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José Mourinho, c'era una volta lo Special One: l'analisi dei primi 4 mesi al Tottenham

Simone Eterno

Pubblicato 19/03/2020 alle 21:12 GMT+1

Il blocco forzato della Premier League ci consente di tirare un primo bilancio sui primi 4 mesi al Tottenham di José Mourinho. Tante attenuanti, tempo per un progetto che vuole essere a lungo termine, ma per ora stessa storia del recente passato. La decade e il tocco magico di Mourinho sono tempo passato. E per ora gli Spurs non fanno eccezione.

Jose Mourinho, Manager of Tottenham Hotspur reacts during the FA Cup Third Round match between Middlesbrough and Tottenham Hotspur

Credit Foto Getty Images

Non tutto il male viene necessariamente per nuocere. O meglio, si può sempre cercare un aspetto positivo in tante vicende. La pausa forzata per l’epidemia globale legata alla diffusione del Coronavirus ha bloccato tutti le principali competizioni mondiali, lasciando così sì il mondo senza intrattenimento sportivo, ma concedendo ai cronisti la possibilità di poter analizzare con un po’ più di freddezza ciò che in questa stagione è già successo.
Uno degli argomenti probabilmente meno trattati a queste latitudini, poiché arrivato già in pieno sviluppo dell’emergenza, sono i recenti risultati di José Mourinho sulla panchina del Tottenham. Rientrato ufficialmente in corsa alla fine dello scorso novembre dopo la cacciata di Mauricio Pochettino, tecnico che aveva portato gli Spurs solo 6 mesi prima alla finale di Champions League, Mourinho ha trovato non poche difficoltà in questo suo arrivo in corsa.
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José Mourinho, al Tottenham dallo scorso metà novembre con un contratto di 5 anni e mezzo

Credit Foto Getty Images

La terza esperienza differente su una panchina di Premier – la quarta se invece vogliamo contare anche il Chelsea-bis – sta fin qui sostanzialmente confermando tutte le difficoltà che Mourinho aveva già trovato nel suo ultimo passaggio in Premier League con il Manchester United.
L’impatto col Tottenham infatti non ha portato enormi stravolgimenti in termini veri e propri rispetto all’inizio della stagione. Mourinho ha infatti raccolto una squadra sì in difficoltà in Premier League, con gli Spurs che al momento del licenziamento di Pochettino si trovavano in 14a posizione, ma dopo 26 partite ufficiali spalmate su 3 competizioni al momento della sospensione della stagione Mourinho è di fatto fuori da tutto: eliminato in FA Cup dal modesto Norwich, eliminato agli ottavi di Champions League; ottavo in campionato e fuori da qualsiasi posizione che valga l’Europa. Più in generale, con 11 vittorie, 6 pareggi (qui dentro però un’eliminazione ai rigori proprio per mano del Norwich) e 9 sconfitte, il ruolino di marcia di Mourinho, numeri alla mano, non è nulla di straordinario.

L'attenuante: Kane, Son e tutti gli altri. Infortuni, fin qui una stagione maledetta

Fin qui la pura e caustica sentenza data dai dati e dai numeri. Fermarsi solo a quello risulterebbe però una pratica superficiale. O meglio, valutare solo certi numeri non sarebbe completo. A “difesa” di Mourinho infatti – e non a caso argomento portato principalmente dallo Special One in ogni sua recente intervista – vi è l’enorme peso specifico ad esempio di una stagione per gli Spurs semplicemente maledetta dal punto di vista degli infortuni. Dopo l’eliminazione in Champions League del Tottenham da parte dell’RB Lipsia, Mourinho ha testualmente dichiarato:
Abbiamo sicuramente dei problemi che non si limitano agli infortuni, ma nessuna squadra del mondo può andare avanti così a lungo come stiamo facendo noi. Abbiamo provato a metterci una pezza per una o due partite, ma non si può fare per 4 mesi. E’ troppo.
E qui diventa difficile dare torto allo Special One. Alli, Eriksen, Son ed Harry Kane. Questo era stato il blocco che l’anno scorso riuscì a portate gli Spurs fino a Madrid. Di questi, nella doppia sfida col Lipsia, in campo era rimasto solo Alli. Eriksen partito per Milano, Son e Kane lungodegenti uno con la frattura del braccio per il primo e problemi ai legamenti per l’altro. Dello scheletro della squadra che fu di Pochettino, a Mourinho quest’anno è rimasto pochissimo. Kane in particolare è stato alle prese con una stagione disastrosa dal punto di vista fisico, con una lacerazione tendinea che di fatto l’ha messo fuori uso dai primi di gennaio; Son si è poi fratturato il braccio proprio nel momento in cui era rimasto l’ultimo interprete offensivo. Ma la lista non si ferma ai grandi nomi: Ben Davies, Moussa Sissoko, Juan Fotyh e persino l’uomo arrivato nella sessione invernale per provare a rimpiazzare lo stesso Kane, Steven Bergwijn, sono finiti ai box.
Insomma, Mourinho non ha mai completamente avuto a disposizione in contemporanea il blocco più talentuoso del Tottenham; e in panchina non ha trovato chiaramente delle alternative di evidente livello per poter arginare il problema. Come però onestamente accennato nel virgolettato poco sopra persino dallo stesso Mourinho, i problemi non si fermano solo lì.
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Nuova squadra, vecchi problemi: una filosofia nei club che è superata?

