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European Premier League: rottura, non rivoluzione

Francesco Sessa

Aggiornato 21/10/2020 alle 11:54 GMT+2

Il progetto di una Superlega europea da parte della FIFA ha scatenato il dibattito tra chi spinge per una nuova concezione del calcio e i romantici legati alla tradizione: tutti gli aspetti di una novità che sa di rottura e non di rivoluzione.

Gianni Infantino, numero uno della FIFA, insieme ad Andrea Agnelli, presidente della Juventus e numero uno dell'ECA, Getty Images

Credit Foto Getty Images

Siamo vicini alla rivoluzione nel mondo del calcio? In parte. Il progetto concreto di una Superlega europea da parte della FIFA , l'European Premier League, a partire dal 2022 è notizia lanciata ieri da Sky News UK e che ha fatto presto il giro del mondo. Inevitabile. Abbiamo già spiegato i dettagli: si tratterebbe di una competizione a 18 squadre tra Inghilterra, Spagna, Germania, Italia e Francia, con girone di andata e ritorno prima delle fasi finali tra le prime della classe. In ballo ci sono tanti soldi: centinaia di milioni solo per la partecipazione, per non parlare dell’eventuale vittoria finale. In Inghilterra si parla già di finanziatori (tra cui JP Morgan) disposti a investire fino a 4,6 miliardi di dollari.
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Agnelli: "L'obiettivo è vincere sempre, anche la Champions"

L'attacco di Tebas

"Questi progetti fatti sottobanco possono sembrare buoni forse solo quando ti trovi in un bar alle 5 del mattino"
C’è chi si è già opposto a questa ipotesi, come il presidente della Liga spagnola Javier Tebas: “Chi ha tirato fuori questa idea, sempre che sia reale, non solo dimostra una completa ignoranza dell’organizzazione e della tradizione del calcio europeo e mondiale, ma anche una grave ignoranza del mercato dei diritti audiovisivi. Questi progetti fatti sottobanco possono sembrare buoni forse solo quando ti trovi in un bar alle cinque del mattino”. Attacco durissimo, frontale. Senza fronzoli. Il tema non può che dividere, tra visionari e tradizionalisti, tra fautori di un calcio nuovo e romantici legati all’idea più genuina del pallone.

Modello basket: l'Eurolega

Il punto è abbastanza chiaro: non si tratta di una rivoluzione, ma di una rottura. La rivoluzione sarebbe una lega europea che sostituisca i campionati nazionali, una Serie A allargata con retrocessioni e promozioni. Siamo nel campo delle ipotesi irreali. Delle rivoluzioni di stampo filosofico che poi rimangono tali. Quella dell'European Premier League è un’idea elitaria: le big riconosciute del calcio mondiale avrebbero una competizione tutta loro, con buona pace del merito sul campo.
L’Eurolega di basket, in questo senso, è l’esempio più chiaro e il modello che viene preso in considerazione: un vero e proprio campionato “altro”, oltre alle leghe nazionali, tra l’élite della pallacanestro europea. Con le squadre escluse che partecipano alle coppe europee organizzate dalla FIBA. Ecco, la Superlega della FIFA sarebbe proprio questo, con la Champions League della UEFA che potrebbe raccogliere il resto.

Calcio d'élite e calendario fitto: è giusto?

Tecnicamente parlando: le squadre coinvolte nell'European Premier League (per l’Italia si parla di Juve, Inter e Milan) giocherebbero come minimo 34 partite di “regular season” in Europa oltre a quelle di Serie A. Senza considerare un’eventuale (e auspicata) fase a eliminazione diretta. Sostenibile? Anche in questo caso è bene guardare al basket: l’Olimpia Milano ha un roster enorme e centellina le energie per sostenere la doppia competizione.
Nel calcio è possibile giocare alla stessa frequenza? Il rischio è che i club possano snobbare il campionato nazionale, pur comunque dovendone prendere parte. Snobbare sì, ma con una potenza economica derivata dalla Superlega che creerebbe un divario enorme tra i club di élite e tutti gli altri. C’è poi l’aspetto più romantico: con la nuova competizione non ci sarebbe più spazio per una favola Atalanta, per una principessa Ajax o per un Porto campione d’Europa.
I confini nazionali sono stati distrutti, le distanze si sono ridotte. Ma un cambiamento di questo tipo sa tanto di rivoluzione a metà: i campionati nazionali restano, la distanza tra “grandi” e “piccole” aumenta a dismisura sotto tutti i punti di vista ma non si parla di campionato europeo vero e autentico. Una via di mezzo dominata dal denaro e dal desiderio di una casta calciofila, a costo di sacrificare tutto il resto. Con le briciole per gli altri. Davvero è il calcio che abbiamo sempre sognato?
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