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Coach Peterson e i suoi segreti, dalla forza del gruppo ai colpi di genio fuori dagli schemi

Zoran Filicic

Aggiornato 17/04/2020 alle 20:41 GMT+2

Dopo aver vinto lo scudetto nel 1982, perse quello del 1983 con il Billy, ma mostrando a tutti che le invenzioni improbabili funzionano. E poi ci raccontò uno dei suoi più grandi trucchi: "Farsi amico il custode del palazzetto".

Dan Peterson

Credit Foto Getty Images

Aprile 1983, il Billy Milano incontra in semifinale playoff la Scavolini Pesaro di Kicanovic e Jerkov, già battuta nella finale dell’anno precedente.

La Banda Bassotti

I milanesi si portano dietro il soprannome di Banda Bassotti dei primi anni di Coach Peterson, quando il tecnico statunitense giocava con quattro piccoli, ma la squadra nel tempo si rafforzò con gli arrivi del granito di Dino Meneghin e del fuoco di Roberto Premier. In campo oltre a Mike D’Antoni (regolarmente leader in assist e palle rubate) i gemelli Boselli, capitan Ferraccini, John Gianelli nel ruolo di centro, ricoperto con pochissimo spettacolo ma tanta sostanza anche dal migliore interprete del petersoniano “sputare sangue”: Vittorio Gallinari.

Il Gallo (senior)

Vittorio, padre di Danilo ora affermato giocatore NBA, era dotato di una meccanica di tiro perfetta (sulla carta) ma incredibilmente la palla non entrava quasi mai.
Ricordo un paio di air ball su tiro libero così come ricordo una palla (regular season, fine campionato 1985/86 contro una squadra allenata da Bucci, la memoria manca) passatagli fronte a canestro. Tutti i tiratori erano marcati e il Gallo venne lasciato ovviamente libero, lui si girò a destra, poi a sinistra, poi guardò il ferro, da dietro la linea da tre punti. Il Palalido (il palazzetto di San Siro era rovinosamente crollato a causa della nevicata del 1985) esplose in un corale “NOOOOOOO”, ma il Gallo tirò lo stesso, parabola, fiato sospeso, solo rete. Il boato del pubblico, paragonabile ad un gol in finale dei mondiali, credo rimbombi ancora nel profondo delle strutture del palazzetto rinnovato di piazzale Stuparich, ora casa Urania Milano, lo si può sentire a palestra vuota, in uno di quei momenti nei quali la magia delle grandi azioni del passato si respira nell’aria dei luoghi di sport lasciati soli.
Tornando a quella semifinale, Gallinari era un’ala/centro atipica, di una mobilità e velocità incredibile, uno dei migliori difensori del campionato per tecnica e istinto. La Scavolini viene schiantata ancora una volta dalla 1-3-1 del Billy, con D’Antoni in punta e Gallinari a interpretare il ruolo di pendolo, in fondo.

Schemi come armi: 1-3-1 e L

Coach Peterson aveva due armi segrete, semplicissime e - cosa assurda - note a tutti gli allenatori e a tutti i giocatori della Serie A: la zona 1-3-1, la “mano che strangola” (mai soprannome più azzeccato) e uno schema d’attacco semplice semplice chiamato “Elle” che iniziava con un blocco portato da Meneghin a D’Antoni e che apriva le prime cinque/sei/sette variazioni di gioco, dal tiro del play al backdoor del centro. Nello stesso momento iniziava il taglio micidiale di Premier che usciva da un doppio blocco dal lato opposto per altre cinque/sei/sette/otto variazioni. Era uno schema conosciuto da tutti ma micidiale, quando D’Antoni alzava il segno L in attacco, o le tre dita per la “3” in difesa, un brivido passava dalle schiene degli avversari mentre dal pubblico si levava un ruggito sommesso e in campo si assisteva, solitamente, allo sbando dell’avversario.
Quella Scavolini versione Yugo, allenata da Pero Skansi, fu domata ancora una volta, entrando definitivamente in una sorta di sudditanza nei confronti di Milano, e arrivò allo scudetto solo nel 1987/1988, mentre Milano approdava ancora una volta in finale, questa volta contro il Bancoroma di Valerio Bianchini, che aveva lasciato la panchina di Cantù a Giancaro Primo.

