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Liverpool: una città segnata dalla tragedia ha finalmente trovato il suo "golden sky"

Lorenzo Rigamonti

Aggiornato 08/07/2020 alle 16:20 GMT+2

Tony Evans (Eurosport UK) dipinge il ritratto di una città che ha appena riscattato 30 anni di delusioni. Il Liverpool di Klopp è campione d'Inghilterra, ecco perchè questa vittoria è speciale per gli abitanti di Liverpool. (Introduzione di Lorenzo Rigamonti).

When you walk through a storm: why this really does mean more for Liverpool

Credit Foto Getty Images

This is Anfield

Appena sotto la patina di nubi che copre la grigia Liverpool troviamo un caldo nido, dove le persone si uniscono a sfidare la pioggia. Le loro voci, i loro cori scaldano questo prestigioso giardino del calcio. Si chiama Anfield, lo ribadisce la targa che battezza il capo dei giocatori all’ingresso del campo.
Ogni settimana, tutta la contea del Merseyside si raccoglie sulle anziane tribune di cemento. Anfield non è uno stadio gigante, non è né il più moderno né il più sfarzoso, ma per gli abitanti di Liverpool vale di più: è lo stadio della loro squadra del cuore. È lo stadio di una generazione seppellita, di una cultura dormiente, di un’eredità onerosa e pesantissima. E se è vero che uno stadio lo fanno i tifosi, allora Anfield diventa un posto speciale.
Ogni settimana, le tribune di cemento sanguinano di un colore acceso e purpureo, i tifosi serrano i pugni al cielo, intrecciano sciarpe, sollevano bambini. Un’onda rossa si accascia sulle gradinate, si sfoglia sulle note di You’ll Never Walk Alone. Una canzone semplice e forte, per gente semplice e forte. Una canzone che fa piangere, che sacralizza la fatica. I tifosi del Liverpool l’hanno intonata ovunque, sotto la neve, la nebbia, la pioggia, in una diaspora lunghissima. E indipendentemente da dove la si canti, la canzone di Gerry and the Pacemakers converge sempre lì, ad Anfield e a Liverpool, entrambe straordinarie metonimie; il contenente per il contenuto. Sono i tifosi e i cittadini a creare l'intero quadro, dalla tela alla cornice. Tutti protesi verso la disperata ricerca di quel “golden sky” citato dalla canzone, verso quella terra promessa intravista 30 anni fa, che i vecchi hanno troppa paura per ricordare.
This is Anfield, Liverpool

La marcia verso il "golden sky"

Alla fine della tempesta c’è un cielo dorato, dice la canzone. E settimana scorsa il Liverpool ha vinto la Premier League. Campioni d’Inghilterra per la 19esima volta. Questa volta il destino pareva scritto sin da febbraio, quando i Reds si trovavano in testa alla classifica con 25 punti di vantaggio e 9 giornate rimaste. Poi l’ennesimo rombo di tuono, quello del Coronavirus, ad allontanarli dal sogno nella maniera più crudele, a soli 2 punti dalla vittoria matematica. Una tetra primavera ha lasciato il posto a un’estate afosa e allucinata, ancora lontana dalla normalità di una volta. Il tempismo del Liverpool è tragico da sempre, è una storia di bassi catastrofici e alti agrodolci.
Andy Heaton, uno dei fondatori dell’Anfield Wrap (celebre podcast locale) ha detto: "Abbiamo aspettato così tanto tempo. Normalmente avremmo già invaso le strade e riempito i pub. Ma al Liverpool la normalità non piace. È ciò che ci rende speciali. Vincere il titolo in questa maniera è una cosa da Liverpool. Vincere il titolo a Natale, sollevare il trofeo a giugno e festeggiare…Quando? Sicuramente festeggeremo, prima o poi". Heaton aveva solo 8 anni quando il Liverpool vinse la First Division nel 1990. Un’intera generazione sta vivendo queste emozioni per la prima volta.
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Anfield, Liverpool

