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Collina: "La VAR non nasce per riarbitrare la partita"

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Pubblicato 07/06/2020 alle 11:53 GMT+2

Il presidente della Commissione arbitri della FIFA fa il punto sul mondo arbitrale in un'intervista al Corriere della Sera.

El exárbitro italiano Pierluigi Collina

Credit Foto Getty Images

Pierluigi Collina, presidente della Commissione arbitri della FIFA, fa il punto sul mondo arbitrale in un'intervista al Corriere della Sera.
A 60 anni avrebbe mai pensato di vivere un’esperienza come il coronavirus?
"Mai. Anche se per fortuna siamo sempre stati bene, ha cambiato tutto. Prendevo 200 voli l’anno, nei mesi del lockdown non ho messo piede fuori di casa. E ho visto mia madre, che ha 94 anni, mia figlia e mia nipote solo in videochiamata".
A livello umano cosa le lascia questa pandemia?
"Minori certezze. Cade una sorta di senso di invincibilità che eravamo convinti di avere. Non l’avevamo conquistata, ce l’eravamo ritrovata. Il percorso per riottenerla sarà difficile. Dovremo riprenderci, tornare a ragionare con la testa e non con la pancia. Smettere di avere paura degli altri. Anziani, bambini, giovani vivranno una sorta di day after: ridargli sicurezze sarà dura".
Qualcosa di buono?
"Una positività, anche se in questo clima è il termine peggiore da usare, è aver imparato a sfruttare di più le opportunità tecnologiche: lo smart working. Per me video conferenze e webinar. Anche se con gli arbitri dovremo tornare a lavorare in campo".
Giusto tornare a giocare?
"Sì, nel rispetto delle regole per proteggerci dai rischi della pandemia. Si sono riaperte fabbriche e altre attività importanti. Il calcio professionistico va considerato al pari di queste".
Tante polemiche sul fatto che non si dovrà più protestare. Cosa cambia?
"Non lo si poteva fare neppure prima se per questo. Speriamo sia un cambiamento positivo che il Covid-19 ci lascerà in eredità. Ma come per altre situazioni, ad esempio esultare abbracciandosi dopo un gol, si tratta più di un messaggio da dare all’esterno che evitare un rischio reale. Il calcio è uno sport fatto di contatti, impossibile impedirli. Tutti i protagonisti della partita saranno soggetti a rigidi controlli e questo speriamo sia sufficiente".
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Il calcio è festa. Senza pubblico non è come una sala addobbata ma vuota?
"È una fase di passaggio verso la normalità. Non si poteva avere tutto e subito. Senza pubblico il calcio è anomalo, strano, irreale".
In questo tipo di calcio l’arbitro resta un direttore d’orchestra? Senza pubblico l’errore si vedrà di più?
"Lo definirei più un tecnico del suono o delle luci: aiuta a rendere più bello lo spettacolo. I veri direttori d’orchestra sono gli allenatori. Il pubblico non condiziona l’arbitro o non dovrebbe. Comunque non sono gli 80 mila spettatori a influenzarti, per me erano peggio i 200 tifosi nei campi di periferia dove non c’era protezione. Il fattore campo sta perdendo importanza e aumentano le vittorie in trasferta. D’altronde se guardo al basket, la mia Fortitudo con il suo pubblico quando gioca in casa vince di più".
Arrivano nuove regole: quali le insidie?
"Non sono modifiche vere e proprie, piuttosto chiarimenti. Sul fallo di mano è stata definita la linea di confine tra braccio e spalla. Penso sia applicabile da subito. Anche l’immediatezza del gol segnato o dell’occasione da rete creata dopo un fallo di mano dell’attaccante è definita meglio".
Le cinque sostituzioni?
"Un cambiamento temporaneo per proteggere la salute dei calciatori che giocheranno più spesso".
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Pierluigi Collina

