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Dal Manchester City al Milan, passando per il Paris Saint-Germain: la morte del Financial Fair Play

Lorenzo Rigamonti

Aggiornato 14/07/2020 alle 17:13 GMT+2

Dopo la decisione del Tas di annullare la sentenza UEFA che eslcudeva il Manchester City dalle prossime coppe europee, urge ritrovare il senso (perduto) del Fair Play Finanziario. Quali sono i valori in gioco? Che cosa ha comportato il suo fallimento?

Opinion FFP

Credit Foto Eurosport

La sentenza del Tas di Losanna che ha “scarcerato” il Manchester City rappresenta il fallimento del Fair Play Finanziario, un set di regole introdotte nel 2011. In fase di concettualizzazione, l’idea pareva chiara e limpida: bilanciare le spese dei club, proteggere le società da investimenti azzardati e di dubbia provenienza/credibilità, controllare i budget e le rose per appianare le differenze di potere economico tra club ricchi e poveri, consegnando alla prossima generazione un calcio basato sui principi di merito sportivo e sull’abilità di valorizzazione delle proprie risorse.
Non male come idea di partenza, ma il problema si è manifestato subito in fase d’applicazione della regola; a un decennio di distanza dal cambio di paradigma, il calcio si vede costretto ad ammettere l’evidenza: il divario tra club ricchi e poveri si è dilatato ulteriormente, e a pagare le sentenze del FFP è sempre una fascia precisa di club, mentre altri riescono a evitare sanzioni attraverso pressioni politiche e cavilli legali. Quello che era un provvedimento atto a circoscrivere “l’ingiustizia” dei vecchi capitalisti alla Berlusconi o alla Moratti, abituati a investire a piacere sul mercato (ammesso che si possa definire ingiustizia la libertà di investimento imprenditoriale), si è rivelato un incentivo per la nuova generazione di magnati, questa volta provenienti dall’Est. Perché il tallone d’Achille del Fair Play Finanziario è sempre uno, e si chiama sponsorizzazione. Un modello di finanziamento che l’Uefa si è dimostrata incapace di regolamentare, controllare e sorvegliare. E non è un caso che le maggiori indagini in merito alla sponsorizzazione illecita da parte di grandi club siano state avviate grazie alla breccia di hackers nella corrispondenza segreta di queste squadre.
Il Fair Play Finanziario soffre dunque di un angolo cieco, che ha permesso ai club degli sceicchi (ma anche ai top club extra-sponsorizzati) di germogliare in libertà aggirando le regole e i principi che la maggior parte delle squadre europee si devono caricare sulle spalle. E nessuno può negare l’incredibile aiuto prestato al nostro calcio dai mercati asiatici, in grado di soddisfare la voracità sul mercato dei giganti europei e al contempo di tenere a galla le piccole società che hanno potuto vendere a prezzi monstre i loro rari gioielli. È dunque evidente il fallimento del sistema ideologico imposto dalla Uefa, incapace di generare un importante attrito rispetto alla spinta opposta del mercato libero e globalizzato. Squadre come il Manchester City e il Paris Saint-Germain hanno dimostrato come sia possibile aggirare o addirittura violare le regole del Fair Play Finanziario grazie alla maschera delle sponsorizzazioni provenienti da marchi appartenenti a fondi familiari, atti a gonfiare le casse dei club attraverso metodi tutt’altro che trasparenti.