Credit Foto Getty Images

Tre decadi è un’attesa troppo lunga per una città forgiata dal calcio. Sono poche le città inglesi che dedicano una così grande parte della propria identità a questo sport. Anche l’Everton è un elemento cruciale della cultura locale, con un livello di fanatismo simile a quello dei vicini/rivali. Il calcio penetra attraverso ogni fessura di vita quotidiana degli “Scousers” (termine che identifica gli abitanti del Merseyside). I matrimoni e i funerali culminano spesso sulle note di You’ll Never Walk Alone.
Per la maggior parte dei tifosi inglesi infatti, il calcio è considerato come una vera e propria protesi; un’estensione di sé stessi e della collettività di cui fanno parte. Basti pensare alla classe proletaria dell’est di Londra, che ha sempre cantato I’m Forever Blowing Bubbles alle partite del West Ham. Ma ciò che sorprende della gente del Merseyside, è come la fedeltà al proprio club sia il tessuto costituente delle proprie radici. Anche se raramente gli Scouse hanno avuto motivi per essere fieri del proprio patrimonio culturale.

Una città nata tra schiavi e carestia

Perché la storia di Liverpool non si distingue certo per momenti felici. La sua crescita come città portuale è stata foraggiata dal commercio di schiavi. Si è affermata come “seconda città dell’Impero” spargendo impronte insanguinate su tutta la mappa del globo. L’anima della città cambiò a metà del XIX secolo, quando fu costretta ad accogliere migliaia di irlandesi in fuga dalla Grande Carestia. Presto Liverpool acquisì la nomea di città povera e violenta. Una reputazione di cui ancora oggi fa fatica a liberarsi. Il calcio, che verso la fine dell’Età Vittoriana stava cominciando a catturare l’immaginario di molte località inglesi, tardò ad attecchire nella cultura di Liverpool.
Nel Merseyside, le partite di calcio faticarono parecchio a trovare un pubblico. Nell’annata 1879-80, I giornali locali di Birmingham avevano riportato ben 811 partite. Ma a Liverpool, il risultato di un match non faceva ancora notizia. La stampa locale menzionò solo due incontri in tutto l’anno. Al tempo, la middle class del Merseyside spingeva di più su rugby e cricket. Sul fondo della scala sociale invece, il proliferare di sette politico-religiose e la lotta per la sopravvivenza in un sistema allo sbando erano dei temi molto più pressanti rispetto a quello di tifare una squadra.
Trent Alexander-Arnold murales
In “Reds: Liverpool Football Club – the Biography”, John Williams scrive: “A Liverpool c’erano un sacco di ex-studenti di Harrow [una delle scuole pubbliche più rinomate d’Inghilterra] che avrebbero potuto promuovere il gioco del calcio. Ma a causa delle profonde divisioni tra ricchi e poveri, lo sport non poteva diffondersi tra diverse classi sociali. L’élite della città non aveva interesse nell’immischiarsi, mentre i poveri non avevano né lo spazio né la salute necessaria per praticare sport.”
E non avevano nemmeno tempo. A quel tempo, gli operai del Regno stavano cominciando a beneficiare di un tetto massimo alle ore di lavoro. La maggior parte di loro aveva il sabato libero. Ma a Liverpool la situazione era diversa. Le banchine del porto andavano avanti grazie al lavoro occasionale dei più disperati, e questa classe di lavoratori dovette aspettare la fine del secolo per godere di sconti sulle ore di impiego.
Uno dei primi ritratti della tifoseria del Merseyside risale al primo decennio del XX secolo, quando Porcupine Magazine scrisse: “Noi a Liverpool siamo tendenzialmente più riservati o comunque meno entusiastici rispetto al resto della nazione. Quando lo Sheffield, il Birmingham o il Blackburn arrivano in città, ce ne accorgiamo. Raramente gli abitanti di Liverpool indossano i colori delle loro squadre, nemmeno quando viaggiano in trasferta”.
Le prime testimonianze di tifo organizzato presso la Kop furono riportate dai tifosi del Blackburn Rovers nel 1907: “Hanno cominciato a muoversi e a scuotere i loro colori a ritmo, e ci hanno rivolto un grido strambo. Ma sono rimasti in silenzio quando il Liverpool ha segnato”.
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Liverpool

