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Lavagna tattica: Il Barcellona, Luis Enrique e il 3-3-4: l'antidoto alla Juve o il canto del cigno?

Mattia Fontana

Aggiornato 11/04/2017 alle 18:50 GMT+2

Nel momento peggiore della stagione, i blaugrana si sono risollevati grazie alle scelte iper-offensive che hanno permesso di ribaltare il PSG e di ritornare a volare anche in campionato (prima del ko di Malaga, giunto però con il 4-3-3): proviamo a capire cosa potrebbe dare questa eventuale arma contro i bianconeri di Massimiliano Allegri.

2017, Messi, Neymar, Suarez, Barcellona, LaPresse

Credit Foto LaPresse

Un enigma. Il Barcellona che si presenta a Torino per affrontare l’andata dei quarti di finale di Champions League è una delle formazioni più difficili da inquadrare dell’intera attualità calcistica. Non tanto perché il ko di sabato sera a Malaga abbia scompaginato i piani di Luis Enrique, quanto perché è parso confermare quanto i catalani siano incapaci di gestire la normalità. Anche la riscossa dell’ultimo mese e mezzo, del resto, era stata improntata su uno squilibrio. Il 3-3-4 varato da Lucho nel momento peggiore della stagione. Proviamo a capirne di più, con l’aiuto di Wyscout.

Il 3-3-4 di Luis Enrique:

Il 3-3-4 del Barcellona
La formazione del Barcellona contro il PSG, l’assetto tipo per il 3-3-4. Esce un terzino, entra un centrocampista duttile come Rafinha. Ma, soprattutto, Messi può oscillare tra il ruolo di punta, quello di trequartista ma anche interno di centrocampo. Una soluzione molto simile a quella già tentata in passato da Pep Guardiola e Tito Vilanova. L’infortunio di Rafinha, però, parrebbe aver già minato il progetto tattico di Luis Enrique.

Il cambiamento

Due mesi fa, sembrava tutto perduto. Il 14 febbraio, il Barcellona perdeva 4-0 sul campo del PSG e metteva un piede fuori dalla Champions League. Per ribaltare tutto, era necessario ribaltare un risultato mai recuperato nella storia del calcio. Ma, Luis Enrique, è riuscito a dare la scossa. Innanzitutto a livello emotivo, annunciando che avrebbe lasciato il club a fine stagione. E, poi, anche a livello tattico. La mossa decisiva – specie per la remuntada” contro il PSG – è stato il passaggio al 3-3-4 varato il primo marzo contro lo Sporting Gijon. Un 6-1 netto che ha dato il via a una serie di 7 vittorie su 8 partite, compreso il ribaltone contro i francesi. Luis Enrique non ha sempre fatto ricorso al modulo in questione, visto anche l’infortunio di Rafinha nelle ultime settimane. Ma, nel momento peggiore del proprio triennio catalano, è riuscito a invertire la rotta fino al ko di sabato sera a Malaga. La prima sconfitta nella striscia, giunta però con il 4-3-3.

Come si sviluppa il nuovo modulo

Rispetto al 4-3-3 tradizionale, il 3-3-4 si sviluppa con Neymar largo a sinistra, Rafinha a destra e Suarez a presidiare la profondità. In tutto ciò, viene lasciato intonso il centrocampo e preferibilmente aggiunto un difensore centrale al posto di un terzino (Umtiti per Jordi Alba). Ma, soprattutto, a cambiare è la posizione di Messi. Che, in sostanza, può muoversi da numero dieci, oscillare tra centrocampo e attacco, decidere quando accelerare e quando frenare. Il dinamismo ridotto dei giorni meno felici, viene compensato dal lavoro sulle fasce dei due esterni d’attacco, mentre Suarez può vantare sempre una spalla con cui attaccare centralmente le difese avversarie. L’altro attaccante è solitamente lo stesso Messi, ma in alternativa è uno dei due interni di centrocampo (Iniesta o più probabilmente Rakitic) con cui si va a scambiare di posizione.
Il 3-3-4 del Barcellona
Senza Umtiti, non inquadrato, ecco il 3-3-4 del Barcellona. Neymar e Rafinha danno ampiezza alla manovra giocando molto larghi, Suarez funge da punto di riferimento offensivo. Il tutto mentre Messi va a scambiarsi posizione costantemente con Rakitic e Iniesta. Il modo migliore non solo per andare all’uno contro uno contro la difesa a quattro di Emery, ma anche per insinuare dubbi nei posizionamenti della retroguardia del PSG.

Cosa può dare in più, cosa può togliere

Per quanto possa sembrare paradossale, il Barcellona ha tratto benefici non soltanto dal punto di vista offensivo, ma anche negli equilibri difensivi. Gli assedi a cui l’atteggiamento troppo attendista degli avversari costringono gli uomini di Luis Enrique, sono resi più imprevedibili dalla maggiore libertà conferita a Messi. E, al contempo, un difensore centrale in più garantisce meno svarioni e più copertura sulle eventuali ripartenze. Sembra in sostanza una risposta in salsa catalana alla crisi del centrocampo di possesso che sembra contraddistinguere il calcio europeo dell’ultimo periodo. Ma i punti interrogativi non possono mancare. Innanzitutto perché, con l’infortunio di Rafinha, Luis Enrique non ricorrerà al modulo salvifico nella sfida di Torino. E, soprattutto, perché una scelta così offensiva sembra la conferma delle proprie insicurezze e dell’incapacità del Barcellona a fare partite normali. Fino a quando si tratta di giocare in rincorsa, per vincere e farlo con il risultato più ampio possibile, i catalani restano la miglior squadra al mondo. Quando, invece, si tratta di gestire, qualcosa sembra essersi inceppato negli ingranaggi blaugrana. E, questo, sarà un aspetto non di poco conto nel doppio confronto con la Juventus.
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