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Calcio, i 5 motivi del naufragio del progetto Superlega

Carlo Filippo Vardelli

Aggiornato 21/04/2021 alle 14:11 GMT+2

SUPERLEGA - Sono state 48 ore surreali. Le ultime che abbiamo vissuto, su questo pianeta terra, per chi parla di sport, sono state ore difficilmente ripetibili. Il progetto Super League, che doveva cambiare il calcio per sempre, è nato ed è morto nel giro di un paio di nottate.

La colère des fans de Chelsea contre la Super League (Stamford Bridge)

Credit Foto Getty Images

Sono state 48 ore surreali. Le ultime che abbiamo vissuto, su questo pianeta terra, per chi parla di sport, sono state ore difficilmente ripetibili. Il progetto Super League, che doveva cambiare il calcio per sempre, è nato ed è morto nel giro di un paio di nottate.Dal terremoto di domenica al "fate voi perché non so proprio come chiamarlo" di martedì. Dallo scisma d'Europa al solito vecchio calcio, con Ceferin e Infantino di nuovo seduti comodi sui loro troni. Hanno tremato, ma hanno vinto. Anzi, più che "hanno vinto", sono gli altri ad aver perso. Più precisamente, tutti i Super Leaguisti che, come succede spesso d'estate, si sono innamorati della donna giusta una volta finita la vacanza.

Come mai questo progetto è crollato?

Ora che la morte sembra appurata - il quotidiano portoghese A Bola nel ruolo del medico legale sembra comunicare proprio questo - è arrivato il momento di provare a capire il perché. Perché questo progetto così grosso, ricco e potente è durato meno di un battito d'ali? Come mai martedì sera si è consumata la retromarcia più gigantesca di sempre? L'Inghilterra ha fatto da traino? In questo pezzo (che non ha nessuna presunzione di raccontarvi l'assoluta verità) proveremo ad analizzare i 5 motivi che hanno causato lo schianto.

Il mondo del calcio

Mentre la Super League era ancora nel pieno del proprio splendore (lunedì pomeriggio), credo che molti abbiano sottovalutato la potenza di calciatori e allenatori. Già lunedì sera, un illuminante pezzo di The Athletic parlava di come molti calciatori non fossero affatto felici di questa proposta. Avevano paura di parlarne apertamente, ma nella "segretezza" delle loro chat WhatsApp si davano un gran da fare.
L'articolo non scavava molto nel dettaglio, per ovvia mancanza di particolari, ma i nomi di Richarlison, Ander Herrera, Bruno Fernandes, Daniel Podence erano scritti a chiare lettere. Altri anonimi rivelavano di non essere nemmeno stati avvertiti dal club di questa nuova coppa che, a quanto si diceva ieri, sarebbe partita a settembre 2021. Insomma, una situazione folle che, poi, nella giornata di martedì, molti allenatori hanno vomitato in conferenza stampa. Uno su tutti Guardiola, che ne ha fatto proprio un discorso di principio.
Dalle 18 circa di martedì, la barca Super League ha iniziato ad inclinarsi, e allora anche i calciatori si sono finalmente sentiti liberi di esprimere la loro visione. Mentre Aymeric Laporte cercava di candidarsi per la prossima edizione di LOL, intasando Twitter di Meme, i giocatori del Liverpool hanno firmato e condiviso una specie di comunicato che rivelava al mondo intero il pensiero comune. "Non ci piace e non vogliamo che succeda". In quel momento, tutti hanno percepito quanto sia stata decisiva la loro opinione.
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Tifosi

Però, prima dei calciatori, non bisogna dimenticare l'azione dei tifosi. Soprattutto quelli britannici. Come scriveva Simone Eterno proprio ieri, l’enorme reazione popolare, mossa da alcuni degli opinionisti più influenti, ha spaccato in due la connessione club-comunità che da sempre caratterizza la terra della Regina Elisabetta. I tifosi hanno preso d'assalto le strade, hanno fatto confusione e hanno votato quasi all'unanimità (90%) contro la Super League sulla pagine della BBC.
La Superlega è stata percepita come l’ultima mossa per strappare i club dalle proprie radici, dalla propria gente, dai propri luoghi, da quel concetto di People’s game, per consegnarlo a un progetto multinazionale in cui i tifosi non si sentivano rappresentati. La gente di Londra e Manchester, infatti, seguendo le orme di Liverpool, ha fatto quello che sentiva dentro: protestare. Una cosa che, tradotta negli episodi di Londra, ha costretto i club a riordinare le proprie priorità.
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L'influenza politica della Premier

