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Juventus dopo il crollo: nulla di irreparabile ma molto da riparare

Roberto Beccantini

Aggiornato 28/11/2016 alle 07:25 GMT+1

Bisogna fare i conti con i nuovi infortuni di bonucci e Dani Alves, ma soprattutto con un gioco che è sicuramente da migliorare

Mario Mandzukic Genoa Juventus 2016

Credit Foto LaPresse

Non si trattava di fare i gufi. Si trattava, semplicemente, di esercitare un minimo dovere di critica. Il Genoa ha buttato giù dal letto una Juventus che ha innalzato il risultato a massimo della vita, come va bene che sia, ma anche a massimo della ricerca, come non sempre va bene che sia. Terza sconfitta in campionato (e della stagione), e sempre dopo una sfida di Champions: meditate, gente, meditate.
La concorrenza respira: Juventus 33, Roma e Milan 29, Lazio e Atalanta 28. Insomma: un Genoa all’improvviso, ma mica tanto all’improvviso se rivisitiamo il passato con la testa e non con la pancia. Barbieri di Siviglia compresi.
Il trionfo del Grifone è paragonabile a un k.o. Quando la Juventus è scesa in campo, verso il 30’ del primo tempo, era già sotto di tre gol. Da Gasperini a Juric, il timbro non cambia e i meriti dell’allievo sono enormi: ha convinto la squadra, come faceva il maestro, a non aver paura, l’ha anzi invitata a mordere gli avversari per controllare il peso della zavorra andalusa, la pancia piena da qualificazione. In parole povere: per verificare se la fame fosse superiore alla fama o viceversa.
Allegri, lui, l’ha aiutato con il varo di una formazione cervellotica (gentile eufemismo): Dani Alves tra i difensori, Cuadrado punta, e spesso più in lotta con Mandzukic di quanto il croato non lo fosse con Burdisso e Munoz, centrocampo morbido, da Hernanes a Pjanic, ideale per la «garra» di Rigoni, eccezionale non meno di Simeone, Rincon, Lazovic e Ocampos. E’ così che si gioca contro la Juventus. E’ così che, verosimilmente, giocherà sabato l’Atalanta. E poi il Toro. La Roma ha anche altre armi.
Nulla di irreparabile, per carità, ma molto da riparare, visti i nuovi infortuni (Bonucci e soprattutto Dani Alves, perone rotto) e l’urgenza, non più differibile, di migliorare il gioco. Allegri deve recuperare il meglio da Higuain, Dybala e Marchisio, organizzare il centrocampo e assestare la fase difensiva (sembra un paradosso, non più). Per tacere di Pjanic: l’arte balistica nasconde i triboli del ruolo.
La disastrosa partenza della stagione scorsa (quattro sconfitte in dieci giornate) produsse una memorabile rimonta. Cosa produrrà l’attuale incipit (prima di Marassi, undici vittorie su tredici)? L’avvio soft potrebbe aver mutilato l’animus pugnandi. A Siviglia, Bonucci aveva indicato la strada ai suoi. A Marassi, con un colpo di tacco da Sant’Uffizio, l’ha indicata ai rivali. Non è un dettaglio marginale. E’ la sintesi del trasloco, da 3-1 a 1-3.
Sia chiaro: la Juventus resta prima in Italia e nel suo girone di Champions, ed è sempre riuscita a rialzarsi. Di solito, inoltre, cresce a primavera. L’infermeria non aiuta, aiuta invece lo scacco matto del Sanchez Pizjuan: con tutto il rispetto per la Dinamo, da qui a febbraio ci si potrà concentrare sul campionato (e sul mercato).
Tocca ad Allegri. La lezione del Genoa può rivelarsi salutare o fatale. Dipende dalla forza delle idee. Tranne Buffon, a Marassi andavano sostituiti tutti: anche l’allenatore.
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