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Inizia l’era Popovich: come può cambiare il Team USA

Daniele Fantini

Aggiornato 23/08/2016 alle 12:27 GMT+2

Gregg Popovich ha raccolto ufficialmente il testimone lasciato da Mike Krzyzewski dopo l’oro vinto a Rio de Janeiro: l’head-coach dei San Antonio Spurs preparerà il Team USA per le Olimpiadi di Tokyo 2020, alla ricerca del quarto trionfo consecutivo. Famoso per la sua disciplina ferrea e per il suo gioco corale, quali cambiamenti potrà portare alla nazionale più forte del mondo?

Gregg Popovich (San Antonio Spurs)

Credit Foto AFP

Gregg Popovich è il miglior allenatore che abbia mai visto – LeBron James.
Nell’agosto del 2020, LeBron James avrà 35 anni. Nonostante l’età non più freschissima, aspettiamoci di vederlo a Tokyo con la maglia del Team USA sulle spalle, alla sua quarta Olimpiade, alla ricerca del suo terzo oro (che lo porterebbe a eguagliare Carmelo Anthony), e agli ordini del miglior coach sulla piazza: Gregg Popovich.
Già, l’austero, duro, tagliente (ma sincero) Gregg Popovich. Lo stesso coach capace di ridurre un giocatore in lacrime e di ammettere, candidamente, che non sarebbe stato nessuno se non avesse incontrato sul proprio cammino ragazzi come Tim Duncan. O David Robinson. O Tony Parker. O Manu Ginobili.
Come potrebbe essere il suo nuovo Team USA delle prossime Olimpiadi estive, quello che andrà a caccia del poker d’ori, un traguardo che manca ormai dagli albori dei Giochi, quando la nazionale a stelle e strisce vinse le prime 7 edizioni consecutive?

Un coach versatile

Partiamo da un dato di fatto. Popovich possiede una dote spiccata, che lo differenzia in maniera netta rispetto alla maggioranza dei coach NBA: è un allenatore estremamente versatile, capace di identificare in maniera i punti di forza della propria squadra e adattare il proprio gioco agli elementi a disposizione, e non viceversa. Intendiamoci: le prime versioni dei San Antonio Spurs a cavallo tra gli anni ’90 e 2000 erano molto diverse da quelle odierne. Quella squadra giocava una pallacanestro molto schematica, quadrata, basata soprattutto sulla solidità difensiva e un attacco statico, costruito su giocatori di ruolo. Oggi, invece, gli Spurs hanno allentato parecchie viti difensive, passando a un basket più leggero, dinamico, con grande movimento di uomini e palla e utilizzo massiccio del tiro da tre punti, un fondamentale quasi bandito nei primi anni della dinastia vincente. Popovich ha vinto anelli in entrambi i modi, riuscendo a carpire, prima di tutti gli altri, le direzioni in cui si stava muovendo la pallacanestro.
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Tim Duncan, Gregg Popovich, Manu Ginobili, Boris Diaw (AFP)

Credit Foto AFP

Le star? Sì, ma per la squadra

Seconda cosa: Popovich è un allenatore che odia le primedonne, le teste calde, i capricci delle superstar viziate, i giocatori che “hanno grande talento ma se solo avessero un po’ di testa…”. Con questo non intendiamo indicare la rinuncia alla superstar, sulla falsariga, ad esempio, del platoon-system della Denver di George Karl, ma l’incanalamento della superstar stessa all’interno del sistema, con un ruolo ben definito. Insomma, una sorta di “superstar di ruolo”, come lo sono stati, per anni, i vari Duncan, Parker e Ginobili, e come lo è, in questo momento, Kawhi Leonard: una stella al servizio della squadra. Ovvio, sono poche le star che possiedono un ego così indottrinabile, ma gli Spurs hanno saputo pescare sempre molto bene dai tempi di Duncan in avanti.
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Gregg Popovich, Tony Parker, San Antonio Spurs (AFP)

Credit Foto AFP

Convocazioni: arrivano i giocatori di ruolo?

Dopo le tre vittorie stentate per chiudere la fase a gironi delle Olimpiadi di Rio contro Australia, Serbia e Francia, Charles Barkley aveva criticato le scelte tecniche di Krzyzewski, “colpevole”, a suo dire, di aver costruito una squadra di grandi attaccanti innamorati del pallone e delle statistiche, senza giocatori di ruolo per fare da collante su entrambi i lati del campo (uno di questi sarebbe potuto essere Harrison Barnes, ma ha visto il campo con il contagocce). L’idea di Barkley ricalca molto la dottrina di Popovich, quantomeno quella utilizzata per gestire la dinastia degli Spurs dai 5 anelli. Con Pop sulla panchina, potremmo dunque vedere un diverso sistema nelle convocazioni, non semplicemente incentrato sui grandi e grandissimi nomi ma, prima di tutto, basato sulla creazione di una chimica di squadra. E, perché no, aiutata magari dall’inserimento di giocatori di ruolo, specialisti difensivi, playmaker d’ordine o elementi con elevato QI cestistico, decisi a mettersi al servizio della squadra prima di guardare le proprie statistiche.
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2013-14 San Antonio Spurs, Gregg Popovich time-out (AP/LaPresse)

Credit Foto LaPresse

Da un ammasso di star a una "squadra vera"?

Le conseguenze di una simile strutturazione del roster potrebbero così andare a sistemare i punti dolenti evidenziati specialmente nella prima fase dei Giochi di Rio: una difesa non particolarmente aggressiva sul perimetro e dura nel verniciato e, soprattutto, un attacco poco strutturato, con un playbook ridotto all’osso (come noto, quello degli Spurs è biblico…), basato sul pick’n’roll d'ingresso e la liberazione di un quarto di campo per gli isolamenti in guardia o in post-alto e poco altro. Un Team USA, dunque, di stampo Spurs, magari assemblato con rinunce dolorose (come potrebbe essere quella di DeMarcus Cousins, ad esempio, giocatore decisamente anti-Popovichano...) ma con una chimica e un amalgama migliore. Magari un Team USA che non avrà la potenza di fuoco per segnare sempre 100 punti a partita, ma sorretto da un’anima e da un gioco vero, per avere quell’aspetto di squadra visto troppo raramente a Rio.
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