E sempre rimanendo in Inghilterra, forse la prima scossa capace di rovesciare il tavolo, ribaltando il piano inclinato che voleva la Super League, è da ricondurre alla potenza della Premier League. Il campionato più ricco del mondo - ricavi per 5,9 miliardi di euro nel bilancio del 2019 - ha scoperto di avere un fronte veramente compatto. I 14 club fuori dai giochi, gli esclusi, si sono subito allineati alla (durissima) posizione del primo ministro Boris Johnson.
Essendo la Super League un prodotto nettamente più appetibile sul mercato, e quindi anche più costoso in termine di diritti, la Premier League avrebbe perso quel dominio economico, di cui sopra, duramente conquistato. Anche Mihajlovic e De Zerbi si sono espressi con pareri molto forti, uniti a quelli di Atalanta, Cagliari ed Hellas Verona, ma nessuno come la Premier League ha saputo creare una sorta di diga capace di bloccare il flusso di denaro che stava partendo verso le casse della Super League. Magari non sarà il campionato preferito da tutti, ma il ruolo recitato dagli inglesi nella rottura è stato fondamentale.
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Comunicazione e TV

Usciti dal tourbillon del calcio oltremanica, occorre toccare anche gli ultimi due temi che hanno portato al naufragio della Super League: Comunicazione e TV. Proprio lunedì pomeriggio, nel pieno delle maxi dose che stavamo subendo, nel silenzio italiano più totale, Amazon Prime Video Sport ha iniziato a disintegrare l'idea con un comunicato molto chiaro e molto diretto.
"Capiamo le proteste dei tifosi. Crediamo che la bellezza del calcio debba passare attraverso le imprese sul campo e non siamo stati coinvolti nell'idea della Super Lega". Una decina di righe che, rilette oggi, offrono una sconcertante fotografia della mancanza comunicativa del progetto Super League. Come sottolinea Francesco Costa su Twitter: "In un mondo in cui tutti comunicano e promuovono tutto, dal salumiere sotto casa fino alla grande multinazionale, questi pensavano di stravolgere il calcio mondiale senza una media strategy. Senza contendere spazio e argomenti a quelli che sapevano gli avrebbero fatto la guerra".
"Senza rispondere ai dubbi, senza marketing, senza spot, senza testimonial, senza pundits, senza social, senza mandare presidenti e dirigenti promotori a parlare 24/7 su tutti i giornali e le tv del mondo. Con un comunicato e un sito costruito in venti minuti. Il danno reputazionale e di immagine è inquantificabile e per alcuni irreversibile."
"Per fare un esempio tra mille: questa contrarietà unanime non era così imprevedibile, alla luce della sua esistenza da vent’anni. Secondo voi hanno fatto sondaggi? Focus group? Li hanno fatti così male da non vederla? O l’hanno vista e hanno voluto affrontarla facendo... niente? Questo non era il piano." In poche parole: un disastro.

Conclusioni

Ciò che caratterizza gli esseri viventi è il ciclo vitale, le cui tappe sono: nascere, crescere, riprodursi e morire. Questa Super League non può nemmeno considerarsi vivente, perché è morta ancora prima di essere nata e cresciuta. Tutti i progetti folli portano con sé una gigantesca dose di rischio, ma in territori come quelli del calcio alcuni rischi sono nettamente più pesanti di altri. Forse questa mega-bolla (ormai scoppiata) servirà a negoziare un calcio migliore, più attento e più bravo a capire i momenti del mondo, o forse sarà solamente una figuraccia di proporzioni epiche. Lo scopriremo strada facendo.
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