Oscar Robertson, il Re della tripla doppia
Aggiornato 09/05/2020 alle 15:31 GMT+2
Il nostro viaggio alla riscoperta delle leggende NBA prosegue con il ricordo di Oscar Robertson, la prima vera "big guard" nella storia del gioco. Estremamente tecnico e versatile, è stato il primo giocatore a chiudere una stagione con una tripla doppia di media ed è, tutt'oggi, il leader ogni epoca per triple doppie in carriera: ben 181.
Era forte da far paura. Non c'entrava nulla con la sua epoca. Non c'era nessun altro giocatore così completo - Red Auberbach, coach Boston Celtics.
Oscar Robertson arriva prima di tutti gli altri. Nel 1960, in NBA sbarca un giocatore con caratteristiche mai viste prima. È un playmaker nel fisico di un'ala, la prima vera "big guard" che avrebbe poi aperto la strada ad altre superstar leggendarie come Magic Johnson. Ed è, soprattutto, un giocatore totale, completo, che fa della versatilità il proprio punto di forza. Punti, rimbalzi, assist: da quelle mani sgorga qualsiasi cosa con una facilità sorprendente. Più alto e più forte dei suoi pari-ruolo, Robertson sfrutta alla perfezione i suoi vantaggi fisici: attacca gli avversari in situazioni di post-up, avvicinandosi al canestro, e, nonostante un rilascio molto strano, quasi a una sola mano, ha un movimento mortifero in palleggio-arresto e tiro dalla media distanza. Precursore (o forse anche inventore) della head-fake (la finta con la testa) e del fade-away, ha movenze molto moderne nella zona intermedia del campo, simili a quelle poi portate a un livello di eccellenza assoluta da Michael Jordan e Kobe Bryant.
Conosciuto con il nickname di "the Big O", Robertson diventa il primo giocatore a chiudere con una tripla doppia di media un'intera stagione, un avvenimento epocale, bissato soltanto da Russell Westbrook più di 50 anni dopo in un'altra annata irripetibile. Westbrook gli toglie il record di triple doppie in una singola stagione (42 contro 41) ma è ancora molto lontano dal computo complessivo in carriera: 181, un primato che resta ben saldo.
- La top-5 dei giocatori con il maggior numero di triple doppie nella storia della NBA
Giocatore | Triple doppie in carriera |
Oscar Robertson | 181 |
Russell Westbrook | 146 |
Magic Johnson | 138 |
Jason Kidd | 107 |
LeBron James | 94 |
Una tripla doppia in movimento: gli inizi travolgenti
Tutti i giocatori dovrebbero essere capaci di palleggiare, di passare. Altrimenti, che cosa sarebbero a fare in campo? - Oscar Robertson
L'importanza dei fondamentali: tenete bene a mente questo concetto perché sarà il mantra dell'intera carriera di Oscar Robertson. Nonostante il suo approccio alla pallacanestro sia molto rudimentale (tira palle da tennis o palle di pezza in un cesto per le pesche nel cortile di casa, perché la famiglia è troppo povera per potersi permettere di comprare un vero canestro e un vero pallone), ha la fortuna di incontrare, all'high school, un coach eccezionale, Ray Crowe, "malato" di fondamentali. Ed è anche grazie a questo straordinario lavoro che diventa, in breve, un giocatore capace di fare qualsiasi cosa in campo. Tra il 1955 e il 1956 vince due titoli statali consecutivi a livello liceale con un record di 62-1 e prosegue la sua straordinaria carriera giovanile anche alla University of Cincinnati: record di 79-9 in tre anni, tre volte capocannoniere nazionale, due viaggi alle Final Four ma nessun trionfo, una pecca che, suo malgrado, lo accompagnerà per la maggior parte della carriera.
Quando sbarca in NBA nel 1960, poco dopo aver vinto l'oro olimpico a Roma con una delle nazionali amatoriali più forti della storia (oltre a lui, ci sono anche Jerry West, Jerry Lucas e Walt Bellamy), è subito travolgente. Al debutto con i Cincinnati Royals, che lo scelgono come territorial pick, vince il premio di Rookie of the Year con statistiche da capogiro: 30.5 punti (solo Wilt Chamberlain e Walt Bellamy fanno meglio di lui nell'intera storia della NBA), 10.1 rimbalzi (primo esterno a chiudere una stagione in doppia cifra di media - e lo farà per tre volte - unico a riuscirci oltre a Russell Westbrook nel 2017), e 9.7 assist (pone fine al dominio di Bob Cousy che dura da otto anni consecutivi).
