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Franz Beckenbauer, l’eleganza che anticipò il futuro

Roberto Beccantini

Pubblicato 09/01/2024 alle 08:20 GMT+1

CALCIO - Il leggendario calciatore tedesco, malato da tempo, è morto domenica. Da giocatore ha vinto due Palloni d'oro e un Mondiale, da allenatore il Mondiale italiano nel 1990. Ha inventato un ruolo ormai scomparso nel calcio moderno: il libero

Franz Beckenbauer

Credit Foto Imago

In morte di Franz Beckenbauer verrebbe voglia di mettersi sull’attenti. Fuse due ruoli in uno, ci sfrattò dai luoghi comuni. Sul serio. Per noi ragazzi del Novecento, è stato il simbolo della classe e dell’eleganza. La testa alta, i guanti ai piedi. E poi gli occhi: due radar. «Imperatore» per caso, durante una trasferta a Vienna, fine anni Sessanta. Lo portarono al Palazzo imperiale degli Asburgo. Un paparazzo lo sistemò vicino al busto di Francesco Giuseppe e scattò una foto. I giornali del giorno dopo titolarono, solenni: «I due Kaiser Franz». Sbocciò, così, una carriera diventata leggenda. Per i tedeschi, Beckenbauer sta(va) sopra il Cancelliere e sotto Dio, a conferma che il senso della misura può sfuggire di mano ovunque, non solo dalle nostre parti.
Bavarese fino al midollo, di Giesing, quartiere di Monaco, nacque tra le macerie di una guerra che, finita, continuava a sfinire. L’11 settembre 1945. Figlio di un postino, tifa per il Monaco 1860, i cugini di città, e ha 13 anni quando il Giesing lo offre in visione proprio al club che adora. Un avversario gli molla un cazzotto. C’è un’altra squadra a Monaco, certo che sì: il Bayern. E Bayern sarà. Anche se all’epoca pedalava in seconda divisione.
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Karl-Heinz Rummenigge, Franz Beckenbauer

Credit Foto Getty Images

La cronaca, per farsi storia, ha bisogno di snodi come questo. Il centravanti che arretra a mediano, e da mediano a battitore libero. Come Armando Picchi che, nell’Inter di Helenio Herrera, l’Inter della filastrocca Sarti-Burgnich-Facchetti, governava le trincee e scandiva il fuoco di sbarramento. Franz non si adagia. Ha in mente visioni che sfuggono ai diari di bordo, alle mode, ai modi di recitare (e mai di riciclare, se non a fine corsa). Libero, appunto: di difendere e di impostare. Di ostruire e di costruire. Se glielo ordinano, capacissimo di marcare persino Bobby Charlton, ma il meglio lo dà nel fondare una scuola, nel creare uno stile. Corre, la memoria, a Gaetano Scirea: colui che, più ancora di Franco Baresi, ne ha riecheggiato la postura.

Un palmares da sogno

Campione di tutto. Di Germania, d’Europa, del Mondo. Con il Bayern scolpì la tripletta del 1974-1976, a ruota del triplete dell’Ajax, l’Ajax di Johan Cruijff, sconfitto nella finale di Monaco ‘74, Germania Ovest-Olanda 2-1, la sfida dell’inizio-choc, una filiera di passaggi sino al rigore trasformato da un altro Johan, Neeskens. Quindi, per la goduria del pragmatismo italico di Gianni Brera, il penalty di Paul Breitner e la zampata di Gerd Muller. Bye bye cicale.
Due volte pallone d’oro. Re del mondo dal campo e dalla panchina, come Mario Zagallo e Didier Deschamps. Successe nel 1990, nella collana delle nostre notti magiche (tutte, meno una); 1-0 all’Argentina, un’ordalia sporca, brutta e cattiva, risolta da un rigore di Andreas Brehme, con i fischi dell’Olimpico all’inno argentino e il bouquet di «hijos de puta» di Diego Maradona al popolo berciante. Paolo Casarin ha raccontato che l’area tecnica per gli allenatori fiorì come idea proprio dal Kaiser ct. Il mal di schiena gli impediva di stare seduto. Chiese una deroga alla Fifa, gli fu concessa, ma nessuno poteva immaginare che da una banale lombalgia saremmo arrivati agli show di José Mourinho.

Beckenbauer nel mito

La data che ci sta più a cuore è il 17 giugno 1970. Semifinale della Coppa Rimet all’Azteca di Città del Messico: 4-3. Il piatto destro di Gianni Rivera e Franz con il braccio al collo, la spalla lussata, piegato ma non spezzato. E anche così, di un’armonia e di una leggerezza impareggiabili.
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Beckenbauer durante Italia-Germania 4-3 nel 1970

Credit Foto Imago

Bayern, dunque. Poi i Cosmos, gli acerrimi rivali dell’Amburgo e di nuovo ai Cosmos, a New York: dove aveva chiuso Pelé, chiuse lui. Donne, figli e soldi, head coach e dirigente, con l’accusa di aver comprato quattro voti per garantire al suo Paese i Mondiali del 2006. Aveva 78 anni. Ci lascia uno slogan: «Giocare alla Beckenbauer». L’eredità più bella.
=== Per commentare o fare domande potete inviare una mail a roberto.beccantini@fastwebnet.it o visitare il blog di Roberto Beccantini http://www.beckisback.it. ===
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