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Buon compleanno Dennis Bergkamp! "A Beautiful Mind" e il gol perfetto

Simone Eterno

Aggiornato 10/05/2020 alle 09:47 GMT+2

Il 2 marzo 2002, il campione olandese che ai tempi vestiva la maglia dell'Arsenal segnò una rete pazzesca. Ma che tipo di calciatore, di uomo, è in grado di realizzare una rete così trascendentale?

Dennis Bergkamp

Credit Foto Eurosport

La bellezza del calcio sta nella sua unicità. Da questo punto di vista tutti i gol si possono definire tecnicamente ‘unici’ in quanto frutto di un gesto che, nella sua complessità generale, molto spesso non è mai uguale a un altro. Certo, poi, in qualche modo, ci sono colpi più irripetibili di altri.
Per ogni tipo di gol si possono creare macro-categorie: il tiro da fuori, il gol di squadra, l’azione personale, il colpo di testa preciso, il colpo di testa di prepotenza, il tocco a giro eccetera eccetera. E’ molto difficile però che un gol esca da questi schemi predefiniti; e lo è ancor di più che una rete trascenda a sé stessa per creare una categoria a sé stante. C’è bisogno, in questo caso, di un mix di componenti davvero fuori dal normale: tecnica, lettura tattica della situazione di gioco, esecuzione. Un qualcosa che messo tutto insieme ci porti a pensare: “Questa cosa qui poteva davvero farla solo lui”.
Il 2 marzo 2002 per essere precisi, accadeva qualcosa da inserire proprio sotto questa speciale definizione. Dennis Bergkamp, contro il Newcastle, eseguiva una sorta di passo di danza, un dribbling-piroetta che nell’esatto momento in cui finì in rete diventò un immediato classico del calcio. Un gol frutto di una pensata sopraffina, oltre che ‘IL gesto’ di un giocatore che si consacrò definitivamente come uno dei talenti più influenti della storia della Premier League. Una ricerca della perfezione culminata per Bergkamp in un momento di genio assoluto, e al tempo stesso un gesto che permise all’Arsenal di riconoscersi – definitivamente – in un nuovo tipo di filosofia calcistica.

L'enigma del libero arbitrio

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Un tifoso ammira la statua di Bergkamp fuori dall'Emirates Stadium

Credit Foto AFP

The Atlantic ha pubblicato un saggio che ha destato parecchio scalpore. Sotto il titolo ‘There’s No Such Thing as Free Will’ (‘Non c’è nulla come il libero arbitrio’), Stephen Cave abbozzava un attacco alla teoria comunemente accettata che gli esseri umani sono responsabili delle loro azioni; un attacco per giunta mosso da alcune parti della comunità scientifica già tempo fa, ma che pare stia diventando parecchio più mainstream, con ovvie implicazioni dal punto di vista dell’etica, della morale e della legge. Se le persone infatti non sono più responsabili delle loro azioni, allora che fine farebbe il sistema di leggi sulla quale basiamo le nostre società e le nostre vite? Cave scrisse così:
E’ già noto che l'attività elettrica si accumuli nel cervello di una persona prima che questa, per esempio, muova la mano; [il fisiologo Benjamin] Libet ha dimostrato che questo accumulo si verifica prima che la persona prenda coscientemente la decisione di muoversi. L'esperienza cosciente di decidere di agire, che di solito associamo con il libero arbitrio, sembra essere un’aggiunta successiva, una ricostruzione post-evento che si verifica dopo che il cervello ha già messo in moto l’atto del movimento. Il dibattito della cultura naturista del XX secolo ci ha preparato a pensare a noi stessi come esseri plasmati da influenze al di fuori del nostro controllo. Ma ha lasciato un certo spazio, almeno nella fantasia popolare, alla possibilità che si possano superare le circostanze della vita o i nostri stessi geni per diventare i veri autori del nostro destino. La sfida posta dalla neuroscienza è più radicale: descrive il cervello come qualsiasi altro sistema fisico, e suggerisce che questo non opererà in maniera poi molto differente da quanto non faccia, ad esempio, un cuore che batte.
Tutto questo preambolo per sostenere che mai teoria pare più sbagliata, almeno per quanto riguarda l’essere umano Dennis Bergkamp. Nei suoi momenti migliori – e non sono stati pochi lungo il corso della carriera – Bergkamp è stato un chiaro esempio della bellezza delle mente umana, del potere dell’immaginazione applicato al calcio e della chiarezza del pensiero avanzato. Lui sapeva esattamente ciò che stava facendo, ciò che stava per accadere e come avrebbe fatto per arrivare al suo obiettivo finale. E quando qualche circostanza cambiava, lui si adattava rapidamente.
Bergkamp si spiega così nella sua autobiografia: Il mio primo pensiero è stato ‘Voglio andare a far gol e ho intenzione di fare qualsiasi cosa per raggiungere la porta, non importa come questa palla mi arrivi’; cinque metri prima che mi arrivasse, poi, ho preso la mia decisione ‘Gli girerò intorno’”
Anche se il cervello è un ‘organo dittatore’ che impone ogni nostra azione attraverso reazioni chimiche, quello di Dennis Bergkamp è stato uno dei più straordinari che il calcio abbia mai visto. I suoi gol, i suoi assist, i suoi passaggi e la sua visione sono stati una decorazione per il gioco. E il gol siglato a Newcastle è una sorta di sunto complessivo del Bergkamp giocatore: la comprensione totale della situazione di gioco, la capacità di creazione, la qualità del tocco, il suo sapersi inserire dentro lo spazio. Un gol che riassume Bergkamp in tutto il suo insieme.
Che poi, in realtà, il suo gol più famoso non nasce sul passaggio in profondità di Pires; e nemmeno sul recupero di quel pallone attuato da Vieira in mezzo al campo… Il gol di Newcastle nasce tra le strade di Amsterdam, dove il Bergkamp bambino ha iniziato la sua storia d’amore con il pallone.

