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Donnarumma: niente caccia al colpevole, i colpevoli siamo noi

Davide Bighiani

Aggiornato 15/06/2017 alle 22:27 GMT+2

Donnarumma non rinnova con il Milan: di chi è la colpa? Domanda sbagliata. Il fulmine partito da Casa Milan alle 17.30 di giovedì ha colpito al cuore tutti i tifosi del Diavolo, riportandoli alla cruda realtà. Una realtà dove non esistono bandiere e dove le maglie un giorno vengono baciate e il giorno dopo sono lasciate in un cassetto.

Donnarumma - Milan - 2017

Credit Foto LaPresse

No, non c'è un colpevole in questa vicenda: Mino Raiola sarebbe la risposta più facile. A chi sta simpatico questo procuratore tozzo e dai modi bruschi che veicola i giocatori dove gli pare e piace, con un occhio di riguardo al portafoglio, suo e dei suoi assistiti? Non a molti sicuramente, ma non per questo si deve dimenticare il mestiere che fa. E che non lo fa certo per vincere il Nobel per la Pace o per "rubare ai ricchi per dare ai poveri", ma per ricavare il massimo dalle situazioni che gli si presentano. Donnarumma è esploso da un giorno all'altro, diventando il prossimo "miglior portiere del mondo"? E allora - suo punto di vista - è giusto regalargli il miglior futuro possibile. Che sia con la maglia del Milan o altrove.
Nemmeno il Milan ha colpe. La società rossonera ha fatto ciò che doveva, proprio come avrebbe fatto con qualsiasi altro giocatore. Anzi con un po' di attenzione in più, visto che ha concesso anche giorni e giorni a giocatore e procuratore per confrontarsi dopo aver spiccato un'offerta - non dimentichiamolo - già molto fuori standard, per età e partite giocate: 4 milioni per arrivare a 5 in quattro anni. Mica bruscolini. Fassone e Mirabelli ci hanno poi messo la faccia al momento di comunicare il mancato accordo, rimarcando di essere delusi ma che il Milan va avanti, anche senza Donnarumma. È ovvio che la dirigenza avrebbe voluto puntare sul ragazzo per costruire il Milan del prossimo futuro, ma evidentemente più di così non si poteva fare. E la società da questa vicenda esce a testa alta: almeno di questo i tifosi dovrebbero essere fieri.
Veniamo al protagonista: Gigio. Lo chiamiamo così perché così lo vogliamo dipingere: un ragazzo di 18 anni che è cresciuto a "pane e Milan", con poster dei suoi idoli in camera e una trafila in maglia rossonera che aveva fatto pensare alla cosa più ovvia. Ovvero che la sua avventura nel mondo del calcio dovesse per forza di cose partire, vivere e morire con quella maglia che tanto aveva sognato da bambino. Eppure non sarà così. Perché? Forse perché Gigio è esploso troppo presto, in un mondo che ormai non è più abituato ad avere a che fare con una storia come la sua: "fenomeno", "predestinato", "bandiera". Tutti appellativi appiccicati troppo presto al nostro Gigio, uno che ha 16, 17, 18 anni nel 2015, 2016, 2017. Sono lontani i tempi di Baresi, Maldini e Costacurta: milanisti che non avevano bisogno di procuratori per sapere che la propria storia sarebbe stata legata a doppio, triplo filo con quella del Milan. Nel bene e nel male.
E che firmavano contratti senza nemmeno guardare la cifra scritta sopra (a volte erano addirittura in bianco, ndr). Oggi il calcio vive l'epoca degli sponsor, dei procuratori, del soldo prima di tutto. È così, è la vita.
Quindi, al termine di questo excursus tra passato e futuro, tra sentimenti e progetti, capiamo una cosa: che la "colpa" - se di colpa si può parlare - è solo nostra. Siamo noi, osservatori, appassionati, semplicemente tifosi che pensiamo che in questo mondo ci sia qualcosa di dovuto, che la riconoscenza valga più di un bel mucchio di euro, che la maglia non sia un semplice capo d'abbigliamento da rinnovare e abbellire per darlo in pasto ai compratori. Dobbiamo svegliarci, darci una bella lavata di faccia e andare avanti. Proprio come farà il Milan, senza Donnarumma.
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