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Olimpiadi 2020, Basket - Team USA perde un match ai Giochi dopo 17 anni, cosa dobbiamo aspettarci da Durant e compagni?

Marco Arcari

Pubblicato 26/07/2021 alle 17:25 GMT+2

TOKYO 2020, BASKET - 17 anni e 25 vittorie consecutive dopo, Team USA incappa nel k.o. al torneo maschile di pallacanestro dei Giochi Olimpici. Merito di una sontuosa Francia, certamente, ma la corazzata a stelle e strisce sembra avere ancora qualche punto debole, già mostrato nel Mondiale del 2019. Per coach Gregg Popovich sarà più difficile del previsto centrare l'oro, che sarebbe il 4° di fila.

Team USA durante l'esordio olimpico con la Francia

Credit Foto Getty Images

17 anni - e 25 vittorie consecutive dopo - Team USA viene sconfitto ai Giochi Olimpici (76-83). Merito di una Francia sontuosa, capace di restare unita dopo un 1° quarto complesso (15-22 per gli statunitensi) e di risultare cinica, specie con un abbacinante Evan Fournier (28 punti, con 11/22 dal campo), nel momento in cui ha fiutato l'odore del colpaccio. La Nazionale allenata da Vincent Collet si conferma piena di talento e ormai pronta per tentare di mettere in bacheca un'altra medaglia, dopo gli argenti di Londra 1948 e Sydney 2000, quando a batterla fu proprio Team USA. La squadra di coach Gregg Popovich approccia invece il torneo con un k.o. in cui emerge forse qualche peccato di presunzione, derivante dal fatto che troppo spesso Kevin Durant e compagni sembrano affidarsi più al loro sterminato talento individuale che non a un gioco d'insieme, ancora lontano da quello espresso dalla corazzata a stelle e strisce nelle ultime rassegne a cinque cerchi. La sconfitta, la prima appunto dopo 17 anni considerando che il 28 agosto 2004 alla Lituania, messa precedentemente k.o. dall'Italia, fermare Melo Anthony, Dwayne Wade e Allen Iverson (solo per citare alcuni dei 12 di quella spedizione), non apre certo spazio a illogici processi, dal momento che Team USA rimane comunque la favorita principale, al netto di ranking FIBA e opinioni di qualsivoglia genere e firma. La sensazione è però quella di una squadra ancora inconsapevole del proprio potenziale massimo, incapace di riporre nel gioco collettivo il principale obiettivo per tentare l'assalto a una medaglia d'oro che sarebbe la quarta consecutiva: mai gli Stati Uniti sono riusciti in tale impresa quando hanno aperto ai pro la partecipazione ai Giochi, mentre nell'era dei "dilettanti" furono ben 7 gli ori di fila, da Berlino 1936 a Città del Messico 1968.
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Numeri alla mano, mancano gli 1vs1

Le statistiche, nel basket, non raccontano mai tutto di una singola partita. A volte, però, fungono da termometro importante per valutare temperature diverse. Anzitutto l'affidabilità al tiro pesante. Tiratori come Durant (1/6 da 3) o Damian Lillard (3/9) non possono assolutamente essere messi in discussione per una "serata no". Colpisce però l'incapacità di Team USA, specie negli ultimi 5' di partita, di trovare soluzioni alternative al tiro pesante. Chi legge potrebbe obiettare che se almeno uno dei tre wide-open three pointers (rispettivamente, in successione, di Lillard, Durant e Holiday) fosse entrato, quando a 1' dalla sirena il punteggio era sul 76-74 in favore dei transalpini, adesso si starebbe analizzando la 26ª vittoria americana ai Giochi. Per carità, innegabile. Sorprende però che una squadra con così tanto, debordante, talento non sia riuscita ad attaccare il pitturato avversario con più continuità - certo, Rudy Gobert è stato, ancora una volta, mostruoso in difesa - affidandosi piuttosto a tirare molto dalla distanza per un misero 10/32 (31%). Non che la Francia abbia fatto tanto meglio (8/27), ma i 12 allenati da Collet sono stati decisamente più in palla nell'attaccare il ferro, con tagli in punta eseguiti alla perfezione, alto-bassi di grande scuola e tanto, tanto movimento di palla, anche quando la stessa finiva nelle mani di giocatori accentratori, per loro natura, quali De Colo e Fournier.
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Gregg Popovich è il coach giusto?

