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L'altra Cina di D'Eustacchio, il ragazzo che insegna calcio ai bimbi della Inner Mongolia

Stefano Fonsato

Aggiornato 27/01/2017 alle 15:09 GMT+1

Ha 28 anni e, ufficialmente, è il quarto allenatore italiano della Repubblica Popolare dopo Lippi, Cannavaro e Ferrara. "Qui, nel deserto di Wuhai, dove nemmeno Marco Polo è arrivato, faccio a giocare a pallone con la mente libera. Lippi ct? Non serve a nulla. I cinesi hanno troppi soldi da spendere ma non capiscono che, per crescere, i primi a dover essere allenati sono proprio gli allenatori".

Daniele D'Eustacchio, portato in trionfo a Wuhai, Inner Mongolia

Credit Foto Eurosport

Non si sa mai cosa può passare dalla mente di un sognatore. Non lo sa nemmeno il sognatore stesso. Si parte con un obiettivo, si finisce per inseguirne un altro. Si muove per fare l'exploit finanziario a Shanghai, ci si ritrova in mezzo a un deserto, nella Inner Mongolia, ad insegnare a centinaia di bambini e ragazzini il senso di un calcio di rigore.

Attualmente, il quarto allenatore italiano in Cina dopo Lippi, Cannavaro e Ferrara

E' la storia di Daniele D'Eustacchio, predicatore del football in una delle zone più remote del pianeta o, come ama definirsi - confermando pedestremente la realtà dei fatti - il "quarto allenatore italiano effettivamente riconosciuto in Cina dopo Marcello Lippi, Fabio Cannavaro e Ciro Ferrara. Quinto, se ci mettiamo in mezzo anche Zaccheroni, che però non è più qui da mesi". Il prossimo 3 febbraio Daniele compirà 28 anni e, alle spalle, ha già una vita da Marco Polo. Ora si trova proprio là dove nemmeno la grande avventura del Milione si è spinta, esattamente. Siamo a Wuhai, poco più di 500mila anime sparse tra i deserti del Gobi e Ordos, prefettura di una regione vastissima, che a settentrione abbraccia Russia e, appunto, la Mongolia "politica". "Qui non c'è nulla. E' la Cina più estrema, tradizionale, senza bar, ristoranti, cinema. Internet va a scatti e sono l'unico straniero in città, con tutto ciò che questo comporta", racconta Daniele, che esattamente quatto anni fa partì da Melzo, 16mila abitanti nell'hinterland milanese, sognando i grattacieli di Shanghai.
Daniele D'Eustacchio, l'insegnate italiano di calcio a Wuhai, nella regione autonoma della Inner Mongolia, in Cina

L'impazienza cinese

"Lavoravamo in banca, io e un mio amico. Un giorno decidemmo di mollare tutto - spiega Daniele a Eurosport -: sognavamo un posto dell'estremo oriente che ci permettesse di vivere a prezzi normali e monetizzare. Ora anche in quella metropoli, i costi della vita e delle case sono diventati esorbitanti. La Cina sta cambiando di giorno in giorno, i riflessi si stanno facendo sentire anche in Italia e in Europa. Hanno tanti soldi, i cinesi, ma non sanno spenderli. E' per quello che, in cambio, chiedono la conoscenza: sanno di non poter ottenere risultati senza la collaborazione di chi, come gli europei, ha un know-how totalmente diverso dal loro. Ma allo stesso tempo non si fidano. E, per restare nel calcio, se sei un allenatore e vinci una partita sei un eroe. Se la perdi, meriti di essere licenziato. E' solo per questa mentalità che non si sono ancora impossessati del mondo, calcisticamente parlando, altrimenti di talenti ce ne sarebbero, eccome...". Lui sì che può dirlo.
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Daniele D'Eustacchio, l'insegnate italiano di calcio a Wuhai, nella regione autonoma della Inner Mongolia, in Cina

