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Da Platini a Mbappé, l’evoluzione e la scuola italiana: così la Francia è tornata padrona

Roberto Beccantini

Pubblicato 16/07/2018 alle 07:18 GMT+2

Il gol di Mbappé, 20 anni a dicembre, e l’omaggio di Lloris al pressing "giapponese" di Mandzukic hanno suggellato un 4-2 che onora i vincitori e non umilia i vinti. E ribadisce come il calcio rimanga, per fortuna o per sfortuna, metà scienza e metà riffa. Deschamps si è permesso di lasciare a casa Benzema, Martial, Coman, Lacazette. Beato lui

Kylian Mbappé - 2018 FIFA World Cup Final - France-Croatia - Getty Images

Credit Foto Getty Images

Prima il gioco-champagne che Platini stappò negli anni Ottanta, poi la generazione Zidane a cavallo tra i due secoli, oggi la covata dei Mbappé e dei Pogba. La Francia «multicolore», per sintetizzare l’evoluzione della storia, ha messo di nuovo in fila il mondo, e allora: chapeau. Non lo conquistava dal 1998, quando in semifinale batté proprio la Croazia; l’aveva sfiorato nel 2006, quando Zizou molto le diede e moltissimo le tolse. È stata una finale all’altezza del torneo, divertente e feroce (nello scarto, non certo nei cozzi). E ha "vinto" anche la Var, smascherando il braccio di Perisic. Aperta parentesi: incredibile come l’Uefa continui a farle la guerra. Chiusa parentesi.
Il calcio è questo: un confronto di scuole, di caratteri, di talenti. E di episodi. C’era una volta il tiki-taka. Comandano il contropiede e i generali che Napoleone adorava. Avevo scritto di Deschamps, alla vigilia: non costruisce regge, edifica ponti. muri. Era un mediano, ha studiato alla Juventus, ha vinto "à l’italienne". Era partito, contro l’Australia, senza Matuidi e Giroud. Si è corretto, e qui la sorte non c’entra. Penso che alla Croazia siano mancati il miglior Modric o un Suker d’area. Ha occupato il cuore del ring fin dalle scaramucce iniziali; gli avversari gliel’hanno concesso, un po’ per scelta un po’ per forza, e il destino li ha baciati: autogol di Mandzukic, rigore di Griezmann. In mezzo, il gioiello di Perisic.
Da una parte, il paesaggio di un bel centrocampo; dall’altra, gli spigoli di Pogba, Kanté (un Kanté minore) e Matuidi. Togliere spazio a Mbappé significa togliere le bombole di ossigeno a un sommozzatore. Un gran sommozzatore, però. I cultori del possesso-palla si coccoleranno il diritto morale alla vittoria, i patiti della cucina pragmatica sguaineranno il risultato come una baionetta. Dopo un’ora, l’ansia da rimonta e il peso dei supplementari accumulati hanno consumato la Nazionale di Dalic, il cui torello non sollevava ormai che polvere di mischie. Se mi chiedete una cartolina della finale, vi "spedisco" il lancio di Pogba per Mbappé nell’azione del 3-1. La palla è poi tornata a Paul, ma il bisturi mancino, fortunoso nell’anestesia dei rimpalli, è niente rispetto alla bellezza di quella traiettoria. Pogba non "suoleggia" più: un segno dei tempi.
Il gol di Mbappé, 20 anni a dicembre, e l’omaggio di Lloris al pressing "giapponese" di Mandzukic hanno suggellato un 4-2 che onora i vincitori e non umilia i vinti. E ribadisce come il calcio rimanga, per fortuna o per sfortuna, metà scienza e metà riffa. Deschamps si è permesso di lasciare a casa Benzema, Martial, Coman, Lacazette. Beato lui. Nel 2014 finì così: Germania, Argentina, Olanda, Brasile. Nel 2018 è andata così: Francia, Croazia, Belgio, Inghilterra. Come prendere un cassetto e buttarlo per aria. Il Pallone d’oro lo darei ad Antoine Griezmann, pedina chiave di Atletico e Francia.
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Paul Pogba

Credit Foto Eurosport

Per concludere, ecco la mia squadra ideale (4-2-3-1): Courtois; Vrsaljko, Varane, Mina, Marcelo; Pogba, Modric; Mbappé, Hazard, Perisic; Griezmann.
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