L'ultima notte di Dwyane Wade e Dirk Nowitzki: l'addio a due pionieri unici del gioco
Aggiornato 10/04/2019 alle 10:54 GMT+2
La conclusione della regular-season NBA segna anche la chiusura delle carriere di Dwyane Wade e di Dirk Nowitzki. Bandiere di Miami e Dallas, Wade e Nowitzki sono stati due pionieri del gioco moderno ma con caratteristiche uniche, e si sono consacrati giocando l'uno contro l'altro nelle Finals del 2006 e del 2011.
In un colpo solo li abbiamo persi tutti e due. Con Dwyane Wade e Dirk Nowitzki se ne vanno gli ultimi protagonisti del capitolo che ha infiammato la NBA del primo decennio del XXI secolo, un capitolo aperto con i Lakers di Shaq & Kobe, proseguito con l'affermazione della dinastia dei San Antonio Spurs e la creazione dei Big Three a Boston, macro-temi "rotti" dall'inserimento dei Bad Boys 2.0 di Detroit e, appunto, loro due: l'uomo di Miami che ha regalato un titolo a Shaq e (due) a Lebron, e il tedesco che, dopo aver perso proprio quell'anello contro gli Heat, si è poi preso un'epica rivincita cinque anni dopo.
2006, le Finals di Dwyane Wade
Già, perché i destini di Wade e Nowitzki sono andati di pari passo, intrecciandosi lungo uno storyline con tante similutidini, cominciando dall'essere stati il volto di Miami e Dallas per tutta la carriera. Perché quell'esperimento di Wade, prima a Chicago e poi con Cleveland, dirottò presto verso quella che, una volta passato in NBA, ha sempre chiamato casa. Nel 2006, quando si trovarono per la prima volta faccia a faccia in finale, Dwyane Wade si scoprì uomo. Doveva essere la grande chance di Shaquille O'Neal, vincere un titolo senza Kobe Bryant dimostrando di essere il vero giocatore alpha tra i due, ma si trasformò, invece, nella consacrazione di Flash: sotto 2-0 e con le spalle al muro in gara-3, Wade si caricò sulle spalle l'intera Miami trascinandola a quattro vittorie consecutive per ribaltare e vincere la serie, la prima nella storia della franchigia. In quelle 6 gare, Wade chiuse a 34.7 punti, 7.8 rimbalzi, 3.8 assist e 2.7 recuperi di media.
2011, le Finals di Dirk Nowitzki
Cinque anni più tardi, fu Nowitzki a salire al trono. Lui e Wade si ritrovarono di nuovo in una finale che sarebbe dovuta essere di LeBron James, ma che, in realtà, si trasformò in una delle più classiche Cinderella stories all'americana. Sfavorita ai blocchi di partenza contro i Big Three di Miami, Dallas vinse in rimonta dal 2-1 (anche qui, una prima volta...), illuminata dai 213 cm del tedesco: Nowitzki giocò una serie sontuosa, da giocatore totale (26.0 punti, 9.7 rimbalzi e 2.0 assist di media) ma allo stesso tempo leader vero, perché Dirk è sempre stato una di quelle rare superstar-operaie, sempre a disposizione della squadra per farne risaltare l'insieme. E, in quella serie, fu proprio la coralità a vincere l'antichissima battaglia con l'individualismo, ispirata da giocatori (Jason Kidd, Shawn Marion, Tyson Chandler) che hanno sempre ragionato andando oltre il proprio ego.
Due pionieri moderni ma unici nel loro genere
Con Wade e Nowitzki se ne vanno due pionieri del gioco moderno ma anche due artisti di fondamentali sempre più dimenticati nel basket di oggi. Wade è stata una delle prime combo-guard superatletiche, dotate di un mix tra fisico e talento diffuso in ogni sfaccettatura del gioco da poter virtualmente registrare una tripla-doppia ad ogni partita. Ma è stato anche un artista del mid-range game, con quel palleggio-arresto-tiro e quegli svitamenti sulla riga di fondo che il basket moderno tende a rifuggire perché, sulla carta, svantaggiosi rispetto a un tiro da tre punti o un lay-up al ferro. Già, sulla carta, perché se la mano sotto al pallone era quella di Wade, la conseguenza era spesso un fruscio di retina.
Nowitzki è stato invece il prototipo delle ali moderne, dei 4-stretch capaci di allargare il campo con il tiro da fuori, spostando il baricentro del gioco dal verniciato (e dai pivot di peso e potenza) all'arco dei tre punti. Ma i paragoni finiscono qui, perché il tedesco è stato molto più di un lungo tiratore. Nowitzki è stato un giocatore completo, un 213 capace di isolarsi in post-alto e, da lì, inventare pallacanestro: poteva mettere palla a terra con la proprietà di palleggio di un esterno ma anche tirare in svitamento sulla testa dell'avversario con quel tiro tutto suo, in fade-away su una gamba sola, marchio di fabbrica per eccellenza. Nessuno, finora, è mai riuscito a riprodurre "il tiro della cicogna" con la sua stessa efficacia, una combinazione di tecnica, senso dell'equilibrio, coordinazione e tempismo che "il tiro instoppabile".
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