Gli anni di Amsterdam

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Dennis Bergkamp in azione con l'Ajax nel 1990

Credit Foto Eurosport

La maggior parte del tempo lo passavo da solo. Calciavo il pallone contro il muro per vedere come rimbalzava, come mi tornava indietro, per poi controllarlo. La trovato una cosa interessante e lo facevo in maniera differente: prima con un piede, poi con l’altro, poi cercavo di scoprire nuove cose, come l’interno del piede, l’esterno, i lacci; poi cercavo di controllare il ritmo, accelerando, rallentando e via così. A volte miravo un certo mattone, a volte un palo; destro, sinistro, dare rotazione, e così via facendo. Parecchi anni dopo mi arrivava un pallone in partita, lo controllavo in una determinata maniera e pensavo dentro me stesso ‘hey, questo so dove l’ho imparato’. Ma da bambino tiravo solo il pallone contro il muro, non pensavo di certo a come fare un passaggio. Ti piace solo la meccanica della cosa, c’è solo il piacere di farlo. Non ero certo ossessionato, ero semplicemente intrigato da come la palla si muoveva, da come funzionava la rotazione e da cosa potevi farci con la rotazione.
Tra la metà degli anni ’60 e i primi anni 70’ qualcosa stava accedendo ad Amsterdam. Una rivoluzione culturale stava spazzando la città, con le più classiche norme sociali messe in discussione e le nuove strutture che avevano il potenziale per trasformare la società. Un gruppo anarchico di nome Provos agiva direttamente sul territorio, con azioni dirette che prendevano il nome di ‘happenings’ e che si ispiravano a un Manifesto per il cambiamento. Un Manifesto che conteneva provvedimenti come sostituire le automobili con 20000 biciclette a disposizione di tutti, dipinte di bianco e da lasciare senza lucchetti. Movimenti Hippies invasero la città tra il 25 e il 31 marzo del 1969, trasformando Amsterdam in un punto di riferimento rivoluzionario a livello globale; e come scrissero John Lennon e Yoko Ono sopra il letto della loro suite presidenziale all’Hilton Hotel, Amsterdam è un posto dove succedono un sacco di cose quando si è giovani”.
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John Lennon e la moglie Yoko Ono ricevono i giornalistiall' Hilton hotel di Amsterdam