L'immarcabile Larry Wright

Bianchini era un vate, uomo di cultura immensa e presa sul pubblico e sui media eccezionale, caratteristiche proprie anche di Peterson, ma il lombardo era dotato di un istrionismo e una parlantina in grado di accendere le tifoserie e di portare al Palaeur di Roma più di 10mila spettatori per le finali (i 14348 spettatori di finale gara 3 sono tuttora record italiano).
Il Bancoroma gioca con Gilardi, Polesello, Solfrini, sotto canestro il solidissimo Clarence Kea, ma a gestire il gioco una scheggia tecnica di nome Larry Wright. Il “folletto nero”, 185 cm per 73 kg, mani veloci e penetrazione bruciante, fa letteralmente impazzire Mike D’Antoni in gara 1 mentre Peterson non sa che pesci prendere quando si arriva a gara 2, al Palasport di San Siro.
L’esito della partita pare segnato, Bianchini fa girare la sua squadra al massimo, non sbaglia un colpo e Milano va sotto, poi arriva il colpo di genio.
Dan Peterson ci ha raccontato la storia di quella marcatura passata alla storia durante un clinic interno per noi giornalisti, in un periodo nel quale lavoravamo per la stessa televisione, e il racconto rende giustizia all’umiltà e allo humor del Coach di ghiaccio:
Wright ci stava facendo diventare matti, aveva vinto quasi da solo gara 1 e anche a Milano D’Antoni non riusciva a tenerlo. Tolgo Mike dalla marcatura, gli metto addosso Dino Boselli, grande difensore, niente. Tolgo Dino e metto suo fratello Franco, altro ottimo difensore, nulla. Non ho più idee, mi giro verso la panchina, guardo Roberto (Premier ndr) e.. No, lui meglio di no. Vedo Vittorio in fondo alla panchina, ci penso un po' e dico: Gallo, vai dentro su Wright.
Vittorio Gallinari su Larry Wright , un’ala/centro di 206 cm a marcare un folletto di 185 che aveva annichilito tutti. Gallo lo annullò.
Milano vinse 86-73 e Bianchini commentò: “L'ingresso in campo di Gallinari contro il nostro Wright non fu negativo per noi, ma per il gioco del basket. La Billy aveva già perso il suo scudetto: quello dello spettacolo in campo”. Questa era la parte istrionica di Bianchini, che preparò Roma alla riscossa e riempì il palazzetto capitolino, portando infine alla Virtus Roma il suo primo (ed unico) scudetto, per poi andare a conquistare l’anno successivo la Coppa dei Campioni.
Peterson diventò per tutti un genio, lui stesso parlando dei rapporti con la stampa ci aveva raccontato di quanto velocemente si passasse da vincitori a perdenti e viceversa, lui che aveva guidato Bologna prima dell’epopea Cosic e poi preso per mano Milano per renderla grande e si inventò Gallinari marcatore.
Negli anni a venire, nei campionati di ogni livello, dalla sere A alle minors, ci furono allenatori che tentarono azzardi di marcature di pivot contro play (alcuni a dire il vero anche il contrario) mentre per noi ragazzini difendere 1-3-1 voleva dire immedesimarci in un mito.
Peterson riportò Milano allo scudetto, poi diresse la squadra portandola alla conquista della Coppa dei Campioni a Losanna. Successivamente rivoluzionò il linguaggio in telecronaca, allargando le notizie alle vite dei giocatori, agli aneddoti, alle curiosità, alla propria esperienza vissuta e il mestiere di telecronista cambiò per sempre.

Il segreto del Coach

Quale fu il suo segreto? Se lo sono domandato in tanti: sicuramente la cultura, lo studio e una cura maniacale dei dettagli, poi psicologia e pugno di ferro. Un esempio? Roberto Premier soffrì tantissimo, al primo anno con Peterson: entrava per un paio di minuti, poi al primo errore di nuovo in panchina e avanti cosi, mai un “bravo”, fino alla partita con Pesaro, dove Premier fu perfetto. Nessuna parola, ancora una volta, ma all’allenamento successivo Coach chiama il suo tiratore, gli indica un pacchetto sulla panchina e gli dice “è una tuta, è per te, sei stato bravo”. Il Condottiero ed il Guerriero, questo è stato il rapporto di Peterson coi suoi giocatori.
Vid
I segreti, dicevamo, tanti e visibili ma le parole più belle, più vere sul segreto di Coach Dan Peterson ce le raccontò proprio lui, sempre in quell’incontro.
Ci disse:
Quell’anno andai in tutte le high school e mi proposi, chiaramente dicevo 'Hey, tu prendi coach Peterson e io ti faccio vincere il campionato, ok?' e avanti cosi. Ad un certo punto mi arriva una telefonata e mi dicono 'Coach, sei stato scelto tu, ti diamo fiducia, sei il nostro head coach'. Metto giù la cornetta e mi prende una fifa blu! Non sapevo cosa fare, allora scrissi al mio vecchio coach e gli dissi 'Salve coach, sono Dan Peterson, forse si ricorda di me, mi hanno dato un incarico da head coach e volevo chiedere qualche consiglio su come far giocare la squadra perché ho un paio di dubbi' (non gli dissi che avevo fifa blu). Dopo pochi giorni mi arrivò la sua lettera di risposta, rimasi a guardarla immaginando cosa ci potesse essere scritto, cose come 'gioca con cinque piccol'i oppure 'gioca backdoor', fino a che presi coraggio e la aprii. Coach mi aveva risposto 'Complimenti, Coach Peterson, mi ricordo bene di te ed ho solo un consiglio: fatti amico il custode della palestra'.
Lo guardammo tutti perplessi, Peterson attese un pò e ci spiegò il segreto del successo, in ogni ambito:
Quando sei in difficoltà, quando le cose vanno male e hai bisogno della palestra aperta alle due di notte o degli spogliatoi puliti, quando bisogna soffrire perché gli altri sono più forti, è li che hai bisogno di tutti, dal tuo custode al tuo playmaker, tutti sono importanti, indispensabili, tutti. Si chiama Gruppo.
Le parole più semplici del mondo: grazie Coach.
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