Credit Foto Getty Images

"Scouse not English"

All’inizio del XX secolo, dopo una partenza in sordina, il calcio cominciò a trovare un terreno fertile tra le fila degli Socusers, affermandosi come il passatempo preferito dei lavoratori. E fu proprio attorno al secondo decennio del XX secolo che l’identità Scouse cominciò a delinearsi.
Fino alla Prima Guerra Mondiale, gli immigrati dall’Irlanda insediatisi a Liverpool si consideravano ancora Irlandesi. Lo scouse era una specie di stufato che costava poco o nulla, e che veniva servito ai più disperati dai carri o dal retro di alcune cucine. Di conseguenza, il termine "Scouser" veniva utilizzato per denigrare gli abitanti più poveri del distretto cattolico-irlandese. Ma col tempo, la parola divenne una delle colonne portanti di una cultura emergente.
La svolta arrivò nel 1922, quando l'Irlanda ottenne l'indipendenza e le sette politico-religiose del Merseyside si assopirono. Per molti irlandesi, questo cambiamento venne percepito come un vuoto nel cuore della città che amavano. La nozione di Scouse, unita alla fedeltà per le squadre di calcio, sembrò poter riempire quel vuoto. Questo perché una buona parte della popolazione non si identificava ancora come inglese. Questo sentore riverbera ancora oggi sugli striscioni appesi alla Kop, che recitano: “Scouse not English”.
Negli anni 2000, il movimento “Keep Flags” degli Scouse riuscì addirittura a escludere la bandiera del Regno Unito (detta Union Flag) e la croce di San Giorgio sia dalla Kop che dalle tribune riservate agli ospiti. Questo perché i tifosi del Liverpool vogliono distinguersi dalla massa, e lavorano sodo per mantenere questa identità.
“Il Liverpool non è una squadra di calcio. È una parte della comunità,” fa notare Hughes. “Ciononostante, non vogliamo che rimanga esclusivamente circoscritta agli Scouse. Chiunque può aggiungersi. Ma bisogna essere consapevoli dell’importanza di ciò con cui si entra in contatto.”
Salah, murales

La squadra dei poliziotti e dei fuorilegge

Al giorno d’oggi, i tifosi del Liverpool caricano sulle loro spalle un’identità anti-establishment, ma non è sempre stato così. Nei primi anni del XX secolo, il Liverpool non era affatto la squadra del popolo, bensì la squadra dei poliziotti. La fanbase dei Reds era nutrita da migliaia di individui e famiglie provenienti dal ramo delle Forze dell’Ordine. Quando scoppiò la Prima guerra mondiale (1914), circa un quarto degli azionisti del club apparteneva al dipartimento di Polizia. Ci vollero parecchi anni affinché l’immagine del fuorilegge si insediasse nel cuore della Kop.
Simbolo di questa nuova figura borderline è proprio Jurgen Klopp. Il suo pensiero radicale si sposa benissimo con quel particolare istinto agonistico espresso dagli Scouse più hardcore. A coloro che cercano di sminuire il successo della sua squadra, Klopp è solito rivolgere parole gonfie di sarcasmo.
Non posso fare niente per queste persone. Abbiamo reso questa vittoria speciale. Vogliamo che rimanga così, e più avanti quando ci guarderemo indietro, decideremo quanto speciale sia stata. Dal mio punto di vista sarà ancora più speciale, perché questo è stato l’anno più bello della mia vita. Per via del successo ma anche per via della crisi. Non abbiamo mai incontrato una situazione del genere. L’abbiamo affrontata e ne siamo usciti campioni. É grandioso.
É un messaggio che la gente del Merseyside capisce fin troppo bene.
“È magnifico. Dispiace non poter festeggiare insieme”, dice Heaton. “Ma ci sono problemi più grandi. Il calcio è incentrato sull’idea di comunità. Una stagione di calcio è lunga, e raramente ci sono momenti ‘alla Aguero’. Quando sacrifichi tutto te stesso per molti mesi, alla fine vorresti festeggiare con i tuoi compagni. Ma questo è impossibile per ora. Ma ci fa guardare al futuro con speranza. Il calcio è un grande collettivo. È senso di unione e di appartenenza… Ce la godremo di più quando si presenterà un’altra occasione”.
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Jurgen Klopp

