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Dall'abbandono al ritorno a Manila: la commovente storia del "missionario" Simone Rota

Stefano Fonsato

Aggiornato 31/12/2016 alle 14:53 GMT+1

L'ex difensore della Pro Sesto è stato eletto Uomo dell'Anno nelle Filippine, terra in cui è nato ma subito abbandonato in orfanotrofio. In cui è tornato 30 anni dopo essere stato adottato da una famiglia del Milanese. Ora è perno della nazionale degli "Azkals" e passa le sue giornate con suor May e suor Marilena ad aiutare i bambini più sfortunati: "La mia vita ora è qui", ha detto a Eurosport.

Il difensore-centrocampista Simone Rota, con la maglia della nazionale delle Filippine. E' il primo da sinistra, coinvolto in un contrasto col portiere compagno di squadra Neil Etheridge e l'attaccante nordcoreano Hyon Uk So (LaPresse)

Credit Foto LaPresse

Qualche anno fa chi seguiva, da addetto ai lavori o semplicemente da tifoso, il campionato di Serie C2 Girone A, si ricorderà sicuramente di lui. Occhi a mandorla e presenza fissa tra difesa e centrocampo della Pro Sesto, in cui ha militato per numerose stagioni, a più riprese. A un certo punto i radar del calcio nostrano se lo sono perso, non solo per la breve discesa nei campionati dilettantistici con le casacche di Borgomanero, Asti, Trezzano e Verbano. Bensì per la decisione, nell'anno delle sue trenta primavere, di cambiare vita e dedicarsi alle sue radici. Cercando di restituire qualcosa a chi lo aveva salvato.

Dall'orfanotrofio di Manila all'orfanotrofio di Manila. Un cerchio che si chiude

Salvato da quell'abbandono, appena nato, in un orfanotrofio di Manila - capitale delle Filippine -, gestito ancora oggi da suor May e suor Marilena. Succedeva a inizio 1985: a sei mesi di età si presentò una coppia di genitori del Milanese, i "Rota", che lo adottarono, gli diedero il cognome battezzandolo Simone. Insieme a lui, i Rota, abbracciarono un'altra bimba, Valentina, diventata così sua sorella. Entrambi, sulla carta d'identità, portano la stessa data di nascita, 6 novembre 1984. Ebbene, in quell'orfanotrofio, tre anni fa, Simone è tornato. E ora ci vive, per scelta, dando una grossa mano a suor May e suor Marilena, nell'accudire i tanti orfani che, a differenza di quanto accaduto a lui (e alla sorella Valentina), non sono riusciti a conoscere un mondo migliore.

Quel pensiero fisso di tornare alle proprie radici

"Ovviamente, che fossi un bimbo adottato, l'ho sempre saputo" - spiega Simone a Eurosport -: i tratti somatici non potevano nasconderlo. Ho sempre vissuto serenamente questa situazione anche se, fin da ragazzino, ho pensato a lungo alla mia terra di origine, alla mia storia, al fatto di poter fare, un giorno, qualcosa di utile". Un pensiero sempre più frequente, nel tempo. Nel mentre di una comune carriera di calciatore semiprofessionista. "Tra il 2013 e il 2014, però - prosegue - ho voluto sapere tutto nei dettagli, consultando le carte relative all'adozione. All'alba dei 30 anni ho sentito qualcosa, dentro di me, che non poteva più essere frenato e sono partito per Manila, con l'intento di stabilirmi per sempre".

Uomo dell'anno (con statua) per l'Azkal Foundation

Oggi Simone si è tolto una grandissima soddisfazione: il riconoscimento di uomo dell'anno dalla Azkal Foundation, sinonimo di calcio nelle Filippine. Perché "Azkals" è come vengono chiamati i giocatori della nazionale, in lingua tagalog "Cani di strada". Un premio che prevede una foto col ct di turno - l'americano Thomas Dooley, ex vice di Jürgen Klinsmann sulla panchina degli Stati Uniti, sino ai Mondiali di Brasile - e, soprattutto, la creazione di una statua bronzea come riconoscimento.

Il traguardo storico con la nazionale delle Filippine

"Il calcio nelle Filippine sta pian piano crescendo - spiega -. In marzo abbiamo anche battuto la Corea del Nord 3-2 nel girone della Seconda Fase di qualificazioni asiatiche ai Mondiali di Russia 2018. SIamo arrivati terzi a quota 10 punti, un risultato storico per noi, considerando il valore degli avversari. Oltre ai nordcoreani, c'erano infatti anche Yemen, Bahrain e, soprattutto, Uzbekistan". Il suo personale di marcia parla di 23 presenze con gli Azkals e due reti, entrambi realizzati contro il Laos, anche se in gare diverse: "Sono la bestia nera di quel paese", scherza Simone.

"La mia vita è e resterà a Manila"

Quindi, la descrizione della sua giornata tipo a Manila: "Qui gioco nell'Fc Stallion: non ho mai cambiato squadra in questi tre anni. Ci alleniamo sempre all'alba perché a queste latitudini, caldo e umidità diventano insopportabili nel pomeriggio per poter fare attività fisica. Quindi torno in orfanotrofio, do da mangiare ai ragazzi, aiuto nelle faccende quotidiane, andiamo in missione ad aiutare altri bambini poveri. Da qualche tempo, con la mia ragazza, abbiamo preso una casa, dove torniamo a dormire, dato che l'orfanotrofio, giustamente, ha orari di un certo rigore. Fino a poco tempo fa, però, quella è stata la mia unica casa". "Perché l'ho fatto? - chiosa - Perché voglio vivere fino in fondo le mie radici, perché qui sto bene, perché devo restituire tanto. Torno a Milano ogni Natale, la mia famiglia mi appoggia completamente. E la mia vita, questo è certo, resterà a Manila".
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