La sentenza del Manchester City condanna... l'UEFA

La sentenza di Losanna non ha condannato il gruppo qatariota al comando del City, bensì l’ideale di Nyon. Esclusione dalle coppe revocata, e multa ridotta da 30 a 10 milioni di euro. Manchester City scagionato senza una giustificazione dettagliata (la stiamo ancora aspettando) della sentenza. Un ruolo chiave che ha portato a questa decisione è sicuramente l’elemento temporale: molte prove fornite dagli hacker risultano suscettibili a limiti temporali (5 anni) entro i quali il giudizio del FFP non può concretizzarsi. Queste indiscrezioni inchiodavano nettamente il City: il finanziamento attraverso il network comune delle proprietà qatariote era stato mascherato sotto le vesti di sponsorizzazioni poco trasparenti. Un modo per gonfiare le proprie casse alla vecchia maniera eludendo le regole Uefa sulla parità di bilancio. Il Tas di Losanna ha infine accolto il caso dei Citizens, che ora godranno dei benefici economici e di immagine apportati dalla Champions League, blindando la panchina di Guardiola e i contratti di giocatori chiave. Una sentenza difficile da digerire per chiunque: per la Uefa in primis, ma anche per i club inglesi in competizione con il City, e per tutte le società che hanno dovuto subire le sentenze Uefa o trovare costosi compromessi.
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Khaldoon Al Mubarak, Chairman of Manchester City, and Ferran Soriano, CEO of Manchester City

Credit Foto Getty Images

Il precedente del Paris Saint-Germain

Una dinamica analoga ha investito anche il Paris Saint-Germain. La squadra di Nasser Al-Khelaifi era stata indagata dal Comitato di Controllo Finanziario per una presunta violazione delle regole di Fair Play Finanziario. Un’indagine che aveva infuocato il dibattito di media e opinione pubblica, siccome nel 2017 i parigini erano riusciti ad ingaggiare prima Neymar per 222 milioni e poi Mbappè per 145 milioni di euro. Ma l’indagine Uefa, secondo quanto riportava il New York Times al tempo, è andata depotenziandosi a causa di motivi (o interessi) poco chiari. La partecipazione in Champions del PSG è stata salvata da Al-Khelaifi sfruttando un altro tecnicismo. Il Tas ha poi imposto il veto sulla proposta di riapertura del dossier nel 2018. Un affare nebuloso dunque, soprattutto se si ripensa all’elezione dello stesso Al-Khelaifi come rappresentante dell’ECA (la stessa entità che aveva puntato il dito per le spese folli dei francesi) nel Comitato Esecutivo della Uefa. Anche in questo caso l’Uefa ha chiuso gli occhi davanti agli accordi di partnership con imprese legate ai proprietari qatarioti e soprattutto su un enorme contratto con l'Autorità del Turismo del Qatar.
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Neymar et Mbappé

Credit Foto Getty Images

Il peso del Fair Play Finanziario sulle italiane

Anche il Milan ha dovuto invischiarsi con delle indagini Uefa a proposito di Fair Play Finanziario a partire dal 2018. L’allora proprietà di Yonghong Li non era riuscita a garantire alcuna sicurezza sull’estinzione del debito in un periodo di breve termine o sulla continuità aziendale. La punizione per le irregolarità nel Fair Play Finanziario tra il 2014-17 è stata poi ribaltata dal Tas grazie all’ingresso del gruppo Elliott in casa del Diavolo, che ha garantito un programma di investimenti per tre anni.
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Maldini

Credit Foto Getty Images

Il Tas non ha potuto evitare nuovamente l’esclusione l’anno successivo: Milan fuori dall’Europa League 2019/2020 in quanto non ha rispettato la regola del break even nel triennio compreso fra 2015 e 2018. Il temporaneo esilio europeo del Milan è servito a guadagnare tempo utile a pareggiare il bilancio. Tra le italiane, l’Inter ha dovuto concordare un Settlement Agreement nel 2015 per rimediare alle passate infrazioni di Fair Play Finanziario. L’accordo transattivo ha obbligato i nerazzurri a raggiungere il pareggio di bilancio entro la stagione 2018/2019, tra limitazioni e multe.

Cosa succederà al FFP? Tabula rasa o perfezionamento?

A questo punto la sfiducia verso un sistema del tutto incoerente comincia a stregare i dibattiti sul tema. L’idea di partenza del FFP non è sbagliata, ma c’è bisogno di far chiarezza sul metro di giudizio applicato ai diversi attori del mercato calcistico. In molti reclamano maggiore flessibilità per le squadre più bisognose e incapaci a rientrare nei parametri Uefa con le proprie forze. Molto caldeggiata è la formula del tetto salariale, già in uso nei principali sport statunitensi, che di certo limiterebbe le spese e lo strapotere economico delle big d’Europa rispetto alle squadre medio-piccole.
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