Gli anni successivi sono un crescendo continuo. Nel 1962 è il primo giocatore a registrare una tripla doppia di media in stagione (30.8 punti, 12.5 rimbalzi e 11.4 assist) ed è il primo ad andare in doppia cifra per assist in un periodo storico in cui vengono calcolati in maniera molto più stringente rispetto a oggi. Nel 1964 viene nominato MVP, infilandosi nel dominio decennale della coppia Bill Russell-Wilt Chamberlain, e, nelle sue prime cinque stagioni a Cincinnati, viaggia complessivamente con una tripla doppia di media.
- Le prime cinque stagioni di Oscar Robertson con i Cincinnati Royals, chiuse con una tripla doppia di media
Stagione | Punti | Rimbalzi | Assist |
1960-61 | 30.5 | 10.1 | 9.7 |
1961-62 | 30.8 | 12.5 | 11.4 |
1962-63 | 28.3 | 10.4 | 9.5 |
1963-64 | 31.4 | 9.9 | 11.0 |
1964-65 | 30.4 | 9.0 | 11.5 |
Media | 30.3 | 10.4 | 10.6 |
Il trionfo sulla strada del tramonto: l'anello con i Milwaukee Bucks
In ogni sport, ci sono grandi giocatori che non hanno vinto titoli. C'è soltanto un vincitore. Gli altri sono tutti perdenti - Oscar Robertson
Non c'è una frase più vera di questa. E Robertson ha la sfortuna di schiantarsi a ripetizione contro due mostri sacri che capitanano altrettante corazzate dell'epoca: i Boston Celtics di Bill Russell (11 anelli vinti in 13 anni) e i Philadelphia 76ers di Wilt Chamberlain, gli unici capaci di spezzare l'egemonia dei biancoverdi nell'intera decade degli anni '60. Dopo 6 eliminazioni consecutive ai playoff, cinque delle quali per mano di Boston o Philadelphia, Cincinnati manca la qualificazione alla post-season per tre anni filati, covando malcontento e disaffezione tra i tifosi e logorando il rapporto tra Robertson e coach Bob Cousy, due personalità troppo dominanti per convivere nella stessa piccola realtà.
Nell'estate del 1970, Robertson viene ceduto ai Milwaukee Bucks in cambio di Flynn Robinson e Charlie Paulk. Nonostante sia ormai nella fase calante della carriera, è il veterano perfetto da accoppiare a una giovane superstar pronta a sbocciare: quel Lew Alcindor che, pochi mesi dopo, si sarebbe convertito all'islam cambiando il proprio nome in Kareem Abdul-Jabbar. Con Robertson calato nel ruolo di grande secondo violino, Milwaukee domina la regular-season con un record di 66-16 e una striscia di 20 successi consecutivi, raggiunge le Finals NBA e si sbarazza dei Baltimore Bullets conquistando il primo e finora unico anello della storia. Robertson corona il proprio sogno e ne sfiora un secondo, quando, tre anni dopo, i Bucks vengono battuti in 7 gare dai Boston Celtics di Dave Cowens e John Havlicek. La sconfitta in gara-7 avrebbe segnato anche l'ultima partita della carriera di "the Big O".
Un'icona per gli atleti afroamericani
Al liceo giocavo in una squadra composta interamente da ragazzi neri. Ma non volevamo che gli altri ci dicessero che eravamo dei clown - Oscar Robertson
L'importanza della figura di Robertson trascende però il semplice rettangolo di gioco. Perché è uno dei primissimi giocatori a stravolgere la percezione degli atleti afroamericani nel basket NBA dell'epoca. Nato in una zona poverissima del Tennessee rurale, Robertson si sposta presto con la famiglia in un quartiere popolare di Indianapolis, Stato di pallacanestro bianca per eccellenza. Per l'intera adolescenza, convive e combatte in un ambiente segnato da forti problematiche legate al razzismo e alla segregazione razziale: a Indianapolis frequenta e gioca in un liceo per soli ragazzi neri e i suoi successi gli portano, più che riconoscimenti, minacce sempre più dure da parte del Ku-Klux-Klan.
Alla University of Cincinnati, le trasferte sono un incubo: agli insulti ricevuti durante le partite si sommano i rifiuti all'ingresso di hotel e ristoranti che accettano solo clienti bianchi, con annesse notti trascorse in dormitori. Sono anni ricchi di episodi che ancora oggi definisce "imperdonabili", eppure ha la forza per continuare, proseguire, affermarsi sul palcoscenico più importante, diventare un'icona per tanti atleti afroamericani e un portavoce della categoria in generale: nel ruolo di presidente dell'associazione dei giocatori è lui a portare la NBA in tribunale per ottenere l'introduzione della free-agency, inesistente durante la sua carriera in campo.
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