Credit Foto Getty Images

L'IFAB come decide di riscrivere una regola? Da chi parte il processo?
"I componenti IFAB non sono parrucconi o persone di un mondo parallelo. Ci sono panel composti da tecnici, ex giocatori e arbitri che ragionano sulle regole da migliorare e cambiare".
Parlando di fuorigioco viene in mente il presidente della UEFA, Aleksander Ceferin, che chiede più tolleranza?
"La tolleranza non risolve il problema, lo sposta. Posso anche passare da quota zero a dieci centimetri, ma dall’undicesimo il problema rimane. Stiamo valutando se un fuorigioco marginale abbia una rilevanza tale da farla diventare punibile".
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Qual è il margine di errore su gol-non-gol e sul fuorigioco della VAR?
"Per la Goal line technology si parla di millimetri. Nella VAR interviene la componente umana e quindi c’è un margine di errore. Se le immagini mostrano qualcosa di certo (fuorigioco, fallo dentro o fuori area) vanno usate, altrimenti vale la decisione del campo".
Sui casi dubbi, ci si chiede: perché l’arbitro non è andato a rivedere?
"La VAR nasce per aiutare l’arbitro in decisioni cruciali, non per riarbitrare la partita. Nessuno ha mai pensato di rivedere tutto, i match sarebbero eterni. Si è iniziato a parlare di VAR nel novembre 2014, in cinque anni e mezzo siamo passati da zero ad avere la VAR in tutte le più importanti competizioni. Il processo è ancora in fase miglioramento e anche di comprensione, da parte di chi è cresciuto con il modus operandi di prendere la decisione finale e difenderla".
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Per gli arbitri non è facile cambiare decisione
"La tecnologia è un’opportunità che va utilizzata. Io che sono davanti al monitor ti aiuto se ti dico: “Meglio se lo riguardi”. Se lo faccio non vado a rompere una solidarietà tra di noi. Dire: “Guarda che hai sbagliato”, è il modo migliore per mostrarti la mia amicizia".
A nessuno piace sentirsi dire: hai sbagliato
"Per questo guardare l’immagine in campo da solo ti permette di accettare meglio la correzione. Se vedo quello che è successo e mi rendo conto che ho sbagliato, lo metabolizzo meglio. Se invece mi dicono all’auricolare “cambia decisione”, continuerò a pensare al perché ho sbagliato, a cosa è successo e comunque mi rimarrà un tarlo nella mente. Se invece lo vedi puoi resettare più facilmente. La componente psicologica per un arbitro ha un peso fondamentale".
Arbitri teleguidati?
"Assolutamente no. Qualcuno all’inizio voleva solo dirgli via microfono fai questo e quello. Alla fine sarebbe come avere un joystick e manovrarlo dall’esterno: così gli si toglie il ruolo di decisore finale, non va bene".
Più accuratezza significa anche tempi più lunghi.
"Precisione e velocità non coesistono. Il peggior risultato è sbagliare perché hai voluto essere veloce. Guardi solo due immagini e quella giusta è la terza che non hai visto. Ci vuole abitudine a vivere i tempi d’attesa, ma la fluidità del gioco resta la stella polare da seguire e quindi lavoriamo per essere più rapidi".
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Pierluigi Collina

Credit Foto Imago

Il calcio ha molte regole che si prestano all’interpretazione. Non crede?
"Le regole hanno una derivazione britannica e da sempre molto è lasciato all’interpretazione soggettiva. Questo può dar luogo a una mancanza di uniformità. Da un lato occorre avere regole più chiare e dall’altro lavorare con gli arbitri per avere maggiore omogeneità di giudizio".
Perché un ragazzo dovrebbe scegliere di fare l’arbitro?
"Per fare un’esperienza formativa importante. Ho imparato tanto tra i 17 e i 19 anni, soprattutto a decidere, una cosa atipica per quella età. Ma per arrivare al top occorre lavorare duro e conoscere il calcio: capirlo, studiarlo".
Come faceva lei?
"In Giappone, prima della finale del Mondiale 2002, mi misi per ore davanti alla tv con un pacco di videocassette di Brasile e Germania guardandole una per una. Oggi con internet trovi tutto più facilmente e rapidamente".
Il Times l’ha inserita tra i 50 giocatori più cattivi della storia, per France Football è al 31° posto tra i 50 personaggi più influenti del calcio. Il futuro di Collina prevede?
"Ho smesso di giocare a calcio quando ero ragazzino, non so come abbiano fatto a inserirmi tra i più cattivi (ride, ndr). Nel calcio unisco passione e lavoro. Lavorare alla FIFA mi dà grande soddisfazione, ci sto bene e i Mondiali sono la prossima sfida".
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