Credit Foto AFP

E’ in questo ambiente culturale irrequieto e creativo che nasce Dennis Bergkamp, a meno di sei settimane di distanza da dove Lennon e sua moglie impacchettarono i loro pigiami bianchi per spostarsi a Vienna. Con una mamma ginnasta – seppur a livello amatoriale – e un papà artigiano, Bergkamp ha cominciato a fondere atletismo e lato creativo giocando a calcio per strada insieme ai suoi fratelli, allenandosi contro un muro con controllo, rotazione, controllo, mattone e così via dicendo. Nato un anno prima che l’Ajax vincesse la prima di tre Coppe dei Campioni consecutive, il giovane Bergkamp era uno dei figli del Calcio Totale, apprendendo prima nell’ombra del Johan Cruyff giocatore e esordendo poi proprio nell’Ajax col Johan Cruyff allenatore (1986). Sperare in un mentore migliore, era francamente impossibile.
Nel libro "The Real Arsenal”, parlando di Cruyff Bergkamp così disse:
Per tutto quello che sa che riesce a insegnare, lui è un dono divino a tutti i giovani che lo hanno avuto come allenatore. Ci lascia fare sul campo cose che gli altri allenatori, per via della pressione, non ci lascerebbero fare. Non gli importa nulla di cosa dicono giornalisti, dirigenti e pubblico. Lui fa solamente ciò che pensa che sia giusto. Ma ancor più di questo ha la formidabile dote di saper andare contro corrente. Quando tutto il mondo lavorava per rafforzare la difesa, Johan scelse di rinforzare l’attacco e di offrire un calcio spettacolare
La profonda influenza di Cruyff si diffuse poi ben oltre i confini nazionali, prolungandosi – come ha poi dimostrato il Barcellona – per decenni, ma all’inizio della carriera manageriale di Cruyff si può sostenere che il 16enne Bergkamp fu uno dei primi beneficiari del suo genio. E questo nonostante il fatto che il giovane Dennis trascorse solo due anni sotto la guida di Johan.
Guardare adesso ai più bei gol segnati da Bergkamp ai tempi dell’Ajax – ne ha messi a segno 122 in 237 partite – è quasi come essere trasportati via in un altro luogo. Bergkamp giocava a calcio in modo diverso, vedeva cose che gli altri non vedevano ma soprattutto segnava come gli altri non erano nemmeno in grado di pensare. Un tocco sotto liftato sull’uscita del portiere, con la delicatezza e la risolutezza di un golfista che deve uscire da un bunker; un cambio di direzione e una finta per mandare fuori gioco prima il difensore e poi il portiere; un pallonetto, e poi un altro pallonetto e un altro ancora, con la palla che vola leggera in aria prima di scendere precisa e dolce. Per essere uno che aveva paura di volare, quando si trattava di dover dosare un pallone Bergkamp ha sempre avuto un gran rapporto con l’aria e col cielo.
Da bambino Bergkamp era solito utilizzare questa tecnica perché di fatto era la più semplice per scavalcare un coetaneo dentro una porta regolamentare. Ma nonostante ciò questo rimase poi un tratto distintivo della sua carriera, specie sui campi della Eredivisie.
Nella sua autobiografia Bergkamp scrive: "Adoro il modo di giocare di Roger Federer. Quando hai il suo tipo di controllo, puoi ad esempio beffare un portiere, puoi beffare un difensore e così via. Come Federer gioca il drop, come gioca la volée, come gioca il lob. Quando sei in grado di fare qualcosa del genere, quando sei capace di fare cose che gli altri non sanno fare, allora fai la differenza. E’ questo ciò che mi interessa di più: non seguire qualcuno in particolare, ma creare qualcosa di tuo, qualcosa di nuovo”.
Come anticipato l’ambiente in cui è cresciuto e da cui era circondato è stato senza dubbio un plus per una mente come quella di Bergkamp. E’ lì che ha aguzzato il suo ingegno, è lì che ha migliorato le sue doti, in un ambiente ‘permissivo’ dentro una città e una squadra – l’Ajax – che gli hanno permesso di godere a meglio di tutti gli ideali di Cruyff. Il tutto all’interno di una Amsterdam che in quel periodo veniva reinventata e in cui Bergkamp imparò a inventare, dentro il calcio ovviamente, trovando nuove soluzioni a problemi che erano sempre esistiti: campi, righe, porte e avversari.

L'allenamento rende perfetti

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Bergkamp festeggia la conquista della Community Shield del 2004

