Romelu Lukaku: il centro di gravità dell'Inter di Conte, il simbolo di un trionfo atteso undici anni
Aggiornato 03/05/2021 alle 18:32 GMT+2
SERIE A - Esiste un prima e un dopo, un ante e un post, in tutte le cose. Lukaku e l'Inter non fanno eccezione. Da onesto mestierante gonfiareti in Premier League, il belga, chiesto e difeso da Antonio Conte, è diventato il simbolo di una vittoria che ha tanti protagonisti ma un solo grido, quello del numero nove, molto più di un bomber, senza dubbio fulcro di un progetto intero.
Esiste un prima e un dopo, un ante e un post, in tutte le cose. Lukaku e l'Inter non fanno eccezione. Esiste una versione di Romelu Lukaku inteso come attaccante affidabile ma mai del tutto esploso, criticato da chi del calcio ama il fine scostando il sacrificio, un bomber da squadra grande, sì, ma non da big, un onesto mestierante gonfiareti in Premier League. Grande, grosso, sì, però. Esiste un prima ed esiste un dopo, un presente fatto di dominio delle aree avversarie, di centralità nel gioco di una squadra, l'Inter, che come lui, da anni, attendeva di raccogliere i frutti e passare all'incasso.
Per fortuna di Romelu Lukaku, che dal pre è passato al post, esiste Antonio Conte. Quando la contabilità occupava le prime pagine e gli ultimi giorni di mercato andavano a scadere, nell'estate 2019, il dubbio, a qualcuno, venne: quanto vale, davvero, Lukaku? I settantacinque milioni usati come pesa per valutare il talento di quello che fino a quel punto si era (intra)visto, un termometro instabile perché incapace di tenere conto di tutti i fattori utili a decifrare un centravanti. Dalle caterve di gol segnate fuori categoria, prima nelle giovanili e poi con la prima squadra dell'Anderlecht - con tanto di primo e unico titolo nazionale, cui si aggiunge ora quello in nerazzurro - al passaggio inglese, con fortune alterne, altalenanti. Nonostante otto anni e quattro diverse maglie indossate - Chelsea, West Brom, Everton e Manchester United - nell'estate in cui l'Inter lo allontana da Old Trafford, Romelu Lukaku è parecchio distante dall'icona che è oggi. Big Rom non aveva del tutto conquistato il Teatro dei Sogni, eppure ad attenderlo c'era la Scala del calcio. La domanda, in quei giorni, era una e una soltanto: sarà in grado, questo gigante fin troppo buono in area di rigore, di colmare il vuoto lasciato da un cecchino come Mauro Icardi?
Di tempo per i dubbi, alla fine, ne rimarrà poco, pochissimo: da quel "sono qui per riportare l'Inter dove merita" detto il giorno delle visite mediche ai primi abbracci dopo un gol, il passo sarà tanto breve quanto automatico, fino a diventare abitudine e immagine di repertorio. "Romelu ha enormi margini di miglioramento", parole che nella loro chiarezza esprimono tra le righe il sogghigno di chi le pronuncia, ossia Antonio Conte, l'allenatore che ha proposto, sostenuto e difeso fino all'ultimo l'arrivo del bomber della nazionale belga. Lui o nessun altro, lui e nessun altro. Lukaku, con Lautaro, il fulcro offensivo di una squadra imperniata sulla letalità della propria coppia gol, chiave nel concetto di far male quando si concretizza la riconquista della palla. L'intesa cresciuta partita dopo partita, le alternative nel dialogo di quella che con immediato ingegno viene ribattezzata LuLa, il modello su cui prende vita l'Inter contiana. Palla lunga su Lukaku per ribaltare la fase di gioco, con il belga che può aprire il petto a quattro ante e controllare, consentendo a tutta la squadra di acquistare fiato e tempo di gioco risalendo il campo oppure cercare e trovare il gemello Lautaro, uno che in un altro calcio sarebbe stato definito seconda punta ma che spesso e volentieri occupa la posizione di "nove" classico.
Succede quando Lukaku si defila per far partire l'azione - il gol dell'argentino nel derby di ritorno, in questo senso, è eloquente, con l'azione che parte sulla fascia destra e si sviluppa grazie alla difesa del pallone di Lukaku - è lui a diventare alleggerimento e playmaker offensivo, lottatore e filtro, termometro e canovaccio di tutta la squadra, con e senza palla. Gol, tanti, gol pesanti, in due stagioni in Serie A ha staccato un biglietto di sola andata nel cuore dei tifosi, ha cambiato la geografia delle difese del nostro campionato che hanno dovuto fare i conti con un'onda d'urto inattesa se non addirittura senza precedenti. Fisicità in senso stretto, che non fa - sempre - rima con peso o semplice stazza. "Ogni paese ha il suo modo di alimentarsi, sono sempre stato un giocatore esplosivo, ma l'Italia mi ha portato a un altro livello: non mi sono mai sentito così forte, ho raggiunto un altro livello, fisico e mentale". Che sia il bilanciamento dei carboidrati, l'amore della piazza interista, la cieca fiducia che in lui ripone Antonio Conte o il ruolo di pacato leader dello spogliatoio, sono i numeri a parlare per lui.
Sessantuno gol in novantadue partite tra serie A, Coppa Italia, Champions ed Europa League, due gol ogni tre partite, tanto per allontanare le calcolatrici. Romelu Lukaku è la faccia dell'Inter, il simbolo di un trionfo atteso undici anni, una vittoria che ha tanti protagonisti ma un solo grido, quello del suo numero nove, molto più di un bomber, senza dubbio fulcro di un progetto intero. A tutte le domande che la fine di quell'ormai famosa estate portava con sè, Romelu Lukaku ha dato risposta, dal suo valore espresso in milioni - ora, sembra, addirittura oltre quota cento - alla prolificità in zona gol, chi negli ultimi mesi allo United diceva "di essere alla ricerca di se stesso" può dire di essersi, finalmente, trovato. Il gigante di Anversa ha gettato gli ormeggi, nel pieno della sua vita calcistica (ventotto anni da compiere a brevissimo) ha trovato il suo centro di gravità, nel cuore della gente nerazzurra.
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