Credit Foto Eurosport

Da Melzo a Wuhai. Passando per Shanghai

La domanda sorge spontanea. Come si finisce da Shanghai a Wuhai? "Shanghai è uno di quei posti in cui ti svegli povero e vai a dormire ricco. E viceversa - prosegue Daniele -. Qui vale il concetto di guagxi, che corrisponde alla rete di conoscenze personali, indispensabile per trovare lavoro e, ancor di più a stare ad alti livelli. Non è una raccomandazione, sono rapporti umani, su cui si basa l'intera Cina: ti faccio fare strada, se ti conosco e, quindi, se mi fido di te, non per farti un favore". "Iniziai a lavorare, sottopagato con solo il visto scolastico, quello ottenuto dopo essermi iscritto a una scuola di lingua cinese: insegnavo a giocare a calcio ai ragazzini per conto di un'azienda che forniva materiale tecnico. Poi sono diventato gestore di un wine bar. Professionalmente piacevo molto a un general manaer, proprietario di diverse discoteche: una mattina mi telefonò per affidarmene una". Un dirigente con la passione per il calcio, fino ad allestire una squadra coinvolta nei campionati distrettuali di Shanghai: "Giocavo, segnavo, le mie capacità di calciatore di Promozione-Prima Categoria, facevano la differenza - ride Daniele -. Poi, un giorno andò tutto a rotoli e dovetti ricominciare daccapo".
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Daniele D'Eustacchio, l'insegnate italiano di calcio a Wuhai, nella regione autonoma della Inner Mongolia, in Cina. Qui nei panni di giocatore, a Shanghai

Credit Foto Eurosport

Da controfigura di Owen a insegnante di calcio dei bambini del deserto

Tra il giro delle discoteche e dei personaggi importante capitati tra le mani, passa davanti agli occhi di Daniele l'opportunità di fare la controfigura di Michael Owen in uno spot che l'ex stella del calcio inglese stava girando: "Fu un'esperienza molto divertente e gratificante - continua - ma mai quanto quella che ricevetti successivamente. Le foto con Owen cominciavano a circolare e, un giorno, ricevetti da Pechino la telefonata di un dirigente originario della Inner Mongolia. Si trattava di un progetto finanziato dal governo cinese, per lo sviluppo del calcio a Wuhai e in tutta l'area".
Daniele D'Eustacchio, l'insegnate italiano di calcio a Wuhai, nella regione autonoma della Inner Mongolia, in Cina. Qui, in compagnia di Michael Owen

Daniele, lo straniero assoluto

Daniele viaggia nelle scuole per lavorare sui giovani: "Qui non sanno nulla di calcio. Ho scoperto che esistevano delle strane selezioni per destinare un bambino piuttosto che un altro al calcio. Tre tiri in porta: con un errore si veniva dirottati ad altro sport. Inoltre, i ragazzini vengono cresciuti a preconcetti mnemonici, non li si abitua a ragionare. E questo si riflette anche nel calcio in cui il talento, non viene supportato dalla mente. La loro educazione rigida, li rende rigidi, fanno fatica ad assorbire gli insegnamenti. Come ci riesco? Cambiando totalmente le carte in tavola, facendo l'amicone, permettendo ai ragazzi di non chiamarmi maestro, né mister ma Daniele, impensabile per la loro cultura. Spesso parlo loro in inglese, non solo cinese: li abituo a pensare che là fuori esiste un mondo di cui devono fare parte. Qui si vive nell'isolamento più totale".
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Daniele D'Eustacchio, l'insegnate italiano di calcio a Wuhai, nella regione autonoma della Inner Mongolia, in Cina

Credit Foto Eurosport

Un'altra Cina, Lippi e il sogno di un Wuhai FC

Un'altra Cina, insomma... "Da queste parti sì, non avendo alcun tipo di servizio, né occidentali con cui confrontarmi, devo sapermi arrangiare. Ripeto, sono l'unico straniero in zona, e questo cambia tutto". E che si dice di Marcello Lippi? "Un errore aver ingaggiato lui. Il cinese tipo pensa che aver assoldato Lippi sia un modo per ritrovarsi, d'amblé, campioni del mondo. Sbagliato. La maggior parte delle risorse che sta spendendo questo paese è uno spreco: qui, anzitutto, si devono allenare gli allenatori e intervenire sui bimbi a partire dai 5 anni. Come faccio io, ad esempio. I vari Hulk, Pellé, Witsel e tutte le star che arrivano qui alla soglia dei 30 anni non porteranno alcun beneficio ai calciatori cinesi e al movimente. Non lo faranno nemmeno gli allenatori strapagati, che non possono certo cambiare la forma mentis del calciatore cinese a 25 anni". Il sogno di D'Eustacchio? "Raggiungere accordi con club europei per la creazione di una vera e propria academy, e in questo senso qualcosa si sta già muovendo, e fondare il Wuhai Fc. Con i miei insegnamenti, però..."
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Daniele D'Eustacchio, l'insegnate italiano di calcio a Wuhai, nella regione autonoma della Inner Mongolia, in Cina

Credit Foto Eurosport

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