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Quando Seattle aveva Payton, Kemp, Allen e Durant: 12 anni senza NBA. Torneranno mai i Sonics?

Davide Fumagalli

Aggiornato 31/03/2020 alle 12:04 GMT+2

La città dello stato di Washington è sempre una candidata forte per avere di nuovo una franchigia dopo oltre 40 anni di successi e grandi giocatori: i rumors ogni volta riemergono ma bisognerà attendere ancora molto. E' però l'occasione per ripercorrere la storia dei Sonics e del basket a "Rain City", un luogo magico anche per la musica, la cultura e la tecnologia.

Key Arena, Seattle SuperSonics, NBA

Credit Foto Getty Images

Pochi giorni fa si è diffusa un'indiscrezione secondo cui lo scorso agosto Robert Pera, proprietario dei Memphis Grizzlies, si era attivato per trasferire la franchigia. Un rumor firmato da Ronald Tillery, per 17 anni giornalista di un quotidiano locale al seguito della squadra, e subito smentito dalla NBA, anche se la verità è che i Grizzlies sono inseriti in uno dei mercati più piccoli e meno remunerativi, lo stato del Tennessee, e sono la franchigia con meno valore secondo Forbes, 1.3 miliardi di dollari. E quando si parla di spostare una franchigia in NBA in un'altra città, spunta sempre il nome di Seattle, orfana dei suoi storici SuperSonics dal 2008. Una ferita ancora aperta e sanguinante per i tifosi e gli appassionati di una zona, nel nord-ovest degli Stati Uniti, che ama la pallacanestro, che ha un forte tessuto tra high school e college, e che da sempre produce tantissimi giocatori NBA, ultimi Jamal Crawford, Jason Terry e Isaiah Thomas.
Sono dunque 12 anni che Seattle non ha più una franchigia NBA, un vero peccato considerando che invece football, baseball e calcio sono ben rappresentate, e dal 2021-22 arriverà anche una una squadra di NHL, hockey su ghiaccio. Le Lega è chiamata a fare qualcosa per una città unica al mondo che ha qualcosa di particolare visti i doni, non solo cestistici, fatti all'umanità nella sua storia recente.

I Seattle SuperSonics

La squadra arriva in città nel 1967, è la prima fra gli sport professionistici e il nomignolo è legato alla Boeing, l'azienda locale che costruisce aerei e che aveva un progetto aerospaziale, poi cancellato. L'epoca d'oro è sul finire degli anni Settanta col leggendario Bill Russell, quello degli 11 titoli coi Boston Celtics, prima allenatore e poi presidente e general manager. Chiama Lenny Wilkens come coach e arrivano due finali, entrambe contro gli Washington Bullets: persa 4-3 quella del 1978, vinta 4-1 in rimonta quella del 1979. Era la squadra di Gus Williams, Freddie Brown, Dennis Johnson, futuro scudiero di Larry Bird ai Celtics negli anni Ottanta, di Lonnie Shelton, Paul Silas e del centro biondo Jack Sikma, papà di Luke, ora stella dell'Alba Berlino in Eurolega. E di Donald Earl Watts detto "Slick", fondamentale membro della panchina di quel nucleo, un giocatore tutto cuore e difesa, famoso per essere uno dei precursori del look con testa pelata e fascetta di spugna!
Negli anni Ottanta la squadra continua ad andare bene, con sei apparizioni ai playoff, ma è negli anni Novanta che c'è l'esplosione col nucleo composto da Gary Payton, il "guanto" da Oakland, California, da Shawn Kemp, "The Reign Man", un atleta unico per quell'epoca, il tiratore tedesco Detlef Schrempf, i gregari Perkins, Hawkins e McMillan, l'attuale coach dei Pacers, e in panchina un visionario autentico come George Karl. Quei Sonics, che infiammavano la KeyArena, lo splendido palazzo costruito ai piedi dello Space Needle, la torre simbolo della città, dal 1993 al 1998 superarono sempre le 57 vittorie in regular season, con un picco di 64-18 nel 1996! Arrivarono fino in fondo, fino alle Finals, ma la corsa al titolo si fermò bruscamente contro i Chicago Bulls di Michael Jordan, reduci dalla miglior stagione della storia, quella del 72-10, superata solo dal 73-9 dei Golden State Warriors 2015-16.
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Michael Jordan e Gary Payton, NBA Finals 1996