Credit Foto AFP

La scelta di arrivare all’Inter non fu solo una ‘dichiarazione’, bensì una ‘risposta’. Il Milan di Sacchi stava rivoluzionando il gioco e anche l’Inter voleva partecipare a quel processo. La scelta di Bergkamp era volta soprattutto a operare una svolta in quell’ottica, ma il matrimonio in nerazzurro non si rivelò felice, fornendo all’Inter una versione di Bergkamp probabilmente ancora un po’ troppo acerba per le precise dinamiche del calcio italiano e di una squadra che, al di là dell’olandese, nel 1993 era nel complicato limbo tra la fine di un ciclo e la voglia di ricostruzione. E’ all’Arsenal che il talento di Bergkamp poté esprimersi con più libertà, iniziando un percorso di trasformazione che fu fondamentale per le due parti: l’olandese iniziò la sua consacrazione, l’Arsenal diede il via al processo di rivoluzione di una squadra che passo dall’essere definitiva Boring Arsenal alla squadra che, nel bene e nel male, conosciamo oggi. Eppure all’inizio ci fu parecchio scetticismo.
"Non mi ci vedo di certo spendere 7 milioni di sterline per un giocatore, non posso proprio” dichiarò Alan Sugar, proprietario del Tottenham, al momento dell’approdo dell’olandese in Inghilterra. Ma lo scetticismo generale non era solo basato sull’odio tra rivali. Anche dentro lo stesso Arsenal alcuni azionisti non erano completamente convinti della mossa, sostenendo che il club avesse pagato il giocatore più del reale valore. Eppure Bergkamp non ci mise molto a far cambiare idea a tutti. E come disse in un’intervista a Martin Keown nel 2013:
Prima di arrivare non ne sapevo nulla del ‘Boring Arsenal’, ma l’ho realizzato una volta che ho iniziato a giocarci. In Inghilterra era completamente diverso rispetto alla cultura del professionismo italiana. Tutto era molto più libero e sotto certi punti di vista non era così professionale. Ad esempio ogni volta che andavamo in hotel il mini-bar era pieno di drink, e anche il pasto pre-partita in mia opinione non era per nulla quello che avrebbe dovuto sostenere un atleta. Le sessioni di allenamento non erano né sufficientemente lunghe né sufficientemente provanti, e tutto questo mi sorprese. Fortunatamente questo era ciò di cui avevo bisogno in quel momento. Mi è servito per liberarmi la testa dalla cultura italiana dove il calcio è chiaramente un lavoro più che un hobby; e dopo qualche tempo in Inghilterra ho iniziato a pensare ‘hey, qui è meglio, qui mi sento più libero, qui è dove posso crescere ancora’. E poi dopo poco ho capito che l’Arsenal aveva davvero un piano, e quando è stato coinvolto Arsene Wenger ho capito quello che stava per succedere.
Già, l’arrivo di Wenger ai Gunners è stato il secondo momento decisivo per la rinascita dell’Arsenal e quello di Bergkamp, lo possiamo affermare, è stato certamente il primo. Queste due figure, insieme, hanno ridefinito l’estetica del club spingendolo verso nuove vette sportive. Ma tutto è realmente iniziato con Bergkamp, come scrive anche Amy Lawrence in 'Invincible', il libro sulla mitica stagione 2003-04, quella degli invincibili appunto:
La rinascita dell’Arsenal, da un punto di vista stilistico, è iniziata con Bergkamp. E’ stato lui a suonare la prima nota della nuova orchestra. Era l'oboista, che, con intonazione perfetta, faceva suonare bene ogni altro musicista della squadra. In termini di creazione di una nuova identità, Bergkamp è arrivato e ha elevato lo standard, incarnando quel cenno agli ideali del Calcio Totale olandese – tecnica, inventiva, collettivo – che era molto semplicemente una gioia da guardare. Nel giro di un anno del suo arrivo, tutto ha cominciato a fiorire e con l’arrivo di altre personalità forti all’interno dello spogliatoio che sposarono questa idea, l’assolo di Bergkamp si trasformò in una sinfonia collettiva.
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Arsene Wenger osserva Bergkamp in allenameno, siamo nel 2000

