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"Non sono qui per ballare", le confessioni del Pallone d'Oro femminile Ada Hegerberg

Paolo Pegoraro

Aggiornato 17/12/2018 alle 20:12 GMT+1

Il Pallone d'Oro femminile 2018 Ada Hegerberg si confessa in un lungo articolo scritto per il portale Players' Tribune.

Ada Hegerberg won the women’s Ballon d’Or (Christophe Ena/AP)

Credit Foto PA Sport

Lunedì 3 dicembre 2018, tarda notte a Parigi: una raggiante Ada Hegerberg, accompagnata dalla sua famiglia e con il Pallone d’Oro femminile ben saldo sotto braccio, trova rifugio in un piccolo ristorante iraniano dopo una lunga ricerca per le vie delle capitale francese. Al suo interno uno scatenato cantante locale finisce col coinvolgere Ada nel karaoke, mentre tutti gli avventori del ristorante – incuriositi dal vistoso e scintillante trofeo – scattano gli immancabili selfie con la calciatrice più forte al mondo. È la stessa attaccante norvegese a raccontare l’aneddoto in un corposo articolo per Players’ Tribune; la chiosa non potrebbe essere più emblematica:
Quindi, mi spiace dirlo, non sono capace di twerkare. Ma se mi prendi nella serata giusta, sono dell’umore giusto e soprattutto mi metti la canzone pop iraniana giusta sono capace di cantare a squarciagola... Ah, e me la cavo benino anche a calcio!
Il riferimento, ça va sans dire, è all’infelice uscita del dj Martin Solveig che sul palco della cerimonia del Pallone d’Oro aveva per l'appunto chiesto alla calciatrice se fosse in grado di twerkare. “Lo stupido scherzo di un presentatore non ha rovinato un momento perfetto, dove dal palco osservavo una miriade di fantastici calciatori e calciatrici in un clima di rispetto generale”, ha scritto Ada Hegerberg sull’argomento, ma a onor del vero l’increscioso siparietto rappresenta solo un risibile frammento del succoso racconto scritto di suo pugno per l’ormai celebre portale americano dove i grandi dello sport si raccontano in prima persona. Vediamo qualche stralcio particolarmente significativo.

Piccolo paese norvegese, mentalità encomiabile

Mia sorella non solo giocava con i ragazzi: era in realtà il capitano della squadra maschile di calcio. E l'allenatore? Era mia madre. Questa è stata la cosa fantastica di crescere in una cittadina di 7000 persone nel bel mezzo del nulla. C'era una vera sensazione di uguaglianza. Nessuno ha detto mai nulla sul fatto che mia sorella fosse il capitano o mia madre il coach.

Questione di diseguaglianza

Non mi sono mai vista come una calciatrice. Non quando ero nel mio piccolo villaggio in Norvegia. Non quando stavo soffrendo in Germania. Non quando finalmente sono arrivata a Lione. Lavoriamo duro come un calciatore, punto. Passiamo attraverso le stesse esperienze e le stesse angosce. Facciamo gli stessi sacrifici. Lasciamo le nostre famiglie per inseguire i nostri sogni. Si tratta semplicemente di rispetto. Sono stato molto fortunata a firmare con il Lione, che è il modello per questo livello di rispetto. A Lione, le squadre maschili e femminili sono trattate alla pari. Abbiamo bisogno di più persone nel calcio con la lungimiranze di Jean-Michel Aulas, che sa che investire nel gioco delle donne è una vittoria per il club, la città e i giocatori. [...] I calciatori sono trattati come nostri colleghi. È così semplice. Non è così che dovrebbe essere ovunque? Ogni calciatrice merita la stessa opportunità. Federazioni calcistiche, state ascoltando? Possiamo fare di meglio.
Particolarmente divertente è anche l’aneddoto sull’amicizia ormai consolidata con Roberto Carlos, un vero cavaliere durante la cerimonia parigina.
Quando sono tornata al mio posto, non sapevo cosa fare con il trofeo. È abbastanza grande e non volevo tenerlo in grembo per il resto della cerimonia. Quindi ho fatto una cosa molto norvegese: l'ho messo sul pavimento sotto il mio posto a sedere. All'improvviso sento Roberto che batte ancora sulla mia sedia: "Ada! Ada! Cosa stai facendo?". Ho detto, in spagnolo, "Cosa c'è che non va, Roberto?" Risponde: "Non puoi metterlo per terra! Questo è il Pallone d'Oro! Ho chiesto, "Roberto, cosa devo fare?" Al che mi ha detto: "Ecco, lo proteggerò per te". Allunga le braccia e mi fa: "Dammi il bambino. La terrò io". Non potevo smettere di ridere. Gli diedi il Pallone d'Oro e lo tenne tra le braccia per tutta la serata, proteggendolo.
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