Credit Foto Getty Images

Negli anni Duemila, con l'addio già consumato di Karl, di Kemp e infine di Payton (detiene i record di franchigia per punti, minuti, assist, palle rubate), la squadra si rilancia con un nuovo gruppo costruito attorno a Ray Allen e a Rashard Lewis: nel 2004-05 l'anno top, con 52 vittorie e lo stop alle semifinali di Conference contro i San Antonio Spurs, poi campioni NBA. Il 2007-08 è l'ultima stagione dei Sonics, la prima in NBA di un talento raro come Kevin Durant, scelto alla 2 assoluta del Draft 2007. Il resto è storia...
Il palmarès dei Seattle SuperSonics
  • 1 titolo NBA: 1978-79
  • 3 titoli di Conference: 1977-78, 1978-79, 1995-96
  • 6 titoli di Divions: 1978-79, 1993-94, 1995-96, 1996-97, 1997-98, 2004-05
  • 1 MVP delle Finals: Dennis Johnson 1979
  • 1 Rookie dell'anno: Kevin Durant 2008
  • 1 Difensore dell'anno: Gary Payton 1996
  • 1 Giocatore più migliorato dell'anno: Dale Ellis 1987

Il basket a Seattle: "206" e le Storm

In città non ci sono (stati) solo i Sonics. La pallacanestro a Seattle e nei dintorni è ben presente nel tessuto connettivo partendo dalle high school e arrivando alle università, due principali, University of Washington, gli Huskies, la più famosa, e Seattle University, quella che in passato fu del grande Elgin Baylor, poi stella dei Lakers in NBA. Da Washington sono usciti, di recente, giocatori del calibro di Nate Robinson, Brandon Roy, DeJounte Murray e Spencer Hawes, ma più in generale sono tantissimi i prodotti locali che hanno fatto strada tra i professionisti tra cui Doug Christie, Jason Terry, Jamal Crawford, Aaron Brooks, Payton Siva, Martell Webster, Terrence Williams, Marcus Williams, Tony Wroten e Kevin Porter Jr.. Quasi tutti vengono dai principali licei che ogni anno, in estate, danno vita a tornei che coinvolgono gli ex alunni: spesso di fronte le più importanti ovvero Franklin, Garfield, Rainier Beach e O'Dea, liceo privato in cui ora gioca Paolo Banchero, fenomeno di origini italiane.
I giocatori usciti da Seattle sono legati in maniera intensa e unica in giro per gli Stati Uniti, si "proteggono" tra loro e tramandano questa usanza. Il loro motto è "Two-oh-six baby, two-oh-six" dove 206 si riferisce al prefisso telefonico di Seattle: tutti questi ragazzi se lo tatuano sul corpo in segno di appartenenza.
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Breanna Stewart, Seattle Storm, WNBA Finals 2018

Credit Foto Getty Images

I Sonics non sono però l'unica franchigia professionistica di basket in città: dal 2000 ci sono anche le Storm della WNBA con gli stessi colori dei Sonics, giallo e verde predominante. Giocano praticamente da sempre alla KeyArena e dopo l'addio della squadra maschile sono diventate ancora più importanti per gli appassionati locali. Anche perchè hanno sempre avuto squadre molto competitive - solo 5 playoff mancati in 20 anni - e giocatrici di notevole spessore, da Sue Bird, ancora oggi il volto della franchigia, a Breanna Stewart, fino a Lauren Jackson, la fuoriclasse australiana la cui maglia numero 15 è stata ritirata. Tre i titoli in bacheca: nel 2004, nel 2010, entrambi sull'asse Bird-Jackson, e nel 2018, con Bird stavolta al fianco di Stewart.

