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Basket, NBA: attacco alla zona, come i Lakers hanno smontato Miami

Daniele Fantini

Aggiornato 03/10/2020 alle 12:00 GMT+2

I Los Angeles Lakers si sono portati sul 2-0 nella serie delle Finals NBA grazie a un'ottima prestazione offensiva contro la zona 2-3 schierata dai Miami Heat, ultima arma a disposizione dopo gli infortuni sofferti da Adebayo e Dragic. Vediamo come i gialloviola hanno saputo esporre i punti vulnerabili della difesa che ha invece imbrigliato Boston nella finale della Eastern Conference.

LeBron James, Anthony Davis, Los Angeles Lakers focus

Credit Foto Getty Images

Dominati in area nel primo appuntamento della serie e senza Bam Adebayo da opporre alla front-line avversaria, i Miami Heat avevano una sola arma da sguainare per restare in partita in una gara-2 dai foschi presagi: arroccarsi a zona cercando di togliere il pitturato ai Lakers e scommettendo sul tiro da fuori, nella speranza di erodere certezze a uno degli attacchi meglio strutturati della Lega. Loro malgrado, non ha funzionato.
Miami è stata la prima squadra nella storia della NBA a perdere una partita delle Finals tirando con percentuali superiori al 50% da due, al 40% da tre e al 90% dalla lunetta, numeri considerati di assoluta eccellenza dagli statistici, ma non sorretti in maniera adeguata nella metacampo opposta. Il time-out accalorato di Udonis Haslem, veterano di mille battaglie e tre-volte campione NBA, ha suscitato una miriade di reazioni sui social-media sull'eccessiva leggerezza fisica e mentale degli Heat, ma la realtà dei fatti è molto distante: con questa strutturazione, Miami non può essere competitiva a questo livello.
La zona 2-3 "rivista" di Spoelstra, con le due ali sulla prima linea e i due esterni negli angoli, ha funzionato contro Boston perché i Celtics hanno risposto, a loro volta, abbassando il quintetto per allargare maggiormente gli spazi e avere cinque tiratori affidabili contemporaneamente sul campo. In altre parole, small-ball contro small-ball e totale affidamento alle percentuali al tiro, risultate però scarse in un attacco che ha finito col perdere ritmo. Ma i playoff e le serie, si sa, sono fatti di aggiustamenti, e i Lakers, studiando gli avversari, hanno preparato gara-2 alla perfezione.

Attaccare la zona: dove si va a colpire?

Invertendo le classiche posizioni di guardie e ali, la zona di Miami ha una prima linea difensiva molto forte nonostante l'inferiorità numerica contro un attacco dispari, ma espone il fianco in post-medio e sulla linea di fondo, dove ruotano giocatori giovani, inesperti e di piccola taglia come Tyler Herro, Duncan Robinson e Kendrick Nunn.
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I Lakers attaccano i punti deboli della zona dei Miami Heat in post-medio e sulla linea di fondo

Credit Foto Eurosport

I Lakers hanno saputo sfruttare alla perfezione queste zone, guidati dalle ottime letture dei loro veterani: LeBron James, Anthony Davis e Rajon Rondo (decisivo dalla panchina) hanno giocato con enorme intelligenza, mandando ripetutamente la palla in post-medio per far collassare la difesa e costruire ottimi tiri da fuori sui ribaltamenti di lato o attaccando direttamente la zona alle spalle, con triangolazioni capaci di esporne le palesi debolezze lungo la linea di fondo. In figura abbiamo provato a rendere visivi questi concetti, evidenziando le zone vulnerabili della zona di Miami: Rondo serve una palla interna a LeBron James che ha preso vantaggio fisico su Nunn in post-medio: LeBron andrà poi ad assistere il taglio di Anthony Davis sul fondo, dove Kelly Olynyk non può intervenire perché attirato in aiuto del compagno a centro-area.

Movimento di palla

Il movimento di palla, gestito da due passatori sublimi come James e Rondo (rispettivamente 9 e 10 assist), è stato estremamente fluido ed efficace: nonostante la grossa mole di conclusioni da tre punti (16/47, record per le Finals NBA), i Lakers non si sono accontentati di prendere il primo tiro buono disponibile ma hanno sempre lavorato alla ricerca del migliore possibile, come certificato dai 403 passaggi complessivi, quarto dato più alto di sempre nella storia dei playoff NBA.
Certo, 47 triple tentate sono tante anche e soprattutto perché corredate da una percentuale di realizzazione non eclatante (34%), ma se costruite nel modo giusto, sfruttando quello che concede la difesa, non danneggiano il ritmo dell'attacco. Buoni tiri contro un avversario fisicamente più debole si traducono anche in maggiori chance di rimbalzo, specialmente contro una zona che, già di per sé meno legata a responsabilità individuali di marcatura, risulta ancora più labile se fatta muovere con rapidi ribaltamenti di lato: i 16 rimbalzi offensivi, 8 dei quali raccolti dal solo Anthony Davis, hanno regalato tante seconde opportunità di tiro giocando un ruolo fondamentale nella vittoria.
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