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Protocollo di sicurezza: ecco perché il ritorno della Serie A rimane un’utopia

Simone Eterno

Aggiornato 11/05/2020 alle 23:55 GMT+2

Dal 18 maggio via agli allenamenti, ma al primo positivo al Coronavirus sarà di nuovo tutti a casa. Un provvedimento che allontana le speranze di ripartenza della Serie A e che porta con se anche un'inevitabile domanda: che senso ha?

Parma-SPAL, campo vuoto e senza pubblico al Tardini

Credit Foto Getty Images

Che senso ha?
Tre semplici parole. Una domanda. Legittima, viene da aggiungere, dopo mesi di attesa, di analisi, di valutazione, di articoli, di chiacchiere, di smentite, di cambi repentini d’ordine. Di Ministri e ministeri, di comitati e piazze. Di sì, no, però, forse. In sostanza, di nulla.
Perché ancora al nulla è fermo, in soldoni, il calcio italiano. “Ma come”, direte voi, “i centri sportivi stanno tornando a rianimarsi”. Certo. Verissimo. Poi però se arriviamo al dunque, al momento delle decisioni, al come si riparte... E dopo due righe tocca fermarsi e richiedersi la solita domanda: “che senso ha?”.
Che senso ha un protocollo sulla ripresa che presenta termini utopistici? Dalle istituzioni, dopo giorni di attesa, di incontri, di lavori, informano che dal 18 maggio il calcio può sì ripartire con la sua collettività, ma al primo contagio sarà di nuovo tutti a casa. 14 giorni di quarantena per tutti e 'arrivederci a tra due settimane'.
Le chance di concludere così la stagione? Le stesse di trovare il biglietto vincente per una visita alla Fabbrica di Cioccolato.
Che senso ha allora anche aver atteso tutto questo tempo per ritornare al punto chiave, ovvero ‘cosa si fa in caso di positività?’. Perché la strada in fondo è davvero solo una: o si riparte ‘alla tedesca’, dove – eccezione della Dinamo Dresda (il cui caso presenta una letteratura di tipo politico su cui non ci addentreremo) – si isolano solo i contagiati e si prova ad andare avanti, oppure è tanto inutile provarci. Ed è tanto inutile aver perso tutto questo tempo per arrivare a una decisione che è la stessa di 2 mesi fa: tutti in casa al primo test positivo. Tanto valeva chiudere la baracca e dare l’arrivederci a tempi migliori. Se mai arriveranno.
Sì perché non solo è utopistico pensare che il calcio possa ripartire a breve e non registrare più nessun contagio fino a fine stagione, ma lo è anche farlo pensando che a settembre od ottobre la situazione possa essere diversa. Il calcio si deve fermare a oltranza? Basta dirlo.
Che senso ha questo limbo, questa sensazione di tempo perso in attesa del nulla, questa chiara incapacità di prendere una decisione vera, seria, precisa e sicuramente impopolare. Perché qualsiasi strada si imbocchi, inevitabilmente ci saranno degli scontenti.
Il calcio non può ripartire? Lo si dica chiaramente, con coraggio. Ne si prendano le responsabilità e ne si affrontino le inevitabili conseguenze a livello economico e di sistema.
Il calcio può ripartire? Lo si faccia aiutandolo sul serio, prendendo una decisione coraggiosa che può avere solo ed esclusivamente le sembianze di quella tedesca: isolare i contagiati e proseguire con gli altri in quell’esperimento – perché di questo si tratta – che è provare ad arrivare al traguardo e salvare il salvabile.
Tutto il resto è materiale tendente al privo di senso; decisioni temporanee, provvedimenti volti all’attesa che non cambiano di una virgola né il concetto né la domanda che ancora una volta ne scaturirebbe...
Che senso ha?
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🎙 Calcio in Italia, si riparte o no? Tra date, protocolli e il passo decisivo... Della Germania

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