Credit Foto Eurosport

Ma quelle di Bergkamp non furono comunque note fini a sé stesse, capaci per osmosi di far suonare alla grande anche tutti gli altri. No. Il suo passaggio all’Inter gli aveva insegnato il valore del duro lavoro e tutto ciò che raggiunse poi con l’Arsenal – 120 gol in 423 partite in 11 stagioni, tre campionati e quattro Coppe d'Inghilterra – arrivò proprio grazie a una sorta di applicazione fanatica sul campo di allenamento. Ogni compagno di squadra interpellato, ancor prima dei grandi gol e dei grandi assist dell’olandese, si esprime così su Bergkamp: “Per quanto tu possa lavorare sodo, non lo farai mai al livello che lo fa Dennis” disse Paul Merson a Glanville; “E’ stato quello che ha completamente cambiato l’atteggiamento con cui ci si doveva allenare” scrive Ray Parlour nella sua autobiografia ‘The Romford Pelé’; “Il modo in cui si allena non è normale. Non voleva mai perdere il pallone, ti avrebbe fatto fallo piuttosto, ti sarebbe entrato in faccia. Doveva essere il primo su tutto” disse Thierry Henry in un’intervista del 2015. Ma il miglior riassunto di Bergkamp lo fa probabilmente lo stesso Wenger:
"Dennis è un perfezionista. Fino all’ultimo allenamento con noi non ha mai trascurato ogni singolo controllo, ogni singolo passaggio. E se qualcosa non gli usciva perfettamente dai piedi, non era soddisfatto. Questo duro lavoro costituì le fondamenta per la trasformazione stilistica e la rinascita dell’Arsenal. Opinione nuovamente ritrovabile nelle parole di tantissimi ex Gunners. "Credo che l'Arsenal abbia assunto una nuova aura con l’arrivo di Dennis Bergkamp", disse l'ex portiere Bob Wilson. E ancora Ian Wright: "Dennis ha cambiato il DNA del nostro gioco”. Sulla stessa lunghezza d’onda Patrick Vieira: "Ad essere onesti, tutto è iniziato con Dennis”.
George Graham era riuscito a vincere trofei, ma una squadra immortalata in quella mitica scena di Full Monty, dove gli squattrinati spogliarellisti riescono finalmente a capire i movimenti da fare sul palco ispirandosi al fuorigioco della linea difensiva dell’Arsenal, era un immaginario nazionale che il nuovo Arsenal voleva cambiare. Sotto Wenger e Bergkamp, i Gunners iniziarono a diventare tutt’altro; iniziarono a trasformarsi in qualcosa perfettamente espresso da quel gol dell’olandese in quella serata di marzo al St.James’ Park.

Il Gol

Un sacco di persone continuano a chiedermi di quella partita. Pensano che sia imbarazzato, o stufo di parlarne… Non è per nulla così. Anzi, ne sono molto orgoglioso. Ho fatto parte di un’opera d’arte perché quel movimento è un unico, è effettivamente una vera e propria opera d’arte. E’ dettata dal genio. Andrò nella storia per questo.
La situazione era la seguente. Il Manchester United era in testa alla classifica e in corsa su tutti e tra i fronti; una situazione che avrebbe nuovamente rimesso a posto l’Arsenal dopo il loro double del 1997-98. Il Newcastle di Sir Bobby Robson era all’epoca un’altra seria e diretta contendente al titolo, ma per la perla di Bergkamp – che di fatto fu il vero crocevia della stagione dell’Arsenal – ci vollero solo 11 minuti. Undici minuti che diedero il via al percorso che portò l’Arsenal al terzo titolo consecutivo in Premier League.
Tutto inizia nella metà campo difensiva dell’Arsenal, con Patrick Vieira che ruba palla e prova a far ripartire l’azione cercando proprio Bergkamp. L’olandese controlla, alza la testa e apre a sinistra per dar via alla ripartenza con Pires. Immediatamente dopo il tocco al francese, Bergkamp parte – quasi inspiegabilmente – con uno sprint da centometrista, buttandosi dentro la metà campo del Newcastle e reclamando nuovamente il pallone al francese alzando il braccio. "Volevo il passaggio di Pires sui piedi, ma sfortunatamente mi arriva alle spalle – racconta Bergkamp nella sua autobiografia – Non era ciò che mi aspettavo, così in quel momento penso ‘Ho bisogno di inventarmi qualcosa qui’… e così arriva la palla, la tocco, mi giro e faccio questo e quello”.
E’ così nasce uno dei gol più belli di sempre della Premier League. Con un unico e singolo tocco, Bergkamp trasforma lo spazio, opera la sua magia. Da ritrovarsi spalle alla porta con quattro giocatori del Newcastle appostati il linea difensiva al limite dell’area, Bergkamp cambia copione e prospettive, e lo fa agendo su spin del pallone e attraverso un movimento più da ballerino che da giocatore di calcio. "So dove il difensore sarà e so che le sue ginocchia saranno leggermente piegate, so anche che avrà le gambe leggermente aperte, quindi non potrà girarsi velocemente – spiega ancora Bergkamp – Quindi il mio pensiero è stato ‘mi limiterò a un tocco con un po’ di spin sulla palla, gli giro intorno e vedo quel che succede”. Quel che succede è storia: Dabizas rimane completamente sorpreso, perde un tempo di gioco, e quando lo ritrova Bergkamp ha già il pallone sul destro per depositarlo in fondo alla rete con un tocco preciso sul palo lungo.
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La sequenza del gol di Bergkamp

