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Le ragioni dietro al tracollo: L'1 contro 5 condanna l'Italia a rinunciare alle Olimpiadi

Marco Barzizza

Pubblicato 10/07/2016 alle 09:49 GMT+2

Nella partita più importante, con Gallinari e Datome costretti in panchina per colpa dei falli, gli azzurri si ritrovano a commettere gli errori del passato. A uscirne peggio Bargnani e Gentile, ma gli errori sono di tutti.

La delusione di niccolò Melli e della panchina azzurra, LaPresse

Credit Foto LaPresse

12 anni di attesa dall'ultima Olimpiade, quella dell'argento di Atene. Sapevamo che sarebbe stata una partita di grande sofferenza, così è stato e la vendetta che i croati meditavano da martedì – “gara 1” giocata nel girone e vinta dall'Italia – si è consumata dopo un supplementare per cuori forti (84-78). E alla fine a Rio ci vanno meritatamente la Croazia, trascinata da quel fenomeno chiamato Bojan Bogdanovic.

1vs5 esasperato

Partita frazionata dai tantissimi fischi arbitrali – e da un'interruzione di un quarto d'ora per il tabellone fuori uso nel primo quarto – difficile da leggere per gli azzurri, che si sono trovati di fronte una Croazia diversa rispetto a quella di martedì. Ma purtroppo anche noi siamo stati diversi. La difesa ha retto, ma concesso troppo al tiratore avversario più pericoloso (Simon), che ha bombardato il canestro azzurro (6/10 da tre) senza che si riuscisse a porvi rimedio. Gallinari, condizionato dai falli, in campo è stata l'unica certezza dell'attacco; Bargnani male con 2/7 dal campo e l'ultima parte passata in panchina in favore di un Melli decisamente più in palla (alla vigilia sarebbe stato più prevedibile il contrario). Belinelli, in campo 38' a tirare la carretta, ha sparacchiato (4/15) e perso 4 palloni ritrovandosi ad agire da playmaker e unico riferimento dell'attacco. Proprio quest'ultima osservazione è l'iceberg di un problema più generale che ha fatto maturare il dramma italico nella finale di Torino: troppi attacchi non giocati, 1 contro 5 spesso esasperato che ha portato, esattamente come un anno fa a Lille, a giocare senza playmaker e, con in campo Gallinari, Belinelli e Gentile, a finire sempre con un isolamento.

Gentile: -20 di plus minus, ma non è tutta colpa sua

Ovviamente non possiamo buttare via tutto e non siamo qui per addossare colpe ai singoli, perché la pallacanestro è uno sport di squadra: si vince e si perde insieme, allenatore compreso. E non a caso il problema riscontrato come maggior danno per questa squadra è stato proprio collettivo, nella costruzione di un gioco che nelle tre partite precedenti ci aveva stupito in positivo (non sempre), proprio perché estremamente diverso da quello visto negli ultimi anni di Italia. Sicuramente merito della Croazia, che si è adattata bene e ha difeso meglio rispetto al primo confronto, innervosendo i nostri e mettendoli presto fuori dalla partita, ma tanto demerito agli azzurri. Il -20 di Ale Gentile ad esempio è un numero che non possiamo non citare. Lui che nei match precedenti aveva saputo essere quell'arma in più uscente dalla panchina, è stato il peggiore in campo (lo dicono i numeri) e ha chiuso con una palla persa dopo rimbalzo catturato che ancora brucia.
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Alessandro Gentile, Italia-Croazia, LaPresse

Credit Foto LaPresse

Melli e Hackett

Non possiamo purtroppo appellarci alla bella prova di Gallinari (12 punti, 8 rimbalzi e 4 assist), che è stato in campo solo 25 minuti per problemi di falli e ha lasciato i suoi senza il punto di riferimento per tutto i supplementare, e di Datome, autore finalmente di una prova solida (12 con 5/9 dal campo) ma assente (5° fallo) negli ultimi minuti di passione. Né ai singoli più positivi di queste quattro partite, Hackett e Melli: giocatori arrivati come satelliti attorno alle stelle di primo piano che sono stati però i più costanti e produttivi (10 e 18 di valutazione per Daniel, 11 e 17 per Nicolò).
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Daniel Hackett, Italia-Croazia, LaPresse

Credit Foto LaPresse

Disabituati a vincere insieme

Le colpe, come i meriti, vanno suddivise (l'occhio critico della stampa è puntato principalmente su Bargnani e Gentile) e anche Messina ha la sua parte di responsabilità. E' stato certamente difficile creare un nuovo sistema di gioco e cambiare la mentalità difensiva della squadra in così poco tempo, ma la scusante (che lo stesso coach ha voluto non prendere come alibi) della stanchezza non regge - anche i giocatori delle altre squadra hanno giocato stagioni lunghe e massacranti. A Messina va dato atto di aver puntato, a ragion veduta, sulla difesa e di aver stimolato la dedizione di tutti, che si sono applicati senza risparmiarsi. Altrettanto però va detto dell'attacco, che in tutte le partite disputate in questo mese non ha mai dato l'idea di poter avere una continuità e, se con Messico, Tunisia e squadra di non alto livello le cose potevano venire facili, all'ostacolo più duro (la Croazia in entrambe le partite), i movimenti di palla si sono ridotti notevolmente, gli assist sono diventati assoli e le collaborazioni sono diventati isolamenti. Problema di uomini? Di guida tecnica? Probabilmente una semplice mancanza di abitudine a vincere, che porta questa generazione di potenziali campioni a doversi sempre scontrare con la dura realtà di un basket che possono governare singolarmente nei rispettivi club (perché inseriti in contesti già vincenti), ma che una volta unita insieme non riesce a produrre risultati e successi.
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