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Euro 2020: appuntamento con la storia: dai leoni di Highbury a quelli di Wembley, le grandi sfide in Inghilterra

Lorenzo Rigamonti

Aggiornato 10/07/2021 alle 18:13 GMT+2

EURO 2020 - Dalla prima battaglia di Highbury nel 1934 alla prima vittoria a Wembley nel 1973, per finire con la magia di Zola nel 1997. Espugnare Wembley questa domenica non ha mai contato così tanto.

Fabio Capello, Gianfranco Zola, Federico Chiesa: i Leoni di Wembley

Credit Foto Getty Images

Diciamocelo francamente: questa Inghilterra sarà pure sporca e fortunata, ma come ogni avversario meritevole di arrivare in finale, ci arreca un pizzico di paura. A intimorirci non è tanto l’appuntamento con la squadra - una rosa ornata da tanti leader tecnici ma anche da tanti punti di domanda - bensì l’appuntamento con la storia. Domenica sera, varcheremo come un sol uomo la soglia di Wembley: i cancelli che fecero chinare il capo pure a Pelè, che definì l’antico (ora rifondato) nido di Londra “la cattedrale del calcio”. Ai piedi delle due torri imperiali bianchissime, i grandi del calcio si sono spesso ritrovati col fiato corto. Oggi, sotto il ciclopico arco dello stadio, l’effetto è rimasto invariato. A Wembley, che si vinca o si perda, lo si deve fare in apnea. Perché lì è sedimentata un’antica regola mai scalfita dal tempo: battere gli inglesi nel tempio del calcio è un'impresa per chiunque.
Ma è proprio sotto l'ombra dei bastioni di Wembley, che un popolino azzurro - lo stesso che gli inglesi etichettavano come consorzio di umili, zozzi camerieri – è riuscito a inchiostrare le migliori pagine della sua epopea. Perché per vincere a Wembley contro l’Inghilterra non basta la tattica, o un calcio pulito: a Wembley bisogna sopravvivere alla baraonda sonora, al peso incombente della storia, a tutti quei calcoli che si ingigantiscono nella testa finendo per svuotare le gambe. Per passare a Wembley, servono gli uomini. Ecco perché le vittorie azzurre in terra d’Albione sono ricordate come prove di tenacia e carattere, prim’ancora che d’espressione calcistica. Ecco perché, paradossalmente, i più cullati successi azzurri d’Oltremanica risultano essere sconfitte oppure vittorie in amichevoli.
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Southgate e Kane ammettono: “Il rigore era soft”

I primi Leoni di Highbury

Infatti, la matrice delle fortune azzurre nell’uggiosa Londra fu impressa proprio da una “lieta” sconfitta in amichevole: il sentore popolare incoronò la sconfitta di Highbury (stadio dell'Arsenal, nella parte nord di Londra) per 3-2 come una vera e propria vittoria, e fu proprio in quell'occasione che si impiegò per la prima volta l'espressione "Leoni di Highbury": a battezzare così l'ostinata prova degli Azzurri fu Nicolò Carosio, radiocronista EIAR. Era il 14 novembre 1934, e l’Italia Campione del Mondo venne dirottata nella foschia del Nord di Londra dall’ingenuo fervore dialettale del Duce. Gli Inglesi infatti non avevano preso parte al Campionato del Mondo, e dopo aver vinto in casa, gli Azzurri erano ancora succubi dei loro capricci: si sarebbe giocato in Inghilterra, a casa degli inventori del gioco più bello al mondo, per una resa dei conti epocale. Non a caso, la "battaglia di Highbury" fu cantata subito con toni e termini bellici.
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Battle of Highbury

Credit Foto Eurosport

Infarinati da nebbia, brina e pioggia, gli Azzurri si specchiarono come infausti precursori del destino tragico che sarebbe toccato a molti alpini nel successivo conflitto Mondiale: sotto un’ingestibile intemperie, sfiancati dal gioco duro scambiato con gli inglesi e in inferiorità numerica dopo l’infortunio del centromediano Monti (non era ancora l’epoca delle sostituzioni), gli Azzurri di Pozzo diedero vita a una “vittoriosa ritirata”. Sotto 3 gol a zero nei primi 12 minuti, gli Azzurri accorciarono dignitosamente con la doppietta di Meazza. Alla fine gli inglesi ne uscirono vincitori, ma con un ego decisamente ridimensionato. Dall’infima bocca di Highbury si era liberato un ruggito di leoni: ma, tra lo stupore degli inglesi, proveniva dalla parte dei nostri.

I Leoni di Wembley

Lo stesso giorno di trentanove anni dopo, la Nazionale guidata da Valcareggi completò il riscatto dei Leoni di Highbury, ma questa volta tra le mura della roccaforte inglese, Wembley. Si trattava anche in quel caso di un’amichevole, che tuttavia caricava sugli spalti di Wembley un peso capitale. Italia e Inghilterra, da sempre antitesi di filosofia calcistica, di Metodo e Sistema, di difesa e attacco. In quel novembre del 1973, l’Italia spronata da Rivera, Chinaglia e Riva accese un estemporaneo bagliore prima di abbandonarsi ad un decennio cupo, color piombo. La gara fu decisa da un tap-in di Fabio Capello. ma fu soprattutto la partita dell’emigrato Chinaglia, che dopo aver ceduto gli anni della sua formazione alla terra gallese, sigillò finalmente il proprio cerchio di sangue. Fu anche la partita di Facchetti e Burgnich, pilastri e polmoni di una difesa a presa stagna capace di assorbire tutto l’impeto delle offensive inglesi.
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Dino Zoff, Inghilterra-Italia 1973

