati prigionieri nel torneo, con tre partite finite in overtime (entrambe le semifinali comprese) e la finale decisa da un canestro a 2”4 dalla sirena con palla schizzata in campo aperto tra le mani di Sasha Vujacic, non c’è da stupirsi che quello che è il primo titolo della storia dell’Auxilium sia arrivato nella maniera più inaspettata possibile, con una squadra incredibilmente resuscitata dal grave rischio di collasso psicologico dopo gli esoneri in serie di Banchi e Recalcati.

Paolo Galbiati, campione alla prima chiamata

Eppure, Torino è riuscita a ricomporsi sistemando le tessere di un roster di grande talento ma spesso mal orchestrato grazie alla mano di Paolo Galbiati, che ha trasformato quella che sembrava tanto una “patata bollente” iniziale in una gallina dalle uova d’oro. Classe ‘84, con un passato nelle giovanili dell’Olimpia Milano e nelle minors del milanese, Galbiati ha sostanzialmente messo in bacheca il suo primo trofeo della carriera alla primissima chiamata, a meno di due settimane dalla nomina a capo-allenatore: impossibile, ma veramente impossibile, chiedere di meglio a un contesto che si è mangiato, l’uno in fila all’altro, uno dei tecnici più stimati del recente passato (Banchi, con Siena e Milano) e uno dei monumenti storici della nostra pallacanestro (Recalcati). E pensare che, in semifinale, Torino ha eliminato la Cremona di Meo Sacchetti, uno che ha scritto, in campo, le pagine più importanti della storia dell’Auxilium (fino a ieri): intendiamolo, se volete, come un passaggio di consegne. Ce n’è abbastanza per infilare la vittoria di Torino tra le grandi imprese della Coppa Italia, un capitolo aperto da Verona negli anni ‘90, e poi proseguito da Napoli nel 2006, Avellino nel 2008 e dalla Sassari che ha posto le basi per la conquista del triplete.
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Paolo Galbiati e Sasha Vujacic festeggiano la vittoria della Coppa Italia della Fiat Auxilium Torino

Credit Foto LaPresse

Una finale sulle montagne russe

Zigzagando per l’Intera stagione con una serie di alti e bassi da incubo, Torino è stata quanto più sinusoidale che mai anche in finale, partendo dai miseri 2 punti segnati nella prima metà abbondante del quarto iniziale, alle doppie rimonte riuscite proprio quando Brescia sembrava poter mettere definitivamente la testa avanti, prima con le tre triple consecutive di Nobel Boungou-Colo, protagonista quanto mai inatteso del parziale, e poi con l’alternanza degli interpreti, da Deron Washington azzoppato dai problemi di falli nei minuti in campo ma non certo nello spirito, a Peppe Poeta capace di sgusciare via in modi impossibili giocando su una gamba sola, a Valerio Mazzola autore del canestro più importante della partita, lottando a più riprese a rimbalzo offensivo, fino alla sfuriata conclusiva di Diante Garrett e Sasha Vujacic: ciondolante il primo, fumantino il secondo, ma entrambi capaci di accendersi come grandi campioni dopo essere stati spenti a lungo nel marasma generale.
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Deron Washington in azione marcato da Marcus Landry durante la finale di Coppa Italia 2018 tra Fiat Auxilium Torino e Germani Basket Brescia

Credit Foto LaPresse

Vander Blue, l'mvp catapultato quasi per caso

Ma per concludere il cerchio della schizofrenia, è quasi scontato trovare Vander Blue come mvp del torneo: alla sua prima vera esperienza fuori dagli States, alla sua prima partita con Torino, catapultato in corsa per rimpiazzare il problematico Lamar Patterson, Blue si è ritrovato spesso a risolvere i momenti di impasse offensiva dell’Auxilium, scardinando Cremona a più riprese in semifinale e reggendo quasi interamente la squadra nel primo tempo contro Brescia. Nota per chi non segue le minors americane: Blue è un colpaccio per il nostro campionato, un “canestraro” di razza (per usare un termine caro a Mario Boni), con istinti offensivi pazzeschi, sia come tiratore che come penetratore: mvp uscente della G-League, è stato a lungo nell’orbita dei Los Angeles Lakers, vestendo il gialloviola in Summer League e con la squadra minor affiliata, i D-Fenders (ora South Bay).
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Vander Blue (Fiat Auxilium Torino) festeggia la vittoria del titolo di MVP della Finale di Coppa Italia 2018

Credit Foto LaPresse

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