Sport popolari
Tutti gli sport
Mostra tutto

Il camaleontismo di Walter De Raffaele è sempre più vincente e sempre meno celebrato

Marco Arcari

Aggiornato 17/02/2020 alle 17:17 GMT+1

La Coppa Italia 2020 rappresenta il quarto trofeo per il tecnico livornese alla guida dell'Umana Reyer Venezia. Un gruppo senza eguali, plasmato da un allenatore che fa del camaleontismo il suo marchio di fabbrica e la sua arma vincente.

Walter De Raffaele head coach of Umana talks over during the LegaBasket of Serie A match between Virtus Segafredo Bologna and Reyer Umana Venezia at PalaDozza on March 02, 2019 in Bologna

Credit Foto Getty Images

Sono passate poche ore dalla conquista dell’ennesimo trofeo, il quarto, da parte di coach De Raffaele alla guida dell’Umana Reyer Venezia. La Coppa Italia 2020 si aggiunge infatti ai 2 Scudetti (2016-17 e 2018-19) e alla FIBA Europe Cup del 2017-18. In sostanza, da quando il livornese è capo allenatore della formazione orogranata, in Laguna si è festeggiato e celebrato almeno un trofeo a stagione. E scriviamo almeno, perché mai come oggi, il più classico dei giorni dopo”, vengono a decadere tutte le parole spese su Venezia prima della kermesse pesarese.
Un ciclo sportivo considerato chiuso, incapace di poter fornire ancora risposte a uno dei migliori allenatori italiani in circolazione. Complici gli altalenanti risultati in campionato, con ben 8 sconfitte nel girone d’andata, e l’incapacità critica di valutarne debitamente la grande EuroCup fin qui disputata. Una squadra arrivata a Pesaro quasi entrando dalla porta sul retro del tabellone, ottava com’era, quanto a testa di serie. Eppure, capace di superare, in rapida successione, i favoriti d’obbligo, la corazzata milanese e il team che aveva espresso la miglior pallacanestro fino all’atto conclusivo della manifestazione.
picture

Il momento più atteso dalla Reyer Venezia: arriva la Coppa Italia e scatta la festa

I numeri del trionfo

65 punti concessi di media tra semifinale e finale. 33.5% al tiro concesso alle avversarie in tutte le Final Eight (27/75 contro Bologna, 21/63 contro Milano, 18/59 contro Brindisi). Coralità e individualismo al tempo stesso, se è vero che in ognuna delle partite disputate Venezia ha beneficiato di 4 giocatori in doppia cifra per punti realizzati. 17, ossia l’high di un giocatore orogranata, Mitchell Watt, in una singola sfida, peraltro quella decisiva per l’assegnazione del trofeo (Stefano Tonut si è fermato a 16 contro Bologna). 100% di dubbi sull’assegnazione del riconoscimento di MVP. Non tanto perché Austin Daye non sia un fenomeno e non lo meritasse, anzi. Quanto perché insieme a lui almeno altri 4 giocatori hanno certificato le loro qualità, anzitutto morali e mentali, e la bontà del percorso di crescita, in cui De Raffaele è stato sicuramente mentore. Stefano Tonut, premiato come miglior difensore, Mitchell Watt, autore di 2 doppie-doppie e vero e proprio "king of the area”, Andrea De Nicolao, indiscutibilmente miglior playmaker italiano su piazza, e Jeremy Chappell, collante imprescindibile per le due fasi di gioco di questa Venezia. Il tutto, in una pallacanestro che De Raffaele sta modificando a 360°, non solo per la fase di non possesso. Prendiamo ad esempio le qualità di Venezia nel costruire punti dal mid-range, una terra pressoché dimenticata a causa dell’inflazione galoppante nel tiro da 3. Oppure la capacità di sopperire a qualche turnovers di troppo lavorando benissimo con aiuti e recuperi, ma anche leggendo al meglio l’evoluzione del contropiede avversario per non lasciare quasi mai un sovrannumero che possa rivelarsi fatale.
picture

