Calcio, Europa, fattore campo in crisi: l’Italia si adegua
Aggiornato 23/10/2020 alle 11:52 GMT+2
Nell’Europa del Covid in cui il Real perde nel suo tinello dalle riserve dello Shakhtar, le italiane si adeguano in fretta alla crisi del fattore campo.
Era il primo round, d’accordo, ma fra Inter, Lazio e Napoli in casa ha vinto solo la Lazio. Ben quattro su quattro, in compenso, i successi esterni. A conferma che le porte chiuse (o quasi) un loro peso ce l’hanno.
JUVENTUS 7
Più concreta, più solida (dice Pirlo) e più razionale di Crotone (dicono molti). Mi aspettavo una Dinamo meno pallida, tanto da aver «paventato» un pari: viceversa, Madama l’ha dominata per 70’. Non si tratta di rimbalzare da un eccesso all’altro: si tratta di misurare i piccoli passi avanti nel pressing, nel dribbling, di Chiesa, di Cuadrado (a destra, naturalmente). Alvaro Morata-Juventus: questione di feeling: tre gol in due partite senza Cristiano, materiale per i gossip. Gli spiccioli di Dybala, al debutto stagionale, vanno al di là della mera statistica. Su Kulusevski: come punta è soffocato, ha bisogno d’aria (più che d’area).
LAZIO 8
La sorpresona. Dallo 0-3 di Marassi al 3-1 al Borussia Dortmund: prendete la logica e ribaltatela. Ho sbagliato previsione, non il fatto che gli attacchi avrebbero sbranato le difese. Ciclopico il duello, a distanza, fra Immobile e Haaland: un gol a testa, ma Ciro qualcosa di più. La dorsale Acerbi-Lucas Leiva-Immobile è stata la chiave. Inzaghino ha ritrovato la Lazio di trincea e baionetta che ogni tanto gli sfugge. Capace di colpire, capace di soffrire. Senza trascurare la favola di Akpa Akpro: da Salerno alla Champions. I tedeschi stavano attaccando in massa. Il suo spillo li ha sgonfiati.
INTER 5
La «solita»: quando sembra in controllo, sbanda; quando punta tutto sulla riffa degli episodi, sbanca. Conte insiste sulla difesa a tre, sempre e comunque: contento lui. Se si crede in Eriksen trequartista, lo si confermi; altrimenti, ciccia. Continua a mancare equilibrio. E se Lukaku è la trave sulla quale poggia tutta la baracca, sono stati i singoli, ancora, a tradire; Kolarov nel derby (anche per la posizione «centrista» e, dunque, per la cocciutaggine del mister); Vidal contro il Borussia (il rigore dell’uno pari, la pennica su Hofmann). Non c’era Hakimi (positivo): Darmian è generoso, il marocchino un’altra cosa.
ATALANTA 8
Da Napoli al Midtjylland, da 1-4 a 4-0. Categorie diverse, per carità, ma era il battesimo in Europa e Gasperini voleva risposte nette, non amletiche: le ha avute. La Dea c’è. Un quarto d’ora di turbolenze, e poi via: diluvio sotto il diluvio. Zapata (dopo Morata, Immobile e Lukaku: evviva i centravanti), il papu Gomez (che gancio destro!), Muriel e l’ultimo della lista, Miranchuk. Parlare di impresa sarebbe di cattivo gusto, ma ricordo una Juventus di Conte che, in un paio di gite a Copenaghen, non andò oltre l’1-1. Ilicic, da parte sua, ha incrementato il minutaggio. Ebbene sì, c’è del calcio in Danimarca.
NAPOLI 5
Non più di quattro pareggi, l’AZ, nel suo campionato. E quel popò di focolaio sulle spalle. Eppure ha vinto, gol di De Wit (omerico, il pisolo di Koulibaly). Gattuso se lo sentiva. E’ stato un Napoli grigio, sterile, che dal possesso palla ha ricavato rare emozioni. Gira e rigira, Ringhio ha alternato Osimhen, Mertens, Politano, Lozano, Insigne (al rientro) e Petagna. Dunque, il turnover non c’entra. C’entra la «cazzimma» che, come l’amalgama, non si compra. Gli olandesi hanno giocato un calcio diligente, corale. Granelli di scuola. Scoppiati, sono ricorsi al catenaccio. E il Napoli, con chiunque avanzasse, ci sbatteva contro.
ROMA 6
Sotto di un rigore, pasticciona e avara. Poi i cambi. E con i cambi, la rimonta fino al sorpasso. Cinque, se escludiamo il portiere, significano mezza squadra: si è arreso alla qualità della Roma, lo Young Boys, prima che ai suoi limiti. La formazione di partenza era un inno al Milan di lunedì, più che agli scrosci di Berna. Non poteva non intervenire, Fonseca, vista la tristezza dell’impatto. Dentro, allora, Spinazzola, Dzeko (autore dell’assist per Bruno Peres), Mkhitaryan (sua la parabola per la sgrullata di Kumbulla), Pellegrini e Veretout. Non serve molto, a volte, per liberare il calcio dalle catene della lotteria.
MILAN 7
Buon segno, i gol che arrivano dalle riserve: Krunic, Brahim Diaz, Hauge. Il Celtic non è più lo squadrone che sancì il crollo della Grande Inter, nel 1967, a maggior ragione senza un popolo che gli urla la sua devozione. Il Milan di Pioli gli ha concesso una fettina in avvio e un’altra alla fine. Tutta sua, per il resto, la torta. E al graffio di Elyounoussi ecco, immediato, il morso del 3-1. In vetrina, Dalot e Tonali: il terzino, fascia destra in tasca; il centrocampista, decollo travagliato e rotta serena. Vent’anni, la maglia pesa. E Ibra? Controllava il traffico, serafico; e, al momento di uscire, un chierichetto.
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