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Diego Armando Maradona, i ricordi della redazione di Eurosport: le diapositive del mito

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DaEurosport

Aggiornato 27/11/2020 alle 01:40 GMT+1

MARADONA - I personali ricordi di Diego Armando Maradona della redazione di Eurosport. Come lo abbiamo visto, come lo abbiamo vissuto. Chi lo ha ammirato dalla tv, chi dallo stadio ai tempi in cui vestiva la maglia di Napoli e Argentina, chi ne ha solo sentito parlare o l'ha vissuto di rimando: per ogni appassionato di calcio che si rispetti la sua figura non può che suscitare fascino.

Diego Armando Maradona

Credit Foto Imago

Qualcuno di noi ha avuto la fortuna di vivere la sua epoca, qualcuno può addirittura vantarsi di averlo visto dal vivo allo stadio: ad altri le sue gesta sono state invece tramandate da padri, fratelli o amici, ma la sostanza non cambia: chi ha visto giocare Diego Armando Maradona, indipendentemente dalla piattaforma, non può che essere rimasto folgorato dal suo genio calcistico. Ecco alcune diapositive di Maradona, filtrate attraverso ricordi che con estremo piacere ci sentiamo di condividere.

"Ho visto Maradona"

Difficile scordarlo. Anche perché è stata la mia prima volta allo stadio. Milano, San Siro, 8 giugno 1990. Match inaugurale di Italia 1990, con l'Argentina di Diego Armando Maradona campione in carica. Colori, musica, allegria - anche grazie alla spensieratezza dei tanti tifosi africani - sono ancora indelebili nella mia memoria. Certo, il gol di Omam-Biyik e l'impresa che diede vita alla leggenda dei Leoni Indomabili in quel caldo pomeriggio di giugno hanno un filo inquinato (positivamente) il mito di Maradona. Ma ricordo ancora la mia curiosità, da bambino, di entrare per la prima volta in uno stadio e di ammirare il più forte di tutti. Rimasi ipnotizzato per tutto il riscaldamento e per almeno 10-15' minuti iniziali di gioco su ogni tocco, passo e movimento di quel numero 10 argentino. Immobile su di lui. Stregato, ammaliato, incuriosito, affascinato. Bellissimo. Poi, come spesso accade, la magia del calcio mi trasportò in un'altra dimensione a godermi tutto il resto dello spettacolo. Gracias Diego. (Alessandro Brunetti)
29 aprile 1990, il Napoli vince il suo secondo scudetto, trascinato ovviamente da Maradona: Diego strappa il microfono a Giampiero Galeazzi (inviato Rai) e comincia un sensazionale giro di interviste, lui ai suoi compagni. Lì traspare tutto l'amore che il 10 nutriva per il Napoli e tutti componenti: dal presidente Ferlaino (lì ancora un po' si volevano bene), passando per allenatore e compagni (invitati tutti a "restare anche l'anno prossimo") fino allo storico massaggiatore Carmando (definito "un fratello"). Personalità, carisma, amore incondizionato: anche e soprattutto per questo sarà ricordato Diego Armando Maradona. (Davide Bighiani)
Napoli, quartieri Spagnoli. Accanto a Totò, Massimo Troisi e Pino Daniele c’è Diego. Nel cuore pulsante di Napoli, nelle fibre dell’apparenza partenopea c’è Diego che è nato a 10km da Buenos Aires, non da Fuorigrotta. Nella città che straripa di tradizione e attaccamento al folclore che l’essere napoletani comporta, Maradona è il dio pagano eletto con la maggioranza assoluta. Ha fatto sicuramente più per tutti noi che per se stesso, in questa sua prima vita terrena. Non posso dire, purtroppo, di “Aver visto Maradona” ma ho visto il mondo dopo di lui che pur non avendolo capito sempre, nelle sue scorrazzate nell’aldilà, è diventato un posto migliore. (Francesco Balducci)