Walter De Raffaele si gode la Coppa: "Gruppo dall'enorme forza morale"

Il camaleontismo

Il termine, di politico, ha stavolta davvero poco. Semmai deve essere adattato, su misura, a una pallacanestro che in molti, erroneamente, continuano a considerare monolitica. Sbagliando, si continua infatti a ritenere che Venezia viva e muoia di tiro da 3 punti, demistificando invece quella che è una splendida realtà. Transizione, spaziature, riempimento del pitturato, capacità di attaccare i ritardi nelle rotazioni difensive e di creare così una circolazione di palla meravigliosa per liberare il miglior tiro possibile, a prescindere da quale giocatore lo prenderà. E poi quella splendida, abbacinante, alternanza tra difesa a uomo e difesa a zona, capace di minare qualsiasi certezza avversaria e dare il via a parziali importanti per indirizzare ogni sfida. Ciò non sempre si traduce in una pallacanestro spettacolare e bella da vedere, con buona pace degli esteti del gioco, ma certamente forgia gli uomini, prima ancora che gli atleti. Il gruppo è sicuramente una delle armi in più a disposizione di De Raffaele, il quale l’ha plasmato a sua immagine e somiglianza: intelligente, duttile, con elevato spirito di sacrificio e abnegazione. L’esempio principe è dato dalla trasformazione di Austin Daye: da splendido solista a fenomeno sempre al servizio del gruppo, capace altresì di non snaturarsi nell’individualismo tecnico che gli permette di prendersi e realizzare tiri pesantissimi in qualsiasi occasione. Daye è però solamente la punta di un iceberg enorme e ciò lo si ricava anche da quanto dichiarato da De Raffaele post-successo:
Devo ringraziare i miei giocatori perché mi seguono in tutto. Abbiamo scelto di riconfermare il gruppo che ha vinto lo scudetto lo scorso anno, e questo è il risultato nonostante le critiche che ci hanno colpito a inizio stagione. La nostra è una società che parla poco: facciamo contare i fatti, non le parole. Stiamo facendo un grande lavoro, dando continuità in tutti questi anni, e non a caso è arrivato il quarto trofeo. Sono onesto, avremmo potuto anche perdere questa partita, ma quello che avrei ottenuto da questo torneo sarebbe stata comunque una squadra ritrovata. Questo succede quando si ha una grande connessione con i giocatori. Abbiamo scelto di dare continuità al gruppo degli stranieri, una cosa inusuale al giorno d'oggi, e di far crescere i nostri italiani, puntando sulle persone prima che sui giocatori. All'interno della squadra non c'è alcun tipo di invidia, non so se mi ricapiterà ancora di avere un altro gruppo così coeso e affiatato come questo.
Diventa chiaro, allora, quanto la sintonia tra proprietà, dirigenza e squadra sia un altro dei punti di forza di questa Umana Reyer Venezia. E ciò dà ancor più la misura del fatto che, per aprire cicli sportivi importanti e vincenti, non basta più la classica collezione di figurine, ma servono idee e programmazione. In tal senso, la società di patron Luigi Brugnaro fa scuola ormai da anni e anche questo aspetto dovrebbe consigliare calma nell'analizzare prematuramente le potenzialità e le possibilità degli orogranata nel corso della singola stagione. Poche altre squadre sono infatti capaci di sovvertire qualsiasi pronostico e di rendere completamente decentrate le valutazioni che su di essere vengono fatte, quanto lo è stata finora Venezia. E un tris tricolore, dopo quanto visto a Pesaro, è ormai decisamente agli antipodi rispetto a un'utopia...
picture

Venezia vince la prima Coppa Italia della sua storia! Gli ultimi secondi della finale

Più di 3 milioni di utenti stanno già utilizzando l'app
Resta sempre aggiornato con le ultime notizie, risultati ed eventi live
Scaricala
Condividi questo articolo
Pubblicità
Pubblicità