Sport popolari
Tutti gli sport
Mostra tutto

L'obbligo di vincere dei Warriors: "Il titolo 2018 fu un ottimo lavoro ma non una gioia"

Davide Fumagalli

Pubblicato 17/05/2020 alle 15:26 GMT+2

Il general manager di Golden State riflette sugli ultimi due anello con Kevin Durant in squadre. E coach Steve Kerr, in passato giocatore dei Chicago Bulls di Jordan ora protagonisti di "The Last Dance", aggiunge sulle difficoltà di restare al vertice a lungo: "Rivedere oggi quella Chicago fa capire ancora meglio quanto sia difficile sostenere un ritmo del genere".

Kevin Durant et les Golden State Warriors célèbrent leur titre NBA obtenu face à Cleveland

Credit Foto Getty Images

La fortunatissima serie TV "The Last Dance" sta confermando quanto sia difficile per una squadra e per un gruppo restare al vertice per tanto tempo: non è per nulla facile tenere unito un gruppo, anche se con personaggi del calibro di Michael Jordan e Phil Jackson, con la pressione e l'obbligo di dover vincere sempre. Un'esperienza che di recente hanno affrontato i Golden State Warriors, finalisti NBA negli ultimi 5 anni e con tre titoli vinti, gli ultimi due con Kevin Durant. Due successi che per tutti o quasi erano scontati, "dovuti", per la forza della squadra. Un'idea confermata dal general manager Bob Myers:
La seconda volta che abbiamo conquistato il titolo nel 2018 con Kevin Durant ho pensato: "Bene, abbiamo fatto quello che ci aspettavamo. Ottimo lavoro". Non era gioia
Il dirigente di Golden State, la figura che nei Bulls degli anni '90 era rappresentata dall'odiato Jerry Krause, spiega meglio il suo pensiero: "Sono sicuro che altre persone avranno provato sensazioni diverse, ma non è colpa di nessuno. Penso che tutte le cose hanno un loro peso specifico e sono certo che anche quei Bulls sentissero quel tipo di macigno sulle spalle".
Che quei Chicago Bulls sentissero quel peso è confermato da Steve Kerr, all'epoca guardia e tiratore scelto al fianco di Jordan e Pippen, dal 2015 allenatore dei Warriors, in grado quindi di spiegare perfettamente la situazione: lui stesso ammette di aver usato quell'esperienza a Chicago per gestire tutte le complicazioni nello spogliatoio di Golden State.
A essere sincero, ciò che viene fuori da "The Last Dance" non è altro che la conferma di quello che ho ripetuto in spogliatoio lo scorso anno e nel 2018, tutta la mia comunicazione in quella stagione si basava sulla mia esperienza ai Bulls: sapevo quanto fosse faticoso restare sempre al massimo, conoscevo le problematiche legate al mantenere la concentrazione, mettendo da parte i successi degli anni precedenti. Rivedere oggi quella Chicago fa capire ancora meglio quanto sia difficile sostenere un ritmo del genere
Forse questo è uno dei motivi per cui non ci sarà un "The Last Dance" di quei Warriors, come confermato prima da Stephen Curry "nel nostro ultimo anno abbiamo rifiutato l'opportunità e penso che sia stata la decisione giusta", e poi dallo stesso Kerr ai microfoni di 'The Athletic': "Fondamentalmente stai dicendo ai tuoi giocatori che credi che stia finendo, e stai anche violando un principio di santità dello spogliatoio. Quindi non mi è mai venuto in mente, né adesso, di fare qualcosa del genere per il nostro team".
picture

Michael Jordan: "The Last Dance? Senza Phil Jackson io non avrei più giocato"

Più di 3 milioni di utenti stanno già utilizzando l'app
Resta sempre aggiornato con le ultime notizie, risultati ed eventi live
Scaricala
Contenuti correlati
Condividi questo articolo
Pubblicità
Pubblicità