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Mourinho: "Io troppo difensivista? La storia parla per me. Ho pianto solo per una sconfitta..."

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Pubblicato 02/05/2020 alle 10:24 GMT+2

Intervistato in esclusiva dai microfoni di Marca, lo Special One ha parlato a 360° del mondo del calcio, del Coronavirus e in particolare della sua esperienza alla guida del Real Madrid.

José Mourinho - Real Madrid 2012

Credit Foto LaPresse

Intervistato in esclusiva dai microfoni di Marca, José Mourinho ha parlato a 360° del mondo del calcio, spiegando le sue idee sulla crisi durante e post Coronavirus e ricordando soprattutto alcuni eventi legati alla sua esperienza al Real Madrid.
Come sta vivendo questa crisi di Coronavirus a Londra?
“Bene, la verità è che oggigiorno sto guardando più calcio che mai a casa, analizzando e imparando molto da altre squadre e allenatori. Mi manca il calcio, mi manca il nostro mondo, ovviamente, ma ora dobbiamo essere pazienti e prudenti. Questa è una lotta che riguarda tutti noi e tutti dobbiamo collaborare per vincerla”.
Qual è il tuo punto di vista sul ritorno in campo?
“Se potessimo giocare le rimanenti nove partite di campionato sarebbe un bene per tutti noi, qualcosa di positivo per il calcio e per la Premier League. Sarebbe un buon segno”.
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Coronavirus: lo show di Mourinho in conferenza stampa con un giornalista

Anche se a porte chiuse?
“Mi piace pensare che il calcio non sia mai a porte chiuse, perché le telecamere saranno presenti e quindi milioni di persone lo guarderanno. Giocare una partita in uno stadio vuoto, ci deve far pensare che non lo sarà mai completamente”.
Il Tottenham si è unito alla battaglia globale contro il Covid-19 aprendo le strutture del suo nuovissimo stadio in modo che i pazienti di un ospedale vicino possano continuare a curarsi lì.
“Sì, è fantastico. Pensare a come sarebbe una giornata normale lì dentro, con i discorsi pre-partita, lo sviluppo del gioco e tutto il resto e vedere cosa fanno invece ora in queste incredibili strutture, è qualcosa di grandioso”.

Lo Special One ricorda la sua esperienza al Real Madrid

Otto anni fa hai vinto la Liga battendo il record del Real Madrid per punti (100) e gol (121) in Spagna. Consideri questo il punto più alto della tua carriera di allenatore?
“È molto difficile per me dire se quello fosse il punto più alto o meno. Ma ovviamente è stato un momento molto importante perché si è verificato in un periodo speciale, cioè durante il dominio del Barcellona. Porre fine a questa egemonia e farlo raggiungendo anche il record di punti e il record di gol lo ha reso ancora più importante, dal momento che lo abbiamo fatto nel miglior modo possibile. Non è solo il fatto che abbiamo vinto la Liga, è che l’abbiamo fatto in un modo che ha fatto la storia”.
Tuttavia, dalla Champions League arrivò un’eliminazione in semifinale.
Sì. In quella stagione il Real Madrid fu la migliore squadra in Spagna e anche la migliore in Europa. Ecco perché è stato così difficile, per noi, metabolizzare l’eliminazione contro il Bayern Monaco in Champions League. Quella notte è l'unica volta in tutta la mia carriera di allenatore che ho pianto dopo una sconfitta. Lo ricordo bene. Aitor e io eravamo di fronte a casa mia, dentro la macchina a piangere
In Spagna hai affrontato il miglior Barcellona di tutta la loro storia, con Messi, Xavi e Iniesta in campo e con Pep Guardiola in panchina. Qual è stato il segreto per vincere quel titolo?
“Penso che fosse essenziale poter trovare un modo di giocare col quale poter dimostrare di essere i migliori. Costruimmo un’identità di gioco molto adatta alle condizioni e alla qualità dei giocatori. Poi certo, anche l’enorme talento di tutti i top player fece la differenza. Erano tutti molto motivati, legati da una grande ambizione di diventare campioni”.
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Jose Mourinho and Pep Guardiola

Credit Foto Getty Images

Come avete superato la mini-crisi di risultati avuta a settembre?
“Con la forza del gruppo, ovviamente. Sentivamo di essere i migliori, e che con quella mentalità avremmo potuto vincere a Valencia, Siviglia, al Calderón, al San Mamés e al Camp Nou. Grazie a questa enorme motivazione quei campi non erano un fattore di pressione”.
Il Clasico della 26esima giornata, finito 1-2 per il Real, decise la Liga.
“Sono tutti bei ricordi. Abbiamo giocato contro il Barça con due risultati accettabili, perché la vittoria ci è servita, ma poteva andare bene anche il pareggio. Ci siamo preparati bene per quella partita del Camp Nou. Ho ripetuto costantemente ai miei giocatori: 'Vinceremo questa partita, la vinceremo. La pressione che avranno giocando in casa sarà ciò che li ucciderà'”.
Quali erano i segreti tattici del Real Madrid di Mourinho?
“Avevamo un’identità di gioco ben definita. Difensivamente, siamo sempre stati molto ben organizzati sul campo e ognuno sapeva perfettamente cosa fare. C’era molta disciplina e molta organizzazione anche dietro il gioco di quella squadra. Erano tutti grandi giocatori che giocavano come una vera squadra, alla fine quella era la chiave di tutto”.
Dal punto di vista dell’allenatore, quale calciatore ha segnato di più lo stile della squadra?
“Non mi piace individualizzare nessuno, neppure Cristiano Ronaldo. Ogni giocatore era molto importante perché ognuno di loro aveva un ruolo chiaro all’interno della squadra. Tutti volevano vincere partite e titoli, e tutti sapevano che erano importanti perché notavano di aver contribuito a raggiungere quell’obiettivo. Ad esempio, in questo senso ricordo Callejón e Granero, che non erano titolarissimi ma furono giocatori importanti per noi. La verità è che quella squadra meritava di vincere sia la Liga che la Champions League”.
Hai vinto il campionato in tutti i paesi dove hai allenato. Quello vinto in Spagna è speciale?
Quella è stata la mia particolare tripletta, se tralasciamo la Lega portoghese, ovviamente. Volevo vincere e avere successo in Italia, Inghilterra e Spagna, e sono ancora l’unico allenatore che l’ha fatto. La verità è che volevo davvero entrare nella storia del calcio in quel modo, ma volevo fortemente anche vincere con il Real Madrid
Cosa rispondi ai tifosi che ti accusano dicendo: “Mourinho è un allenatore troppo difensivista”?
No, guarda, non dico niente... La storia è lì e quindi non c’è niente che io possa dire di meglio. Alla fine tutto si riduce a quello, ciò che resta nella storia. Sia i numeri sia i giovani che durante la mia carriera di allenatore sono stato in grado di aiutare per farli diventare qualcuno nel mondo del calcio
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