Non solo basket: Nirvana, Pearl Jam e la Microsoft

Seattle non è famosa solo per i Sonics, anzi. La città, conosciuta anche come "Rain City" e "Emerald City" perchè piove spesso e perchè il cielo assume dei colori unici sul verde a causa del paesaggio e del maltempo, ha sviluppato a inizio anni Novanta la "coffee culture", con l'apertura di tantissimi bar e caffè dove la gente si ritrovava per leggere, scrivere, studiare, parlare. Proprio a Seattle è nato l'impero di Starbucks, la nota catena di caffetterie che ha migliaia di locali in tutto il mondo: a lanciarla fu Howard Schultz, newyorkese che imparò l'arte del caffè in Italia e che poi divenne proprietario, suo malgrado, dei Sonics. E poi Seattle è il posto dove è nato il "grunge", un ramo alternativo del rock. Seattle nei primi anni Novanta è il centro del mondo musicale e fioriscono band come Nirvana, Soundgarden, Alice in Chains e Pearl Jam: già i Pearl Jam, la band di Eddie Vedder che originariamente si chiamava Mookie Blaylock in onore del playmaker degli Atlanta Hawks e a cui dedicarono l'album di debutto "Ten", 10, come il numero di maglia di Blaylock.
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Eddie Vedder dei Pearl Jam

Credit Foto Getty Images

A proposito di musica, è di Seattle anche Jimi Hendrix, considerato uno dei più grandi chitarristi di sempre, mentre per il cinema il riferimento va a Bruce Lee, il "Dragone" che si trasferì da giovane da San Francisco, studiò, si laureò, si sposò e infine fu sepolto: giace nel lotto 276 del Lake View Cemetery accanto al figlio Brandon. E la tecnologia? A Seattle, o meglio a Redmond, c'è la sede di Microsoft: sì perchè i due grandi geni fondatori, Paul Allen e Bill Gates, sono di "Rain City"! Allen, scomparso nell'ottobre 2018 dopo una battaglia col cancro, è molto legato anche sportivamente alla città: oltre ad essere proprietario dei Portland Trail Blazers in NBA (in Oregon però), sono suoi i Seahawks della NFL e i Sounders della MLS di calcio.

Il furto di Bennett: il trasferimento a Oklahoma City

Nel 2001 Howard Schultz, magnate di Starbucks, acquista la franchigia e da quel momento inizia una fase in discesa che porterà all'addio dei Sonics alla città di Seattle al termine della stagione 2007-08. Il nodo centrale riguarda il palazzo dove giocano: secondo la NBA, capeggiata da David Stern, la KeyArena è ormai vecchia, è la meno capiente in assoluto (17.072 posti), obsoleta per modernità e tecnologia, e quella che produce meno ricavi. Schultz chiede aiuto al comune, minacciando di portare via la franchigia dopo il 2010, anno in cui scade l'accordo di affitto dell'arena, per ristrutturare l'impianto attuale o costruire un nuovo palazzo, ma l'amministrazione locale risponde con un secco no, anche perchè erano già stati usati soldi pubblici per costruire il CenturyLink Field dove giocano Seahawks e Sounders.
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Striscioni pro NBA a Seattle