La mia diapositiva indelebile risale al tardo pomeriggio del 24 giugno 1990, ottavo di finale mondiale Brasile-Argentina: lo vidi in tv – da settenne già innamorato del Gioco – al Bar Bell’Italia della "mia" Motta Visconti, provincia di Milano. Il Brasile assediò gli argentini senza sosta fino a quando Diego Armando Maradona, dal nulla, si portò a spasso tutta la squadra avversaria mettendo Caniggia davanti alla porta con un assist dell'altro mondo (con il piede destro!!!). Risultato: Brasile 0, Argentina 1. Diego aveva il (super) potere di vincere le partite da solo. Anche quando non era al top della forma, anche quando non era proprio attorniato da fuoriclasse. Esattamente come in quel torrido pomeriggio di Italia 90. (Paolo Pegoraro)
Non ho mai visto giocare Maradona dal vivo in uno stadio, ma non lo considero un rimpianto. Anzi, al contrario, la ritengo una fortuna. Grazie a lui, infatti, ho imparato a sognare, ad abituarmi al bello, al magico e all'impossibile. Non è affatto retorica e vi spiego perché. Se ascoltavi Tutto il calcio minuto per minuto alla radio (all'epoca lo facevano tutti e naturalmente lo facevo anch'io) i gol di Maradona ti venivano raccontati dalle voci di Ameri, Ciotti, Ferretti, Provenzali. Loro ti dicevano, ad esempio, che Diego aveva appena segnato con un pallonetto di sinistro spalle alla porta da 30 metri. E tu pensavi: "Non è possibile, come avrà fatto?". Poi, ore dopo, guardavi 90° Minuto e ti rendevi conto che l'aveva fatto davvero. E ancora ti raccontavano che Maradona aveva segnato di testa da 25 metri. "No dai, avranno esagerato". Ma era esattamente così. Potrei fare tanti altri esempi, non cambierebbe la mia conclusione: Maradona mi ha fatto vedere un calcio che non pensavo potesse esistere. (Simone Pace)
Diego Maradona ai tempi del Napoli
Nel gennaio 2015 mi trovavo a Napoli, ospite da un amico, per assistere a Napoli-Juventus. Chiaccherando con il padre del mio amico mi venne detta una frase che ricordo nitidamente e che mi porteró sempre nel cuore: "Diego era uno di noi, é stato amato perché lui era il piú napoletano dei napoletani, era nato per stare qui". Ed é la veritá, perché senza Napoli, senza il Napoli, senza quella cittá e quei tifosi, non ci sarebbe stato alcun trionfo Mondiale e alcuna leggenda. Il mito é nato e rimarrá lí, sotto il Vesuvio, in quella terra che lo tratterá e ricorderá per sempre come un "Dio". (Enrico Turcato)
Per chi ha iniziato a seguire il calcio negli anni 2000, il 10 vuol dire Totti o Del Piero. O tutti e due. Va da sé che non ho mai potuto vedere una partita di Maradona, né in televisione né dal vivo: non posso minimamente capire cosa voglia dire la sua scomparsa per chi l’ha vissuto in prima persona. Per me Diego è Storia scritta sul marmo perché non vissuta, è l’inizio di tutto quello che ho iniziato ad apprezzare da appassionato. I racconti, le testimonianze e i filmati sono solo una traccia, un segno che rende tangibile l’ignoto, anche a chi non ha potuto viverlo. Gli occhi di chi racconta sono la più bella testimonianza di quello che è stato e di quello che è tutt’ora, e che sempre sarà. Mi sono perso anche i Beatles, ma posso dire di conoscerli. Come posso dire di conoscere Diego. Non posso testimoniare nulla, posso solo ricevere. E tutto quello che figure di questo tipo generano, è testimonianza di qualcosa di grande e magnifico. Ogni epoca ha i suoi eroi: sono grato di rivivere le loro gesta grazie a chi li ha vissuti in prima persona. E spero che anche la mia generazione possa fare lo stesso con chi verrà in futuro. Il tramandare la conoscenza è pratica antica come l’uomo: per qualcuno Diego è stato vita, per altri come me è sempre stato storia. Ma l’empatia e il sacro culto dello sport mi portano a provare sensazioni forti, come chi c’era. E’ il bello di essere uomini. (Francesco Sessa)
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Ceri, lacrime e dolore: Napoli piange Maradona

