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Milan, Maldini: "Mai pensato che il club potesse morire"

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Aggiornato 11/03/2021 alle 15:15 GMT+1

Serie A - Il direttore tecnico del club rossonero si racconta in una lunga intervista in cui parla della società, del suo ritorno da dirigente, delle strategie e di ciò che rappresenta Ibrahimovic per la squadra.

Paolo Maldini

Credit Foto Getty Images

Paolo Maldini ha rilasciato una lunga intervista a So Foot in cui ha toccato molti argomenti, dalla sua appartenenza al Milan all'evoluzione del club.

I rischi del club

E ricordando, per esempio, i momenti più difficili dell'ultimo periodo rossonero, il direttore tecnico del Milan è sempre stato fiducioso.
In nessun momento ho pensato che il club potesse morire o che potesse scomparire. A tutti sono note le difficoltà degli ultimi anni dell'era Berlusconi o legate al passaggio di proprietà cinese nel 2017. Il Fondo Elliott è arrivato proprio a causa di queste difficoltà. E quando è diventato chiaro che il Fondo Elliott poteva possedere il Milan, sono stato contattato da Leonardo nell'estate del 2018.

La ricerca della stabilità

A proposito degli ultimi anni del Milan, per Maldini non è esattamente tutto da cacellare: "Da quando ho smesso di giocare, siamo comunque riusciti a vincere uno scudetto e abbiamo partecipato più volte alla Champions League. C'è stato un cambio generazionale molto significativo dal 2009, soprattutto dal 2011 al 2012, quando i calciatori che facevano parte di questo club hanno interrotto la loro carriera o se ne sono andati. Se non prevedi il futuro con questo cambio generazionale, allora è difficile avere risultati sportivi. Chi arriva subito dopo non riesce a fare bene come dovrebbe. C'era forse l'idea che chi entrava potesse tenere in alto il Milan, ma purtroppo non è andata così. Devi pianificare e pianificare costantemente. Poi c'è stata una campagna acquisti molto costosa, ma tutto si è fermato in diciotto mesi. Ciò che rende grande un club è senza dubbio la stabilità: stabilità di gestione, stabilità di squadra. E devo dire che negli ultimi anni di presidenza Berlusconi, e anche nell'anno e mezzo in cui c'era il proprietario cinese a capo del club, non c'è stata questa stabilità".
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Il ritorno al Milan

Riflessioni dure, che però non hanno mai spinto Maldini a mettere da parte l'amore per il club, nonostante il suo rientro da dirigente non fosse un atto dovuto: "Non ho mai considerato il mio ritorno obbligatorio, né ho mai ritenuto obbligatorio che le persone che lavorano nel club mi chiamassero. Semplicemente perché ho fatto carriera fino al 2009, poi ho vissuto altre cose, perché la vita mi ha regalato nuove esperienze, a volte lontane dal calcio, e quindi non è come se vedessi questa esperienza come necessaria. Certo, il Milan è e sarà sempre la mia passione, come il calcio. Se un giorno la possibilità esisteva, volevo viverla come attore, volevo viverla recitando un ruolo, rispettando quello che era stato il mio passato all'interno di questo club. Sono stato chiamato quando il club era di proprietà cinese, ma non avevo necessariamente in mente di avere un ruolo operativo all'interno del club".

Le strategie per rinascere

Dietro al lavoro del dirigente c'è anche una buona dose di spinta data dal blasone, anche se il Milan non è più quello di una volta: "Sono molto fortunato, sono un ex giocatore rispettato e vincente. E poi ho la possibilità di lavorare per il Milan. Credimi: il Milan non si qualifica per la Champions League da otto anni, ma quando il Milan chiama, i giocatori di tutto il mondo iniziano a sognare. Certo, guardiamo al futuro, ma il passato, che dobbiamo rispettare, conta e come. Quando ti chiami Milan e chiami un giocatore, sei uno dei tre club di maggior successo al mondo. Dobbiamo sempre ricordarlo".
E tutto questo aiuta a reclutare nuove leve: "È vero che per noi è più difficile portare un giocatore oggi. Economicamente chiediamo ai giocatori che vengono a fare dei sacrifici. I giocatori che vengono qui sono lì perché vogliono davvero esserci. Questi sono giocatori che hanno rinunciato a molti degli stipendi che avevano prima di venire qui. Dobbiamo essere creativi e non possiamo combattere con gli altri club. L'ho sempre detto: il fair play finanziario ha fatto bene al calcio perché c'è meno debito, ma ha allargato il divario tra i grandi club e chi vuole investire e tornare competitivo. Abbiamo un fatturato che è circa un quarto o un quinto dei club vincitori in Europa. Il Milan ha le stesse entrate che aveva nel 2000, giusto per farti capire. Sono passati vent'anni e da allora il mondo è andato in una direzione diversa".

Ibrahimovic lascia il segno

Infine, si parla anche di Zlatan Ibrahimovic: "La verità è che il club è al di sopra di ogni giocatore perché i giocatori passano e il club rimane. Ci sono giocatori che lasciano un segno diverso dagli altri e Zlatan è uno di loro. È un motivatore, è un personaggio in sé e per sé che può sembrare complicato da affrontare, ma per chi riesce a trarre tutte le sue qualità, è una risorsa enorme. Il club è al di sopra di ogni giocatore, e questo vale per tutti, perché deriva da come pensiamo al nostro lavoro di leader. Questo discorso sarà sempre rilevante".
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