Credit Foto Getty Images

Nella tana dei grandi maestri, di fronte alla cattedra dell’alta scuola calcistica, gli italiani insegnarono ancora una volta agli inglesi che cosa volesse dire combattere con un popolo nel cuore. Gli Azzurri dedicarono quel trionfo ai valorosi giocatori del 1934 e agli italiani emigrati (e spesso denigrati) oltremanica in cerca di fortuna, che quel giorno si presentarono in 30.000 sugli spalti. Sui gradini di Wembley infatti, i 30.000 tifosi azzurri rivaleggiarono a pieni polmoni con i restanti 70.000 inglesi, generando una sfida nella sfida, per l’ennesima volta in inferiorità numerica.

1997: Zola gela Londra

A gole spianate si consumò anche l’altra grande vittoria dell’Italia in terra d’Albione: il 12 febbraio 1997 gli Azzurri di Cesare Maldini salparono alla volta di Wembley per giocarsi la qualificazione al Mondiale di Francia. L’Inghilterra di Shearer, Le Tissier e Beckham si presentava con la solita altezzosità, corroborata dal primato della classifica a gironi con tanto di punteggio pieno. Ma l’atmosfera di Londra in quei giorni era febbricitante: i tabloid e gli opinionisti britannici erano ben al corrente del potenziale distruttivo incamerato dagli scarpini di Gianfranco Zola, altro figlio britannico proprio come Chinaglia. E fu proprio Magic Box a punire la retroguardia inglese dopo soli venti minuti di gioco, grazie a una coordinazione felina seguita da scarico potente su lancio chirurgico di Costacurta.
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Inghilterra-Italia 1997

Credit Foto Getty Images

L’Italia del ’97 espugnò Wembley anche con un pizzico di follia, tutta compressa nei tocchi del folletto Zola. Fu lui l’uomo da copertina, in grado di incendiare la terra che lo aveva abbracciato per 7 anni al Chelsea, la stessa terra che gli aveva conferito l’onore di Membro dell’Ordine dell’Impero Britannico dalla regina Elisabetta. Finì 1-0 per gli Azzurri, anche grazie alla solita saracinesca abbassata da Peruzzi nella ripresa. Ancora una volta vincemmo la guerra dal ventre inglese, con la firma di un infiltrato.

2007: l'exploit del Pazzo all'inaugurazione di Wembley

Lan targa azzurra sul nuovo Wembley ce la mise Giampaolo Pazzini nel 2007: dopo 5 anni di cantieri e fango, il nuovo Wembley venne inaugurato dalle nazionali inglese e italiana under 21. Gli Azzurrini di Casiraghi calcarono la nuova prateria londinese esclusivamente per divertirsi: coadiuvato dalle geometrie di Rosina e Montolivo, il Pazzo si scatenò con una tripletta. Prima un doppio passo a spiazzare Ferdinand concluso da un tiro a fil di palo a spaccare la porta, poi un aggancio al volo su una palla vagante nel cuore dell'area, e per finire un fulmineo diagonale in contropiede. Finì 3-3, con gli Azzurrini che, non avendo nulla nè da giocarsi nè da perdere, strapparono un'ovazione da parte del pubblico britannico.

2021: non ha mai contato così tanto

Domenica sera, 24 anni dopo l’ultima vittoria contro gli inglesi a Wembley, l’Italia di Mancini si riaffaccia al libro dei suoi grandi antenati. Nell’arco di questi 5 lustri, solo un grande scontro ci ha regalato una grande gioia, pur consumandosi a Kiev. Ad Euro 2012, il cucchiaio di Pirlo sancì definitivamente il crollo dei maestri dal piedistallo del calcio. Alla fine di quel torneo, in verità, non gioì nessuno: la Spagna in finale ci rifilò quattro dolorosissime reti, decretando il fallimento di un progetto senza una ferrea filosofia di fondo.
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Federico Chiesa bejubelt seinen Treffer zum 1:0 in der Verlängerung gegen Österreich

Credit Foto Getty Images

Questa domenica invece si ritorna sul palcoscenico immortale, con la consapevolezza che questa volta a Wembley ci si gioca un vero trofeo. Nelle fasi a eliminazione diretta di Mondiali o Europei ci siamo scontrati pochissime volte con gli inglesi (da ricordare la finalina per il terzo posto vinta a Italia 90, il quarto di finale di Euro 2012 ).
Niente più scontri simbolici, dialettici, culturali: quelli si sono stemperati sull’arco lungo del tempo. Sotto l’arco metallico di Wembley invece, ci giochiamo l’argento più pesante che ci sia. Ancora una volta in inferiorità numerica, dato che solo 1.000 tifosi hanno ottenuto il permesso di volare dal Bel Paese fino a Londra per unirsi agli italiani residenti nel Regno Unito. Ancora in soggezione per via dell’irruenza della storia, che però si è sempre dimostrata benigna nei nostri confronti. Col freddo di Highbury e i lamenti di un’eredità calcistica sulle spalle. Con la voglia di far abbassare loro testa e corona, colpendoli dall'interno.
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Southgate e Kane ammettono: “Il rigore era soft”

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