Mondiali 2022 - Da Diego Armando Maradona a Leo Messi, la staffetta ha tagliato il traguardo
Pubblicato 19/12/2022 alle 20:15 GMT+1
MONDIALI 2022 - Chiuso definitivamente il Mondiale in Qatar, provo a dare i miei Oscar ai protagonisti: il Re non può che essere Messi, mentre quello che ha fatto la figura peggiore è Gianni Infantino con le sue dichiarazioni. Nel mezzo, portiere, giovane promessa, allenatore, erede... Ci sono proprio tutti.
Scivola in archivio un Mondiale politicamente (e non solo) scorrettissimo, di livello medio, solcato da confronti zeppi di emozioni. Ecco i miei Oscar.
IL RE. Lionel Messi. Ha trascinato l’Argentina soprattutto nelle partite secche, cosa che, in passato, gli riusciva di rado. Sette gol, quattro dei quali su rigore (cinque in sette gare, uno gliel’ha parato Wojciech Szczesny). A 35 anni ha realizzato il sogno che covava da bambino. "Lider maximo". Da Diego a Leo, adesso sì: la staffetta ha tagliato il traguardo. Aggiungere, non significa togliere. Maradona, Pelé, Alfredo Di Stefano, Johan Cruijff, Juan Alberto Schiaffino, Cristiano: ognuno scelga il suo "unico". A indicare Messi, però, non si rischia più il linciaggio.
L’EREDE. Kylian Mbappé. Martedì ne compie 24. Tripletta in finale, otto gol in totale. Un incrocio tra i due Ronaldi. Altro ruolo, rispetto alla Pulce, ma quando vuole, può: e diventa la Primula rossa.
LA POESIA DEL CALCIO. Argentina-Francia 3-3, poi 4-2 ai rigori. Per 80’, "selecciòn" in fuga e bleus a rimorchio, imbarazzanti. Altro che "Deschamps-Élysées", come titolò il Corriere dello Sport-Stadio in Russia. Messi, Angel Di Maria, Rodrigo de Paul, Enzo Fernandez: musica, maestri. Improvvisamente Mbappé. Ancora Leo (di destro!), ancora Kylian. L’altalena mi ha ricordato, a spanne, il 4-3 di Italia-Germania Ovest del ‘70. C’era tutto: pathos, gioielli, cianfrusaglie, tanto cuore. Un inno allo sport. Il risultato premia chi lo ha cercato di più.
L’EMERGENTE. Julian Alvarez. Centravanti, uno dei rari scampati alla "pandemia" del falso nueve. Ventiduenne, scuola Manchester City: Pep Guardiola lo bloccò al secondo allenamento, "questo non si muove". Titolare era Lautaro Martinez. Julian l’ha scalzato per la garra e per il fiuto. Quattro morsi y vamos.
L’ALLENATORE. Lionel Scaloni. Si può discutere per alcune "letture", ma il fiammifero del "mea culpa" post Arabia ha acceso la riscossa. Fernandez, Alexis Mac Allister e Alvarez si sono rivelati correttivi cruciali. Come il recupero del 'Fideo' in occasione dell’ordalia di domenica.
IL PORTIERE. Emiliano Martinez. Dischetto a parte, il "miracolo" su Randal Kolo Muani resterà scolpito nella memoria. A conferma che, per girare un film che catturi la fantasia senza trascurare i botteghini, servono i geni alla Messi, certo, ma anche i "gregari" alla Emiliano.
LA MAGATA. La punizione del 2-2 in Argentina-Olanda. Siamo al limite dell’area, sulla palla Cody Gakpo e Teun Koopmeiners. Chi tira, chi non tira. Barriera, uomo-coccodrillo. L’atalantino finge la lecca e, viceversa, tocca dolce nel cuore dell’area, verso Wout Weghorst, uno dei cambi, già autore dell’1-2. Il traliccio arpiona e bum, tra sentinelle spiazzate. Si aspettavano tutto: non quello.
LA CONFERMA. La Croazia. Terza nel 1998, ai tempi di Davor Suker; seconda nel 2018, all’epoca di Mario Mandzukic; terza, ancora, a Doha sotto la regia di Luka Modric. Un francobollo di nemmeno quattro milioni di abitanti. Pochi, ma buonissimi. In vetrina, Josko Gvardiol, vent’anni, stopper di lotta e di governo. Una sorta di Zorro in maschera. Ha fallito solo un esame: con Messi.
LA SORPRESA. Il Marocco. Prima squadra africana a centrare le semifinali. Quarto, ai piedi del podio. Ha alternato il catenaccio a transizioni rapide. Un ct con gli attributi (Walid Regragui) e fior di single: Yassine Bounou, Achraf Hakimi, Sofyan Amrabat, Hakim Ziyech e Azzedine Ounahi, classe 2000, raffinata mezzala. Ha pagato l’assenza di un centravanti di peso.
IL FLOP. Il Brasile. D’accordo, Belgio e Germania fuori già nella fase ai gironi, ma vogliamo parlare del "jogo bonito"? Eliminato nei quarti, ai rigori, dai croati. Come se il pronostico ne zavorrasse i nervi. Eppure Neymar era rientrato. Eppure con la Corea del Sud aveva dato spettacolo. Proprio per questo, forse: sul più bello, si crede troppo bello e tradisce. Non vince dal 2002, da quando c'erano Ronaldo il fenomeno, Rivaldo e Ronaldinho. Non può essere un caso. E ritengo Tite, poveraccio, più testimone che colpevole.
IL CAOS. Gli arbitri, il Var. Non una grande intesa. E il concetto di rigore molto vago, molto ballerino. Rimarrà un mistero, nei secoli dei secoli, la "geografia" del cross che, nella sfida con la Spagna, ha propiziato il 2-1 del Giappone e l’eliminazione dei tedeschi. Fu un grave errore, inoltre, "perdonare" a Leandro Paredes la pallonata contro la panchina orange. Fra i migliori, Szymon Marciniak e Daniele Orsato.
C’ERA UNA VOLTA. Cristiano Ronaldo. Capitano degradato a riserva, un gol su rigore, un altro (il primo di Bruno Fernandes all’Uruguay) agevolato "per confusione". Ha chiuso in lacrime, vittima dell’implosione del suo Ego.
IL PEGGIORE. Gianni Infantino. In sintesi: "È stato il più grande Mondiale di sempre". "Il calcio ha aperto alla conoscenza di un mondo nuovo". "I diritti umani sono importanti ma i tifosi devono poter godersi la partita, non pensare ad altro". Parole e musica del presidente della Fifa, non di un emiro. Vergognoso.
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