Ho visto Maradona ballare sul mondo. Anzi, mentre palleggia con un mappamondo è la prima volta che mi torna in mente. Lo tiene ai suoi piedi, lo carezza coi pensieri e poi lo calcia via. Maradona è un dio sinistro. Ho visto Maradona con la gente della mia età, odiandolo per amore di una fragile grandezza. Me milanista in campionato, ho visto Maradona beato, Maradona arrestato, Maradona rinato. Maradona caduto. Maradona infinito. Oggi Maradona è un santo maledetto. L’ho visto fatto di sangue e gol immensi. (Fabio Disingrini)
Garella; Renica, Bruscolotti, Ferrara, Ferrario; De Napoli, Bagni, Romano; Maradona; Carnevale, Giordano. Avevo appena due anni e 6 mesi quando – nella primavera del 1987 - Diego fece impazzire Napoli, regalando il primo scudetto della storia a una squadra meridionale (a sud di Roma). Di Maradona mi ha sempre affascinato ed estesiato la capacità di elevare col suo talento e il suo carisma, il valore di squadre modeste, che senza di lui non avrebbero mai raggiunto quelle vette. Portò una delle seleccion Argentina meno talentuose della storia a conquistare la Coppa del Mondo nel 1986 e qualche mese dopo fece lo stesso con quel Napoli, che – escluso Maradona - di giocatori nel giro della Nazionale aveva solamente Bagni e il giovane De Napoli. Eppure la Juve di Platini, il primo Milan di Berlusconi, l’Inter del Trap e di Rummenigge dovettero piegarsi a un Maradona strabiliante, un supereroe in missione per conto dei napoletani che non avrebbe avuto pace fino a che non avrebbe regalato a quel popolo, che sin dal primo istante lo aveva accolto e riverito come un re, “na gioia grande”. (Stefano Dolci)
Lothar Matthäus e Diego Armando Maradona nella sfida del 28 maggio 1989 che diede lo Scudetto all'Inter contro il Napoli
Maradona mi ha fatto piangere. Se non hai ancora compiuto dieci anni e in quell'estate italiana del '90 non hai spazio per nient'altro che non sia un pallone, Diego sta dall'altra parte. È sempre stato dall'altra parte, prima e dopo, in mezzo tanti tocchi al cuore ogni volta che il suo sinistro disegnava. Dall'altra parte è complicato da spiegare, quando una parte della famiglia che è lì con te, in quell'estate, è argentina. Da quella parte, ieri, mi è arrivato un messaggio: "casi se paró el país..". Il più grande di tutti. "Ya lo era, pero ahora empieza el mito". (Fabio Fava)
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Maradona, camera ardente al Governo e folla per le strade

Mezz’ora dopo la sua morte ho ricevuto una telefonata. Era mia nonna. Che non mi chiama mai e che crede che il calcio sia quella cosa che si fa coi canestri. Ci teneva a dirmi: “Hai visto, è morto Maradona!”. Diego era di tutti, in una certa misura. Per chi l’ha visto giocare dal vivo era un’epifania continua, lo si percepisce dai loro racconti. Per chi come me è nato troppo tardi e l’ha conosciuto solo attraverso uno schermo, è stato soprattutto tre cose: un modo di dire, per riferirsi a qualcosa di meraviglioso e inarrivabile. Un numero, el diez, il più bello che c’è. Ispirazione, quando al campetto sotto casa si tentava di scimmiottarne – goffamente - le gesta. Per questo no, non morirà mai. . (Marco Castro)
Diego Maradona con Napoli sullo sfondo.
Io sono del 1995. Maradona l’ho vissuto nei racconti della gente. E quando la gente parla di Maradona, gli occhi prendono vita. Non serve parlare di tecnica, Maradona è questo. Luce per la gente. (Carlofilippo Vardelli)
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MARADONA, L'ULTIMA PARTITA GIOCATA NEL SUPERCLASICO 1997

