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COPPA D'AFRICA 2021 - Il ct del Gambia Saintfiet spiega i segreti del suo miracolo a Eurosport: "C'è anche l'Italia"

Stefano Fonsato

Aggiornato 13/01/2022 alle 00:38 GMT+1

COPPA D'AFRICA 2021 - Un noncsoché di Jürgen Klopp formato globetrotter. E' Tom Saintfiet, "missionario del calcio", un personaggio unico, che arriva dal Belgio e che ha portato il Gambia per la prima volta alla fase finale di un torneo internazionale. In esclusiva a Eurosport racconta i segreti di un'impresa pazzesca: "Vi svelo come ho fatto". Nel suo staff, anche un preparatore italiano.

Tom Saintfiet (Getty Images)

Credit Foto Getty Images

Eroe nazionale. Così il belga Tom Saintfiet è stato definito a Banjul. Lui che, per la prima volta in assoluto, ha portato con mano il Gambia alla fase finale di un torneo internazionale. Nella fattispecie, la trentatreesima edizione della Coppa d'Africa. A vederlo muoversi, esprimersi, appassionarsi di calcio ha quel "nonsoché" di Jürgen Klopp, formato globetrotter. Belga, ex centrocampista di Westerlo e Lommel, nonostante i 48 anni suggeriscano un'età ancora verde nella professione di allenatore, Saintfiet è già arrivato alla sua ventunesima panchina. Di una carriera partita da "missionario del calcio", prima in Costa d'Avorio, nel Satellite Abidjan e, subito dopo in un posto "agli antipodi" come le Isole Fær Øer, tecnico del B71 Sandur, nella stagione 2002-2003. Da qui, nell'ordine: Telstar (Olanda), al-Gharafa (Qatar), nazionale Under 17 del Qatar, Cloppenburg (Germania), Emmen (Olanda), RoPS Rovaniemi (Finlandia), nazionale Namibia (dove ha conosciuto sua moglie zimbabwiana Cheryl), nazionale Zimbabwe (per sole due settimane, dopo essersi rifiutato di convocare solo calciatori militanti nel campionato locale), Shabab al-Ordon (Giordania), nazionale Etiopia, Young Africans (Tanzania), nazionale Yemen, nazionale Malawi, Free State Stars (Sudafrica), nazionale Togo, nazionale Bangladesh, nazionale Trinidad & Tobago, nazionale Malta e, dal 2018 la nazionale del Gambia, lingua di terra che perfora il Senegal. E' qui che Saintfiet, che ha sempre conservato i propri incarichi per periodi molto brevi, sembra aver trovato casa, trovando chissà dove un posto in paradiso per gli Scorpioni, ora impegnati nel gruppo F insieme a Tunisia, Mali e Mauritania. Ed è proprio per Eurosport Italia, che Saintfiet - personaggio estremamente affabile, dalla cultura enciclopedica e di cui si può davvero disquisire su qualsivoglia argomento - racconta la sua straordinaria impresa.
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Tom Saintfiet ai tempi dell'esperienza da ct del Malawi

Credit Foto Getty Images

Mister Saintfiet, da dove partiamo, dalle isole Fær Øer?

"No, partiamo dalle serie minori del Belgio, il mio paese, da cui ho cominciato ad allenare. Si, è vero, sono passato da una parte all'altra degli emisferi, più volte, da un giorno all'altro. Ma senza pensare di essere un globetrotter del pallone. Spesso a voi giornalisti affascinano queste figure e, seduti sulle panchine delle nazionali africane, effettivamente ce ne sono tante. Ma, almeno per me, non si programma il fatto di girare il mondo per insegnare calcio. Capita e basta. Le Fær Øer? Diciannove anni fa, quando mi proposero la panchina del B71 Sandur, molti mi presero per matto. All'epoca la nazionale perdeva tutte le partite e il clima, diciamo, non è mai stato dei più clementi. Nel tempo, hanno dimostrato di essere un paese ben organizzato, nonostante le piccole dimensioni e l'isolamento geografico. E si sono tolte grandi soddisfazioni, andando a fare punti anche contro nazionali di blasone".
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Tom Saintfiet nelle vesti di commissario tecnico di Malta (Imago)

Credit Foto Imago

Dalle burrasche di Torshavn ai 50 gradi di Doha in meno di un anno...