Già perché al di là di tutto, ciò che comunque non è riuscito a far decollare ancora una volta una squadra di Mourinho, è una propria evidente filosofia. Un discorso che avevamo già ampiamente trattato in questo articolo, ma che si è ribadito ancora una volta sia in campionato che in Champions in questi primi tre mesi e mezzo alla guida del Tottenham.
In un calcio sostanzialmente trasformatosi, la filosofia pratica di Mourinho, riassumibile più che altro nella distruzione del piano altrui più che nella presentazione di un proprio imprinting offensivo, pare un concetto di football sostanzialmente superato nelle lunghe stagioni di calcio per i club.
Se per più di 10 anni il calcio di Mourinho ha prodotto enormi risultati, diciamo quasi tutti ascrivibili alla decade iniziata nel 2003 col il miracolo Porto e chiusa simbolicamente con i 100 punti di Madrid con cui il suo Real si prendeva la Liga a discapito dei 99 punti del Barcellona di Guardiola nel 2012, proprio il calcio di Pep ha poi preso piene come filosofia di fondo in tantissimi club europei, che hanno trasformato il modo di pensare, intendere e costruire dei principali campionati europei.
Non è un caso che da metà dello scorso decennio in poi Mourinho abbia assai più faticato a trovare sbocco, con due soli titoli di spessore dalla Liga 2012 in poi: la Premier League col Chelsea nel 2015 e l’Europa League col Manchester United nel 2017.
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C'era una volta lo 'Special One': mai oltre gli ottavi di Champions dal 2014

Ed è proprio dentro l’Europa, territorio ‘mourinhano’ per eccellenza, che lo Special One ha incontrato più difficoltà. Mourinho non passa gli ottavi di Champions League dal 2014. Eliminato da PSG, Siviglia e Lipsia nel 2015, 2018 e 2020 rispettivamente sulle panchine di Chelsea, Manchester United e Tottenham. Nel 2016 e nel 2019, invece, gli ottavi non è nemmeno arrivato a giocarli: esonerato per risultati scadenti dalle panchine di Chelsea e Manchester United.
Un qualcosa insomma che inizia a rappresentare più di un indizio sulla filosofia, sui risultati e sulla competitività del portoghese ad altissimo livello, ascrivibili in qualche caso – come può essere appunto quello preso in considerazione quest’anno con gli Spurs – alla sfortuna di una stagione nata male; ma che complessivamente registrano un’evidenza piuttosto palese di risultati fallimentari o quasi. Specie se si pesano queste 3 componenti: blasone del club, disponibilità economica, denari effettivamente investiti nelle varie sessioni di mercato.
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José Mourinho, sconsolato, dopo l'ultima sua eliminazione in Champions League agli ottavi di finale (Tottenham, vs. RB Lipsia)

Credit Foto Getty Images

Mourinho-Tottenham, contratto fino al 2025: ma non sarà lunga scadenza

Da qui a considerare come totalmente obsoleto l’approccio di Mourinho chiaramente ce ne passa. Sempre in questo articolo, ad esempio, provavamo a ipotizzare anche viste le risicate tempistiche per la costruzione di un collettivo e le tutto sommato poche evoluzioni che ci hanno messo in mostra i Mondiali di Russia 2018 come Mourinho potrebbe essere un’ottima soluzione per una Nazionale con una buona base (e buone disponibilità economiche per attrarlo, questo va da se).
Il vero punto definitivo lo si avrà probabilmente alla fine della sua esperienza con gli Spurs – che prevede 5 anni pieni dalla fine di questa stagione! – ma che già l’anno prossimo lo metterà di fronte a una situazione con poco margine di scappatoia: con un’estate davanti, con una buona dose di tempo per programmare – visto anche lo stop forzato – e con qualche inevitabile investimento che la proprietà del Tottenham alla fine sarà in grado di garantirgli, la prossima stagione sarà un crocevia decisivo per capire se tutte le nostri analisi saranno state fine a sé stesse, o se effettivamente la scelta Mourinho per un top-club in una grande lega non rappresenti oggi un investimento con più rischi che effettivi benefici.
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