Credit Foto Eurosport

La maestà di quel movimento ancora oggi ci abbaglia. Il terzino destro dell’Arsenal a quell’epoca, il francese Lauren, riguarda il gol a 15 anni di distanza e così ci racconta:
Quella sera sono dovuto andare a casa a guardarlo e riguardarlo. Solo così puoi capire davvero quello che ha fatto. E’ stata una cosa veramente incredibile. Quando giochi con talenti del suo calibro sai sempre che una frazione di secondo può fare la differenza, ma quello che ha fatto è stato davvero pazzesco. Sono giocatori baciati dagli Dei e nel calcio, che è un gioco di decisioni istantanee, fanno tutta la differenza del mondo. Tu puoi decidere di attaccare, di difendere, di fare un passaggio eccetera. Loro sono già avanti perché sanno cosa sta per succedere, lo sanno un secondo prima di te. Sono giocatori speciali, divini, e Dennis era decisamente uno di questi. Quello è stato un colpo di magia da parte di un giocatore magico.
Già, a distanza di anni il gol di Bergkamp ha un effetto paragonabile alle grandi opere di Picasso. Davanti al Guernica, ad esempio, ci si accorge immediatamente di essere di fronte al lavoro di un genio, ma è solo soffermandosi nei dettagli, è solo guardando e riguardando gli 8x4 metri della tela che si intuisce la totale maestosità dell’opera. Con i dovuti paragoni del caso, l’opera di Bergkamp è qualcosa di molto simile. E’ solo guardandola e riguardandola che ne si coglie davvero genialità ed essenza; ed esattamente come col Guernica, più lo si fa e più sembra migliorare ogni volta.

Far girare la storia

"Il mio dono non è soggetto alla decadenza”, disse una volta Bergkamp in un’intervista a The Indipendent. Verissimo, ma se la sua mente e i suoi colpi non lo erano, il suo corpo lo fu di certo. La stagione 2001-02 è stata l’ultima in cui l’olandese è stato in grado di andare in doppia cifra, poi ha iniziato un normale processo di ricambio che l’ha visto sempre più spesso in panchina. Ma anche quando Bergkamp non era in campo, si può dire che lo fosse il suo spirito e la sua influenza. La stagione 2005-06 – l’ultima all’Arsenal – fu caratterizzata da tre soli gol, ma a quel punto l’olandese era molto più concentrato nel ruolo di assist-man piuttosto che in quello di finalizzatore. E nonostante questo, riuscì comunque a trovare il modo per mettere a segno un gol speciale in una giornata decisamente particolare.
Il 15 aprile 2006 Highbury era infatti colorato di arancione per quello designato come il ‘Dennis Bergkamp Day’. Un’ultima festa per celebrare la stagione finale dell’olandese ma anche il vecchio stadio di Highbury, da cui l’Arsenal si sarebbe trasferito nella stagione successiva. Bergkamp entrò in campo al 72’ e, a un minuto dalla fine, trovò la conclusione perfetta: il classico tiro dal limite, con giro e potenza calcolati alla perfezione, per la sua ultima – e simbolica – rete in quel di Highbury.
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Dennis Bergkamp and Johan Cruyff

Credit Foto Eurosport

Qualche settimana dopo iniziarono i lavori di demolizione per fare spazio agli appartamenti di lusso che ora occupano uno spazio che fu mitico, ma il ruolo chiave di Bergkamp nella costruzione del nuovo Arsenal fu ulteriormente celebrato nella partita d’addio – contro l’Ajax ovviamente – che fu anche il primo match della storia giocato nel nuovo impianto dell’Emirates.
Un passaggio di consegne, una transizione perfetta conclusasi nella più simbolica delle uscite. Perché se è vero che l’Arsenal colmò definitivamente il gap con le super-potenze del calcio mondiale senza Dennis Bergkamp in campo, altrettanto lo è che l’intero processo che permise ai Gunners di raggiungere quell’obiettivo non sarebbe mai potuto nascere senza la scintilla portata dal genio olandese. Che fosse il frutto di semplici processi chimici all’interno della sua mente, che fosse la potenza del pensiero umano o – come sostiene Lauren – una fonte di ispirazione divina, Dennis Bergkamp è stato per l’Arsenal un unicum. Un giocatore in grado di girare la storia del club esattamente come girò intorno a Nikos Dabizas: con un colpo di genio.
Rivisitazione dell'articolo originale di Tom Adams (Eurosport UK)
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