Credit Foto Getty Images

Lo stesso Klopp ha promesso che ci sarà una parata con tanto di bus scoperti, prima o poi. Le tempistiche dipenderanno dal benestare del governo. L’impossibilità di festeggiare la squadra per le piazze e le strade costerà parecchio alla città: secondo una ricerca Deloitte, nella stagione 2017-2018 il club ha contribuito all’economia del Merseyside con 500 milioni di sterline. Più di 1,5 milioni di persone si sono riversate all’Anfield durante quell’anno, e quasi il 10% proveniva da oltremanica. Ma oggi, il bilancio pubblico è stato colpito duramente dalla pandemia, e tutti sperano che, una volta sollevate le ultime restrizioni, i festeggiamenti possano contribuire ad ammortizzare la perdita economica della città.
Ad ogni modo, il Liverpool sta diventando un club globale e il successo in Premier attirerà ancora più tifosi internazionali. Un’occasione ghiotta per i proprietari americani dell’Anfield (Fenway Sports Group). Resta da chiedersi se questa apertura ai mercati esteri rischi di contaminare un’identità centenaria.
Non credo proprio”, dice Dan Fieldsend, l’autore del libro: “Local: a Club and its City”. Sperando di non diventare una squadra che potrebbe giocare indifferentemente in qualsiasi parte del mondo. La dirigenza deve conservare il legame tra il club e la comunità. Hanno commesso degli errori in passato, ma oggi il bilancio del loro operato è positivo”.
Conservare un’idea di tradizione è la cosa più importante. Ci deve essere una sorta di equilibrio. C’è una leggenda che ci dipinge come socialisti, gente che è contraria a chiunque faccia soldi. Non è vero. Siamo contenti che FSG (Fenway Sports Group) stia facendo soldi, purché non provino a snaturare l’identità dei tifosi”.
Simon Hughes concorda: “FSG è proprietaria del club, ma i tifosi sono proprietari delle emozioni che nutrono il club. E queste emozioni tendono verso sinistra, contro l’autorità”.
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Jordan senza anelli, Napoli-scudetto, Germania divisa: quando il Liverpool vinceva il titolo 1990

Da Shankly a Klopp: uno sguardo socialista

Questo sentimento comune lo possiamo rintracciare nella Kop a partire dal 1959, quando l’allenatore scozzese Bill Shankly si stabilì sulla panchina del club. Shankly aveva speso metà della sua vita lavorando come minatore, e impiegò poco tempo per trovare una connessione spirituale con gli Scousers. Divenne una sorta di profeta, e le sue frasi sono ancora oggi recitate a memoria da molti tifosi:
Il socialismo in cui credo vede tutti lavorare verso un obiettivo comune e tutti ricevere una ricompensa. Per me, il calcio e la vita dovrebbero funzionare così.
Peter Moore - l’amministratore delegato - ha ripreso questa frase l’anno scorso quando, spiegando come vengono prese le decisioni ai vertici della società, ha assicurato che gli amministratori dell’Anfield si chiedono sempre: “Che cosa farebbe Bill in questa situazione?”. Le stesse parole sono state rinfacciate a Moore quando il club ha deciso di congedare i suoi impiegati ad inizio lockdown. La polemica è stata così accesa da costringere la società a tornare sui propri passi.
Bill Shankly
L’atmosfera palpabile oggi ad Anfield è ancora figlia del credo professato da Shankly. Il trionfo in Premier è quella tanto attesa ricompensa, una ricompensa che appartiene a tutti. Questa particolare inclinazione ideologica preclude la partecipazione o l’entusiasmo dei tifosi conservatori fino a un certo punto. Pure Jurgen Klopp è stato più volte criticato per aver espresso opinioni contro l’attuale governo, specialmente riguardo la gestione della crisi legata al Coronavirus. Ma la maggior parte dei tifosi Reds supporta le dichiarazioni del proprio tecnico, che non ha mai nascosto la propria visione politica di sinistra. Tutto in linea con la tradizione, insomma.
Karl Coppack, scrittore e storico disse: “Ci sono molte versioni su cosa rappresenti veramente il Liverpool. Ma detesto quando vedo persone supportare il club e allo stesso tempo odiare la città. Gente del genere non merita questa squadra, perché non capiscono che cosa stanno tifando veramente."
Quando si canta Liverpool in curva, si canta il nome della città. E questo è importante. Non è un concetto astratto, o un soprannome. É un luogo che esiste veramente.
"La città e la squadra sono profondamente legate. Veniamo da un porto che ha aperto le sue braccia a tutti. Siamo una comunità orgogliosa e inclusiva. Se tu accetti noi, noi accettiamo te. Festeggiare il titolo significa festeggiare questo aspetto, oltre al fatto di essere la squadra migliore”.
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WWBSS? (What would Bill Shankly say?)