Anche in questo caso, una premessa è doverosa. Mettere alla berlina un allenatore così vincente sarebbe tanto stupido, quanto folle. 5 anelli (1999, 2003, 2005, 2007 e 2014, tutti coi San Antonio Spurs) e 3 riconoscimenti di allenatore dell'anno in NBA non si vincono solamente perché si ha la fortuna di allenare Tim Duncan, Manu Ginobili o Tony Parker. La caratura, anche umana, di Popovich è fuori discussione, guai a sostenere il contrario. L'avvicendamento con Coach K (al secolo, Mike Krzyzewski) non ha però ancora dato i frutti sperati e vive peraltro sotto la scure del 7° posto ottenuto ai Mondiali del 2019. Quella cinese fu una spedizione fallimentare e il mancato podio ebbe ripercussioni notevoli, con la stampa statunitense che non perdonò affatto alcune scelte tattico-tecniche e, soprattutto, l'incapacità di un gruppo nel cambiare marcia (e gioco) per reagire alle difficoltà. Probabilmente Popovich non è il parafulmine ideale per i dodici atleti su cui Team USA può contare. Perché, per quanto spesso si possa dimenticarlo, mondo e cultura sportivi d'oltreoceano sono completamente diversi dai nostri. Non sempre si tratta di superficialità e strafottenza degli americani e ci viene da pensare che neppure a Tokyo sarà così. Risulta però vero che proprio nel momento in cui il gruppo si è calato appieno nel "basket-FIBA", al netto di regole diverse che comunque limitano non poco lo strapotere fisico-atletico dei fenomeni NBA (si pensi al Mondiale giocato da Giannis Antetokounpo, oggi MVP delle Finals e fresco di anello coi Milwaukee Bucks), gli ori sono pioviti a profusione. Tornando a Popovich, non si tratta certo di un superamento del suo basket, anche se da 4 anni manca un risultato di peso (nel 2017 fu finale di Western Conference, persa 4-0 contro la corazzata Golden State Warriors), quanto piuttosto del fatto che forse l'istrionico allenatore non abbia ancora appreso del tutto quello che deve essere il ruolo di coach di Team USA, anzitutto fuori dai parquet. Senza dimenticare che il gap col resto del mondo si è ormai quasi azzerato, almeno stando alle dichiarazioni rilasciate dallo stesso Popovich nel post-gara.

Kevin Durant sarà l'uomo chiave

10 punti e 2 rimbalzi in circa 21' e out per 5 falli. Se non è una delle peggiori prove in carriera di KD, poco ci manca. Anche in questo caso sarebbe però folle estrapolare da una partita valutazioni più ampie e onnicomprensive. Durant sarà - e dovrà essere - l'uomo chiave di questo Team USA. Non è un caso se coach Popovich abbia dichiarato che sarebbe stato disposto a inginocchiarsi e piangere davanti a lui, affinché accettasse la convocazione. La poliedricità, unita all'adattabilità al basket FIBA, rende Durant imprescindibile. L'esperienza del giocatore dei Brooklyn Nets non deve poi essere sottovalutata, dal momento che tanti compagni sono alla prima vera manifestazione internazionale con la Nazionale. Dal rendimento di "Slim Reaper" passeranno molte delle fortune statunitensi. A KD deve però aggiungersi non un supporting-cast, bensì una formazione in cui possano emergere, di volta in volta, protagonisti diversi. Contro la Francia è toccato a Jrue Holiday, autore di 18 punti, 7 rimbalzi e 4 assist e migliore tra le fila degli americani, fresco di titolo NBA e subito calatosi perfettamente nel ruolo anche con Team USA. Contro l'Iran, mercoledì 28 luglio con palla a due alle 6:40 italiane, toccherà a qualcun'altro. Sempre con la certezza che Durant ritornerà a fare il Durant, senza se e senza ma.
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