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Davide Nicola, la prova che non si smette mai di essere papà: la salvezza è dedicata ad Alessandro

Francesco Balducci

Aggiornato 03/08/2020 alle 18:17 GMT+2

Appena acquisita l’ufficialità della salvezza, l’allenatore del Genoa si è lasciato andare ai festeggiamenti con un gesto simbolico: sotto la Nord con le braccia alzate a “sollevare” suo figlio Alessandro (scomparso sei anni fa) proprio come in una foto da giocatore stampata sulla maglia.

Davide Nicola festeggia la salvezza con la maglia del figlio scomparso

Credit Foto Eurosport

Quando hai vissuto una vita come quella di Davide Nicola il termine priorità si svuota da ogni tipo significato. Una salvezza raggiunta all’ultima giornata, con la squadra in cui sei stato anche giocatore, i pensieri dovrebbero essere leggeri, volare via con le pressioni di una stagione (mezza per Nicola, diventato allenatore dei rossoblù il 29 dicembre) passata a scacciare lo spettro della Serie B. Se hai vissuto una vita come quella del tecnico del Genoa nemmeno un momento del genere potrà regalarti quel senso di completezza, mancherà sempre un applauso in meno in mezzo a migliaia di mani.
Con un gesto, quelle braccia sollevate davanti alla Nord a voler sollevare Alessandro – suo figlio scomparso nel 2014 in un incidente in bicicletta – proprio come nella foto stampata sulla sua maglietta. Un regalo, sincero, da parte di un gruppo di tifosi a ricordare i tempi in cui era un giocatore del Grifone. Al termine della partita, a traguardo raggiunto, Nicola si è lasciato andare in una lettera commovente, postata su Instagram, dedicata proprio ai giovani col suggerimento spassionato a concentrarsi sul viaggio e non solamente al traguardo:
Mancano 2 minuti alla mezzanotte del 1 di agosto. Ultima giornata di campionato, tutto in un solo giorno, tutto il lavoro di questi interminabili 7 mesi. Speranze, timori, emozioni passate convergono in questo ultimo giorno di campionato , dove tutto è ancora in ballo. Dentro o fuori? Tutto o niente? Si, è così. E però, a pensarci bene, non è neanche così, nel senso che pur essendo giudicati dai risultati che potrebbero arrivare oppure no, c’è di mezzo un lavoro prezioso, minuzioso, efficace che però perderebbe di valore ed interesse se non si completasse l’opera. Che tristezza! A pensarci bene, è il classico messaggio che passa la nostra società e la nostra cultura ai più giovani. Tutto ciò fa perdere fiducia al giovane che si appresta a costruire la sua lunga strada per trovare il suo posto nella vita. Se perdo non valgo niente, se vinco sono il più forte, il più bravo, il più bello. Non c’è da meravigliarsi che gran parte di essi poi facciano fatica a prendersi delle responsabilità o ad affermare se stessi o a piacersi o a definirsi ed immaginarsi uomini di successo. In realtà bisognerebbe oggettivamente analizzare che il giovane può diventare un vincente se si considera la sua esperienza come processo migliorativo, inevitabile per costruire la sua identità e per conoscersi come potenzialità. Indipendentemente dal successo ottenuto in una data situazione.Galimberti dice che l’identità è data dagli altri, forse è il motivo per cui molti giovani non sono capaci di riconoscersi in questa società, rimanendone delusi. La paura del fallimento porta a rifiutare l’azione che ti porta al successo e come ben si sa prima del successo ci sono una lunga lista di fallimenti. Come possiamo migliorare questo freno per l’essere umano? Semplicemente rischiando di fallire, cambiando la visione del fallimento in una visione orientata al tentativo di successo. Elogiando il tentativo come l’azione molto più nobile del successo in sé. Oggi non mi sento più capace se vinco, o più incapace se perdo, sono consapevole di vincere o di perdere ma sono più consapevole del percorso fatto per inseguire una meta ed è questo che conta. Dedicato ai giovani.
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