Credit Foto Eurosport

Il calcio salvò una città orfana dei Beatles

Quando arrivò sulla panchina dei Reds, Shankly riuscì a nutrire e a ingigantire i tratti caratteristici della comunità Scouse. Gli anni ’60 videro Liverpool raggiungere l’apice della propria cultura. I Beatles avevano conquistato la fama mondiale, e per un breve periodo di tempo il Merseyside divenne trendy. Ma poi il quartetto si trasferì. Le aziende fecero lo stesso, migrando dalla zona del Commonwealth all’Europa.
Nel giro di un decennio, la disoccupazione stava raggiungendo picchi mai visti prima, e l’accento scouse veniva associato al crimine anziché alle star del pop. Durante questo periodo lugubre, il calcio riuscì a sollevare gli animi della gente. Insegnò a sopportare il dolore. Indipendentemente da quanto la città se la passasse male, il Liverpool era l’armata che tutte le squadre europee temevano. Negli anni ’80 - che dal punto di vista economico e sociale rappresentarono il punto più basso mai toccato nel Merseyside – pure l’Everton si armò fino ai denti, e riuscì a competere ad altissimi livelli con i cugini Reds. Di colpo, Liverpool era diventata la casa delle due squadre più forti del continente.
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Beatles, Liverpool

Credit Foto Getty Images

Lo stesso sport che la regione aveva ripudiato per decenni, era diventato il più evidente simbolo d’orgoglio, capace di raccogliere attorno a sé un intero popolo. Fino ad oggi la sinfonia non è mai cambiata: è composta dalle note di You’ll Never Walk Alone, unite allo stemma che raffigura il “liver bird” - una creatura mitica, mezzo cormorano e mezza aquila –, il colore rosso della città, e l’inscindibile vincolo alla memoria di Hillsborough.
"La gente fatica a comprendere gli Scousers,” dice Hughes. “Spesso sentiamo dire che Liverpool sia la città degli umili. Ma è sbagliato. Al contrario, siamo troppo orgogliosi di noi stessi.”
Quaggiù c’è una corrente che reclama giustizia, ma questo anche prima di Hillsborough. Non ci interessa essere simpatici o intenerire gli altri. Vogliamo che le cose siano fatte nella maniera corretta. Vogliamo essere trattati come le altre persone. È un desiderio di uguaglianza. E gli Scousers reagiscono aggressivamente quando questo sogno viene loro negato. E di certo non demordono. Dubito che qualsiasi altra città avrebbe lottato così a lungo se Hillsborough fosse capitato a loro”.
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Bill Shankley murales