"Dopo una breve parentesi in Olanda al Telstar, mi ritrovai ad allenare nel massimo campionato qatariota, proprio nel momento in cui la passione per il calcio si stava diffondendo da quelle parti. All'epoca avevo a malapena 30 anni, guidavo l'al-Ittihad (oggi al-Gharafa, timonata da Andrea Stramaccioni ndr) e vedevo sfilare, nel campionato che mi trovavo ad affrontare, gente che - fino ad allora - avevo visto solo in tv: Gabriel Omar Batistuta, Pep Guardiola, Frank LeBoef, Claudio Caniggia... In quella squadre, pensate, ho allenato anche l'ex City Djamel Belmadi, ct dell'Algeria campione in carica in Africa. In quell'anno crebbi tantissimo a livello professionale".
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Tom Saintfiet nelle vesti di commissario tecnico di Malta (Getty Images)

Credit Foto Getty Images

Flash forward Gambia

Una lingua di terra piuttosto tormentata da estrema povertà e tensioni sociopolitiche, uno tra i più piccoli paesi africani, duramente provato di 22 anni dal dittatore Yahya Jammeh, che resse al potere fino al dicembre 2016. Migranti che affrontano viaggi della speranza - con conseguenze anche devastanti - e che, se fortunati, trovano spazio in Europa, in quel continente in grado di avverare sogni che, fino ad allora, erano sempre rimasti tali, in un posto con niente da offrire. Non è un caso che la nazionale degli Scorpioni stia sbocciando proprio in questo momento storico. Un paese, quello di Banjul capitale, che nel 2018 sceglie proprio Saintfiet, proveniente dall'esonero a Malta. Dunque la domanda sorge spontanea: com'è stata possibile un'impresa del genere? "Dall'insieme di tanti fattori, è evidente, quando il risultato è così grande - prosegue Saintfiet -. Quando mi chiamarono, la nazionale gambiana aveva vinto una sola partita negli ultimi 5 anni. Ed era considerata, non solo come dimensioni dello stato, alla stregua di Lesotho, Swaziland (Saintfiet è talmente corretto da pronunciarlo col suo nuovissimo nome 'eSwatini', ndr) o Gibuti. Davanti ai dirigenti della Federcalcio di Banjul, però, ho subito detto di voler portare il Gambia in alto, perché il materiale umano e professionale con cui lavorare c'era. Sparso in giro per il mondo ma c'era. Quel giorno mi presero per pazzo".
Chi vince la Coppa d'Africa?

Ebbe ragione, eccome, Saintfiet il "visionario"

"Non si tratta di essere visionari, ma capire che essere il commissario tecnico di determinati paesi comporta un certo tipo di lavoro, se veramente si è lì per accrescerne il livello calcistico. Come già avevo fatto per le altre selezioni fin lì allenate, mi occupai di redigere un approfondito lavoro di ricerca sui giocatori convocabili in giro per il mondo, essenzialmente in Europa. Ho lavorato con gli alberi genealogici, sulle origini di genitori e nonni. Questo è un lavoro che spesso, in Africa, non si hanno i mezzi per poterlo fare. Ecco che, allora, per esempio, abbiamo convinto a giocare per noi Noah Sonko Sundberg, centrale difensivo dell'Östersund, nato a Stoccolma da padre svedese e madre gambiana; il terzino sinistro Leon Guwara, oggi al Ratisbona in Zweite Bundesliga ma ex Werder Brema, nato e cresciuto in Germani. Ancora, più di recente abbiamo inglobato Saidy Janko, di Zurigo, che ha fatto tutta la trafila con le nazionali giovanili della Svizzera. Grande caratura tecnica, ex di Manchester United, Celtic, Porto, Nottingham Forest, Young Boys Berna e, oggi, al Valladolid. C'è anche il laterale mancino arrivato dalla Norvegia e scuola Rosenborg Robin Bjørnholm-Jatta. In questi giorni sto cercando di convincere anche Mahdi Camara, centrocampista classe 1998 del Saint-Etienne, che la scorsa estate fu vicino al Milan. Speriamo di riuscirci".

Il percorso di qualificazione

"La nazionale gambiana era così poco considerata che dovette partire, per accedere ai gironi qualificatori, addirittura da un turno preliminare. Sfidammo Gibuti. Ero proprio agli inizi del mio lavoro a Banjul e non c'era ancora consapevolezza delle proprie potenzialità. Arrivando da una vittoria negli ultimi cinque anni, era anche comprensibile. Sfida andata e ritorno, senza troppi appelli. Finì 1-1 in entrambi i casi e vincemmo ai calci di rigore, in casa, con rete decisiva dell'ex Salernitana e Vicenza Lamin Jallow. Va da sé che, nel girone con Gabon, Congo ex Zaire e Angola, eravamo dipinti come la vittima sacrificale. E invece, partita dopo partita l'entusiasmo saliva e finimmo addirittura in testa al raggruppamento".
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Ascoli-Vicenza, Serie B 2020-2021: Lamin Jallow (Vicenza). Foto di Giuseppe Bellini per Getty Images)

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Un miracolo?

"Se vogliamo lasciarci andare alla retorica, sì. Ma, in realtà, in Africa se ci si mette di impegno e con tanta organizzazione alle spalle, nessun risultato è escluso. Oltre al mio lavoro, ho avuto ottime risposte dalla federcalcio gambiana: strutture consone, viaggi sicuri e tanti fiducia. Aspetti che contano parecchio in questo continente".

