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Il Tar respinge

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Pubblicato 19/03/2008 alle 13:01 GMT+1

Non è stato accolto il reclamo presentato da Luciano Moggi al Tar del Lazio, che ha confermato la sentenza i Calciopoli, ossia i cinque anni di inibizione da ogni carica federale dell'ex direttore generale della Juventus

Luciano Moggi si è visto respingere il ricorso presentato al Tar del Lazio, che ha invece ritenuto legittimi gli atti che hanno portato alla sanzione dell'inibizione per cinque anni da tutte le cariche federali e l'ammenda di 50 mila euro inflitta nel luglio 2006 all'ex direttore generale della Juventus nell'ambito del processo di 'Calciopoli'. I giudici della III sezione ter, presieduti da Italo Riggio, infatti, hanno emesso oggi la loro sentenza con la quale hanno respinto il ricorso amministrativo proposto dallo stesso Moggi per contestare quella decisione.
"Le intercettazioni raccolte - si legge nella sentenza - sono certamente sufficienti e supportare l'intero impianto probatorio con la conseguenza che, ove pure ne fossero state aggiunte altre, la conclusione non muterebbe". Non solo, per il Tar l'interpretazione del significato delle intercettazioni coinvolgenti Moggi è adeguatamente e logicamente motivata nelle decisioni degli organi federali e risulta compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, secondo la formula ricorrente nella giurisprudenza penale. Infine, "è escluso che le intercettazioni sulle quali gli organi di giustizia sportiva si sono basati per comminare le sanzioni non siano idonee ad assurgere a prova dell' illecito contestato a Moggi".
Moggi inoltre aveva dedotto davanti ai giudici del Tar del Lazio, anche che la decisione della Caf nei suoi confronti fosse viziata da contraddizione, essendogli stato imputato di aver alterato la classifica del campionato di calcio senza alterare il risultato di singole partire. Dai giudici amministrativi, anche questa censura non è stata ritenuta suscettibile di una valutazione positiva. Il Tar, "Non rileva, al limite, che l'arbitraggio sia stato effettivamente parziale, ma piuttosto l' idoneità degli atti compiuti a conseguire il risultato lesivo, ovvero la messa in pericolo del bene protetto".
"Risulta infatti palese - si legge sempre nella sentenza - da una corretta lettura dell'articolo 6, comma 1, del Codice di giustizia sportiva, che ciò che si è inteso qualificare come 'illecito sportivo' non è soltanto l'avvenuta alterazione, con mezzi fraudolenti, del risultato di una determinata partita ma, a monte e innanzitutto, la creazione di una struttura sapientemente articolata su interessati rapporti con i centri decisionali della Federazione e della classe arbitrale, la cui funzione non è certamente quella di assicurare ad una determinata società un'immagine di strapotere sul piano organizzativo e funzionale, ma di ingenerare a suo favore una situazione di sudditanza psicologica da parte sia degli arbitri che delle altre società, e al tempo stesso di assicurare alla società protetta la consapevolezza che in caso di bisogno non mancheranno tempestivi interventi idonei a fronteggiare eventuali situazioni di pericolo".
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