Credit Foto Getty Images

Gli anni '80 tra gloria e tragedia

Una delle ragioni per il quale il titolo di questo 2020 è così importante, riguarda le copiose critiche che i tifosi Reds hanno dovuto sorbirsi durante tutti questi anni. La vittoria in Champions League 2018-2019 non è mai riuscita a placare gli sfottò dei rivali connazionali, che hanno continuato a rinfacciare il digiuno in madrepatria. Ancora oggi la città di Liverpool e i suoi tifosi devono convivere con gli strascichi della loro storia. Ancora oggi ad Anfield, dalla curva avversaria si leva spesso il coro “sign on”: un invito a “trovare un lavoro”, che rievoca l’elevatissimo livello di disoccupazione che il Merseyside soffrì negli anni ‘80. Ma oggi tutto è cambiato. I rivali sono stati spogliati di qualsiasi obiezione. Klopp è pronto a rendere il suo Liverpool immortale, proprio come quello degli anni ‘70 e ’80.
Proprio questo periodo storico si è rivelato cruciale sia per la storia del club che per la storia della città. Il Merseyside era ancora un organo alieno rispetto al resto del Regno Unito, dal punto di vista sociale, politico ed economico. L’intera regione veniva associata all’estrema povertà e all’estrema paura.Gli anni ’80 cominciarono con le rivolte nere a Toxteth. Poi l’Heysel nel 1985, dove 39 tifosi italiani persero la vita in occasione della finale di Coppa Europea contro la Juventus. Quattro anni dopo, la tragedia di Hillsborough concluse il decennio nero del Liverpool. 96 tifosi morirono schiacciati tra le gradinate della Leppings Lane nella semifinale contro il Nottingham Forest.
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Hillsborough

Credit Foto Eurosport

La vittoria del campionato arrivò alla fine di quell’anno, e generò un’anemica soddisfazione. Il lutto di Hillsborough teneva in scacco la comunità di Liverpool, soggiogata da un dolore lancinante. E quel titolo nazionale non poteva di certo essere la cura, perché il Liverpool di allora - guidato da Kenny Dalglish - era troppo abituato a vincere: quello era l’11° campionato vinto in 18 anni. Nessuno, a quel punto, avrebbe potuto prevedere che quello sarebbe stato l’ultimo respiro di una dinastia in declino. 30 anni dopo, nel giorno del ritorno alla gloria nazionale, le morti di Hillsborough non hanno ancora ricevuto giustizia. La storia del Liverpool, lungo l’arco di questi 30 anni, è stata appesantita da questo mantello di orrore e vergogna.
A proposito di Hillsborough, l’autore Simon Hughes ha detto: “È ovvio che ci sia un valore politico nella vittoria di quest’anno. Per via di Hillsborough, il calcio è diventato più interconnesso con la politica. Un clamoroso fallimento da parte delle autorità ha portato alla morte di persone a una partita di calcio, e lo stato ha tentato di coprire il ruolo della Polizia incolpando i tifosi”.
Vincere la Premier League non è soltanto un traguardo sportivo, ma qualcosa di più importante. È intrinsecamente legato alla lotta per la giustizia.

"Walk on, through the rain..."

Quando Kenny Dalglish abbandonò la squadra nel 1991, il Liverpool era ancora in testa alla classifica e marciava verso il 19° titolo nazionale. Ma Dalglish era sull’orlo di un esaurimento nervoso causato dallo shock di Hillsborough. Un dramma che colpì società e allenatore a distanza di anni e avviò tre decadi avare di soddisfazioni in patria. Col passare degli anni, la missione di portare a casa il titolo nazionale divenne un’ossessione. Il gruppo capitanato da Gerrard ci andò vicino nel 2009 e nel 2014, ma la sfortuna e una certa fragilità mentale impedirono di troncare l’astinenza anzitempo. Di punto in bianco la generazione dei più anziani cominciò a temere di non poter più assistere alla vittoria del Campionato nella loro vita. E oggi, dopo lo spauracchio portato dal Coronavirus - che ha minacciato di cancellare una stagione dominata dai Reds – l’euforia iniziale per la vittoria è stata imbevuta con una certa dose di malinconia, trasformandosi in sollievo.
Abbiamo assaporato la vittoria, ma la cosa migliore è che festeggeremo una seconda volta per bene. E sarà speciale come la prima volta.
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Festa scatenata in discoteca per i giocatori del Liverpool dopo la vittoria della Premier League

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