Tattica e mentalità "italiane". Così come il preparatore atletico e lo scout

"Se pensiamo da outsider, coi piedi ben saldi a terra, possiamo battere chiunque. Diversamente, qualsiasi avversario può batterci. In Camerun sarà importante avere l'approccio giusto a ogni partita. Il Gambia è una nazionale che prevede continui margini di miglioramento. Quelli già ottenuti, sono arrivati essenzialmente grazie ai giocatori che militano nei campionati europei. Il nonplusultra sono i giocatori che arrivano dall'Italia: hanno una preparazione tattica superiore agli altri. Che giochino in Serie A, B o C, il background è simile, grazie agli straordinari allenatori che il vostro Paese ancora possiede.Sanno difendere bene e la scuola italiana non ha eguali, è sempre stata di ispirazione per me. Difesa o no, in generale, la nazionale che alleno si è arricchita molto con Omar Colley della Sampdoria, Ebrima Darboe della Roma, Musa Barrow del Bologna e scuola Atalanta, così come Ebrima Colley dello Spezia.
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Darboe, storia da brividi: dal campo profughi alla Roma

E, ancora l'attaccante del Crotone Musa Juwara, l'ala sinistra del Perugia Kalifa Manneh, il centrocampista del Piacenza Yusupha Bobb e il portiere della Virtus Verona Sheikh Sibi. Citerei anche, ovviamente, Lamin Jallow, che ora gioca al Mol in Ungheria. Con gente come loro, finalmente sognare si può". C'è talmente tanta italia nella nazionale di oggi del Gambia, che è stato necessario affidarsi innanzitutto di uno scout nel Bel Paese, Alessandro Soli (con esperienze passate al Piacenza, all’Hoffenheim in Germania e, in Grecia, all’Aek Atene) e addirittura del preparatore atletico, il giovane partinicese ex Trapani (con mister Roberto Boscaglia), Daniele Caleca, che incrociò Saintfiet nella nazionale maltese, anch'essa parte del suo curriculum.

Anche il Mondiale 2026?

"Ci saranno 48 partecipanti. Finalmente anche l'Africa avrà qualche posto in più passando da 5 a 9. Finora, qualificarsi alla fase finale di una Coppa del Mondo è stato pressoché proibitivo. Ci arrivano sempre le stesse squadre, creando così un circolo vizioso per cui, per le altre, diventa complicatissimo svilupparsi. Personalmente ho esteso il mio contratto col Gambia fino al 2026 proprio per centrare l'impresa di portare gli Scorpioni in Usa, Canada e Messico. Io dico che se gente del calibro di Darboe ed Ebrima Colley continuerà a fiorire, si può pensare di raggiungere ogni tipo di obiettivo".

Ma cos'è più importante nel calcio: Messi, CR7, la Premier League o le favole tipo Gambia?

"Eccetto il Gambia, ha citato tutte macchine da soldi. Bellissime e sgargianti, senza dubbio, ma pur sempre macchine da soldi. Gli interessi economici, in quei casi, superano di gran lunga quelli sportivi. Non dico che sia sbagliato, ma io sono un romantico e mi emoziono di più per le belle storie come quella del Gambia. Del calcio e delle emozioni che sa trasmettere. Il calcio è bello e ha motivi d'interesse e divertimento ovunque: da Wembley a quello giocato a piedi nudi dai bimbi africani. Dalla Premier League alle isole Fiji".

Il settimo pallone d'oro di Messi?

"Per me l'avrebbe meritato Lewandowski. Il problema è il tipo di votazione, che andrebbe probabilmente rivisto".

"La mia Africa"

"L'Africa mi ha dato tantissimo. Anche mia moglie Cheryl, originaria dello Zimbabwe e conosciuta in Namibia nel 2009, e mia figlia Nikekwa. Ma mi sento di poter allenare ovunque, in ogni continente, come ho già dimostrato di poter fare. Mi sento un cittadino del mondo. Gli ultimissimi tempi li ho passati più in Europa che in Africa ad aggiornarmi e a seguire giocatori potenzialmente convocabili. Il mio punto di riferimento resta l'Italia".

Ecco, appunto, gli Azzurri riusciranno a qualificarsi per i Mondiali?

"E' già stato inconcepibile assistere all'edizione di Russia senza l'Italia. Io, da ragazzino, sono cresciuto coi miti di Paolo Rossi e Dino Zoff al Mundial '82... Un Mondiale senza gli Azzurri, non è un vero Mondiale. Mancini è stato bravissimo a soverchiare ogni pronostico, la scorsa estate, andando a vincere gli Europei. Vedrete che, a marzo, ce la farà".
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I ct che operano in Africa, solitamente hanno un soprannome: Lei ne ha uno?

"Oltre al Gambia, sono molto legato alla Namibia, paese in cui ho coronato per la prima volta il sogno di guidare una squadra nazionale. Fu un percorso di risultati molto soddisfacente, così mi chiamarono "The Saint", il Santo, giocando col mio cognome".
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