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Da James a Durant: non un passaggio di consegne, ma ere sovrapposte destinate a incontrarsi di nuovo

Marco Barzizza

Aggiornato 13/06/2017 alle 17:43 GMT+2

Pierce ha parlato di fine dell'era del 23 e inizio di quella del 35. Può essere così per l'anello, passato di mano, ma non per la storia che li vedrà ancora protagonisti per diversi anni.

LeBron James e Kevin Durant, Finals 2017

Credit Foto LaPresse

“Siamo all’inizio dell’era di Kevin Durant e alla fine di quella di LeBron James”. A dirlo è stato Paul Pierce al termine di gara 2 delle recenti Finals Nba, anticipando quello che tre partite dopo è stato confermato alla consegna del trofeo di Mvp al numero ‘35’ dei Golden State Warriors. Titolo vinto sì, ma sul cambio d’era andiamoci piano. La frase fa rumore – per quanto avvalorata da una serie finale da miglior giocatore -, specie per chi è sempre alla ricerca di un nuovo “migliore del mondo” e mette sempre i giocatori a paragone come fosse questo lo sport più divertente e non il basket giocato stesso; ma quanto detto da Pierce, chiamato “The Truth” (la verità, non a caso), è argomento su cui poter discutere e avere opinioni diverse. L’abbraccio e le parole di KD nei confronti di James a fine partita sembrano aver anche visivamente sancito l’ipotetico passaggio di consegne, ma nel “day after” del primo titolo assoluto per il giocatore dei Golden State Warriors, evitiamo di guardare solo al finale chiudendoci gli occhi sulla stagione di James.

Scelta simile, critiche simili

Quando LeBron James passò dai Cleveland Cavaliers ai Miami Heat nel 2010, con tanto di annuncio in diretta tv, fu massacrato da tutti per una scelta “facile”, che lo portava in una franchigia fortissima – componendo il terzetto delle meraviglie con Wade a Bosh – paragonabile ai Golden State Warriors di questa stagione, con le debite proporzioni perché questa squadra è nel complesso superiore a quegli Heat. Magliette di Cleveland bruciate dai tifosi traditi, parole dure da parte delle leggende Nba che videro quella scelta come vile, poco umile e troppo banale. La medesima situazione che ha coinvolto la scorsa estate Kevin Durant, che stufo di lottare nella Western Conference contro i più forti Warriors, si è alleato a loro, raggiungendo – a differenza di James che al primo anno perse in finale con i Dallas Mavericks – l’anello al primo tentativo. Come accadde a LeBron, anche su KD sono piovute critiche e sono state bruciate magliette dagli ex sostenitori di Oklahoma City, ma l’obiettivo (comune ai due super campioni) è stato raggiunto. Si può discutere sulla scelta, di andare ad aggiungersi a una squadra già di per sé fenomenale, ma guardandola con l’occhio del professionista che lavora una vita per quel titolo, è più che comprensibile che Kevin, al pari di James sette anni prima, abbia propeso per Golden State e per i più forti.
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Durant - James - 2017 (Getty James)

Credit Foto Getty Images

Non è un passaggio epocale

A Pierce, che parla di passaggio di consegne, di era che cambia, diciamo che siamo d’accordo fino a un certo punto. Se è infatti ammissibile che al momento, per le Finals che ha disputato, Durant ha dimostrato di essere il numero uno, va anche considerato ciò che gli sta intorno, compagni, ambiente e staff tecnico, che con Steve Kerr alla guida ha fatto un lavoro enorme per creare amalgama tra quattro All Star (Durant, Curry, Thompson, Green), facendo sì che un pallone solo bastasse per tutti. Ciò non vuole togliere valore a quanto mostrato dal 28enne di Washington, ma premia il lavoro del gruppo, senza il quale KD al titolo non sarebbe arrivato. E LeBron, in tutto ciò, dove sta? Dall’altra parte della barricata, in una squadra con altri due primi violini (Irving e Love) ma che lui stesso ha definito, a margine di gara 5, “non un super team”. La sconfitta in queste finali, dopo la rimonta della passata stagione e le precedenti sei finali raggiunte, non può far pensare a un’abdicazione, perché il fisico, la leadership e la corsa a nuovi record sono ancora l’aria che King James respira quotidianamente, quella che lo tiene più giovane di un qualsiasi altro essere umano a 33 anni.

Ere sovrapposte, destinate a incrociarsi di nuovo

Possiamo pertanto parlare di passaggio di consegne per quanto riguarda l’anello al dito e il predominio di questa stagione, ma per giudicare finita l’era di LeBron James ci vorranno ancora probabilmente altri quattro o cinque anni, se il fisico e la testa reggeranno come nelle ultime due stagioni. Il destino di questi due campioni, così diversi nello stile e nel modo di fare, si è incrociato già più volte nelle scelte e sul campo, riproponendosi in questa gara 5 come ennesimo (e speriamo non ultimo) atto di una sfida tra fenomeni planetari che hanno fatto scelte simili e che resteranno entrambi nella storia del gioco. Non ce ne voglia Paul Pierce, ma non ci sentiamo si considerare le due “ere” una in successione all’altra, bensì sovrapposte, perché non è un obbligo trovare forzatamente un migliore ma è bello pensare che come l’anno scorso LeBron dimostrò di avere qualcosa in più di Curry (eletto Mvp all’unanimità e poi sconfitto), quest’anno KD ha fatto meglio del Re, ma l’anno prossimo, o tra due, la storia potrebbe di nuovo ribaltarsi.
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