Credit Foto Getty Images

Inevitabile la vendita: il 24 ottobre del 2006 i Sonics vengono rilevati da un gruppo dell'Oklahoma capeggiato da Clay Bennett. Quest'ultimo dice subito di voler tenere la franchigia a Seattle e si mette di nuovo a parlare col comune per costruire un nuovo palazzo da 550 milioni di dollari a Renton, appena fuori città, ma l'ennesimo no dell'amministrazione locale "obbliga" Bennett a chiedere il trasferimento a Oklahoma City, fra l'altro città ben vista dalla NBA per l'entusiasmo dimostrato nei due anni in cui c'erano gli Hornets, costretti a lasciare temporaneamente New Orleans per l'uragano Katrina. Da lì è tutta discesa verso la nascita degli attuali Thunder: nel novembre 2007 28 proprietari su 30 dicono si al trasferimento dei Sonics, gli unici ad opporsi sono Mark Cuban dei Mavs e Paul Allen dei Blazers, originario però di Seattle. E a questo punto Bennett versa 45 milioni di dollari alla città (più altri 30 nel 2013) per uscire in anticipo dall'accordo sull'affitto della KeyArena e porta via la squadra nell'estate 2008 nonostante le grandi proteste di tifosi e appassionati, "derubati" dei proprio beniamini.
Una nuova finestra si era riaperta 5 anni dopo, nel 2013, coi fratelli Maloof che misero in vendita i Kings dopo la NBA disse di no al trasferimento a Las Vegas. Si fece avanti una cordata di Seattle, capeggiata dall'imprenditore Chris Hansen e con anche Steve Ballmer, ex amministratore delegato di Microsoft e successivamente proprietario dei Los Angeles Clippers: aveva comprato dei terreni nella periferia della città e aveva trovato l'accordo col comune per costruire una nuova arena da 491 milioni di dollari, 200 dei quali pubblici. Sacramento però si oppose fermamente, il sindaco della città, l'ex campione dei Phoenix Suns Kevin Johnson, trovò una cordata locale capeggiata da Vivek Ranadivè, magnate di origini indiane e proprietario di minoranza dei Golden State Warriors, questi pareggiarono l'offerta del gruppo Hansen ed ebbero il parere favorevole degli altri proprietari NBA per mantenere i Kings in California, anche perchè il comune aveva stanziato 258 milioni per la costruzione dell'attuale Golden1 Center, una delle migliori arene attuali. Un'altra, l'ennesima batosta per Seattle e i suoi tifosi.

Torneranno mai i Sonics a Seattle?

E' una domanda a cui è complicato rispondere. Sicuramente non nell'immediato perchè la NBA non è intenzionata a spostare delle franchigie o a crearne di nuove prima del 2025, anno in cui scade l'attuale contratto televisivo con ESPN e Turner, e poi perchè ci sono città più appetibili per la Lega, come Città del Messico, per aprire un mercato verso il Centro America, e la solita Las Vegas, da sempre centro dell'intrattenimento e del gioco per gli Stati Uniti. Inoltre non ci sono franchigie disponibili alla "relocation": si era parlato dei Bucks nel 2014 ma poi sono arrivati nuovi proprietari che hanno costruito un'arena da favola, si era parlato lo scorso anno dei Pelicans ma l'arrivo di Zion Williamson e il nuovo entusiasmo ha bloccato tutto, di recente è spuntata la questione Grizzlies ma esiste un vincolo fino al 2027 con FedEx, l'azienda che sponsorizza l'arena dove giocano a Memphis.
PROCONTRO
Città di pallacanestro: grande tradizione lliceale e collegiale, più le Storm della WNBA e la tradizione dei SonicsManca un'arena moderna: ristrutturare la KeyArena o costruire un nuovo palazzo fuori dal centro
Mercato commerciale vivo, ricco e sempre in espansione: ideale per i ricavi e per le televisioniLa NBA non è intenzionata a spostare franchigie e nemmeno ad inserirne di nuove, almeno fino al 2025
Presenza di colossi a livello mondiale come Microsoft, Starbucks e AmazonConcorrenza degli altri sport: dal 2021-22 ci sarà anche una franchigia di hockey NHL
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Il ritorno a Seattle di Kevin Durant coi Warriors, NBA Preseason 2018-19

Credit Foto Getty Images

La realtà è quindi che Seattle dovrà attendere ancora molti anni per rivedere i SuperSonics e la NBA: i fan dovranno accontentarsi dei liceali, del college basket e delle Storm della WNBA, più qualche gara di preseason NBA, come accaduto il 5 ottobre 2018 quando alla KeyArena giocarono i Kings contro gli allora Warriors di Kevin Durant, l'ultimo grande idolo di "Rain City". Bisogna pazientare ancora ma prima o poi il grande basket tornerà e la gente rivivrà i fasti dei grandi Sonics di Slick Watts, di Fred Brown, di Shawn Kemp e di Gary Payton!
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