Maradona è una canzone, quel Live is Life che, chiudendo gli occhi, ognuno sente nella propria testa immaginando D10S palleggiare e accarezzare il pallone con una leggiadria fuori dal comune. Maradona è poesia, quella del calcio, nella sua massima espressione. Maradona è la luce negli occhi di amici, colleghi e parenti che raccontano le sue gesta, il suo talento, la pagina più "azzurra" della storia del calcio. Maradona è il santino di Maradona appeso in camera dell'amico napoletano che: "Toccatemi tutto, anche la famiglia, ma non Diego!". Nemmeno lui ha avuto la fortuna di vederlo in campo dal vivo, ma i racconti del padre gli sono bastati per elevarlo a idolo dell'infanzia. Maradona è la voce e le lacrime di Victor Hugo Morales, la radiocronaca che per chi non ha avuto l'onore di vederlo in campo, ha saputo immortalare la grandezza del più grande numero 10 della storia del calcio. Il mio Diego Armando Maradona è tutto questo, quello che vive nei ricordi, nelle parole e nei video. Ma quando si è così grande, basta anche solo questo per far saltare il cuore in gola e farti venire la pelle d'oca... (Samuele Ragusa)
Diego per me è infanzia. Non ho avuto il privilegio di ammirare i suoi "numeri" ma accanto a me ho avuto papà, zii e nonno a raccontarmi cos'è stato per la loro città. Ricordo il 29 aprile 1990. Era una domenica ed eravamo tutti a casa mia per festeggiare... Il mio compleanno in teoria. Ma è stata solo una scusa per stare insieme e guardare la Rai che per l'occasione trasmetteva la partita in diretta. Diego per me sono stati i litigi con gli amichetti del parchetto. Difenderlo sempre e comunque era un mantra, nemmeno fosse mio fratello. Diego per me è stato un Napoli-Frosinone di fine stagione 2006. La mia prima volta nel SUO STADIO. Napoli in SerieC e quella numero 10 che per l'ultima volta, fortunatamente, calcava il terreno del San Paolo. A indossarla per l'ocassione il Pampa Sosa. Un Argentino. Non certo un giocatore dai piedi sopraffini, ma con la sua maglia fece un gol alla Maradona. Un pallonetto da fuori area girato di schiena, l'ultima volta della 10 al San Paolo non poteva certo essere un gol banale. Diego per me è il 30 ottobre 2017 la data in cui è nata mia nipote. Festa grande a casa mia, festeggiare due volte è ancora più bello. Diego per me è sempre lei, Alice, che canta con me, OLE OLE OLE OLE DIEGOOO DIEGOOO. (Francesco Quatraro)
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Maradona spiegato dai campioni: perché era il Dio del Calcio

Donadoni: parato. "Dai che adesso Zenga glielo para! Dai che adesso Zenga glielo para!". E invece no. Tra le tante meraviglie inventate da Diego, c'era anche il rigore "alla Maradona". E onestamente mi sono sempre chiesto: come fa un penalty, calciato così piano e rasoterra, a finire immancabilmente in rete? Eppure andava sempre a finire così: col portiere spiazzato. E avevo 6 anni in quell'indimenticabile Mondiale di Italia '90, il mio primo, nitido ricordo del calcio. Che, fino a quel momento, grazie a al mio eroe Salvatore Schillaci, avevo vissuto solamente da vincitore. Ero sicuro che l'Italia ce l'avrebbe fatta anche quella volta della semifinale del 3 luglio e, dopo il gol di Totò, tutto mi portava a non dovermi ricredere, avvolto come sempre tra le braccia del mio inseparabile nonno Dino. Poi Caniggia, poi Diego che infiammava il San Paolo, poi i rigori. Alla nuova parata di Goycochea, questa volta su Aldo Serena, un pianto a dirotto, interminabile. La prima sconfitta della mia vita scorreva insieme alle immagini di Maradona giubilante alla tv, insieme alla mestizia composta che filtrava dall'inconfondibile voce di Bruno Pizzul. Era il calcio, era la vita. Mio padre che mi diceva con un incipit tutto vercellese e, al contempo, citando i Rokes: "Bel mat (bel bambino), bisogna saper perdere: non sempre si può vincere". Una lezione che, anche grazie a Diego, mi è preziosa ancora oggi, dopo 30 anni da quell'indelebile serata di lacrime amare. (Stefano Fonsato)
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Tagliafico, riscaldamento-tributo a Maradona

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