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Milan, meritare lo Scudetto non basta. Occhio alle feste anticipate, la storia insegna che è meglio evitare...

Roberto Beccantini

Aggiornato 16/05/2022 alle 12:09 GMT+2

SERIE A - Dopo il successo contro l'Atalanta, Stefano Pioli ha lo Scudetto in tasca. Con tutto il rispetto per l'intrepida Inter corsara a Cagliari, i rossoneri possono solo perderlo questo titolo al Mapei Stadium contro un Sassuolo già con la pancia piena. Le trappole però non vanno mai trascurate. E per questo meglio stare in campana ed evitare le sbornie anticipate.

Milan a -1 dallo Scudetto, Inter ora serve un miracolo: la volata a 90' dal gong

Milan 83, Inter 81. Se fino a domenica pomeriggio Stefano Pioli aveva lo scudetto in pugno, adesso ce l’ha in tasca. Con tutto il rispetto per l’irriducibile ciurma di Simone Inzaghi, corsara a Cagliari, può solo perderlo. Affronterà il Sassuolo al Mapei di Reggio Emilia, ha conservato il bonus del pareggio ricavato dalle montagne russe dei confronti diretti (1-1, 2-1). I campioni ricevono la Sampdoria, difficile che possano festeggiare qualcosa di diverso, e di più, della Supercoppa e della Coppa Italia strappate alla Juventus. Non proprio delle mance, comunque.
E’ stato il campionato che ha ribadito e consacrato il ritorno di Milano. Non tanto al vertice, dal momento che già nella scorsa stagione l’Inter era arrivata prima e il Milan secondo, ma in termini di dominio assoluto, con la Juventus orfana di Cristiano subito fuori e il Napoli suicida fra Spezia e due volte Empoli.
Non me ne voglia Pioli, l’ex carro attrezzi diventato proprietario dell’officina dei sogni, se parto dal gol di Theo Hernandez. Da area ad area. Come George Weah contro il Verona. Come Nicolino Berti in Baviera. Il Milan aveva sbloccato il risultato con Rafael Leao, servito da un lancio «abbastanza» lungo di Junior Messias. Sono però i tuoni "alla" Theo che accendono i bambini e, magari, mandano in bestia i maniaci delle lavagne, le badesse degli schemi. Perché li spaccano, perché tolgono qualcosa (cosa, poi?) ai precettori.
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Theo Hernandez portato in trionfo da Rafael Leao

Credit Foto Getty Images

Era una partita, Milan-Atalanta, molto bloccata, soffocata dall’effetto fornace, ostaggio di una tensione palpabile. Della Dea è rimasta l’i-dea, non i pirati che ne decorarono la saga (il Papu Gomez, Josip Ilicic, Robin Gosens, il miglior Duvan Zapata). Ha tirato poco, recrimina per un contrasto fra Pierre Kalulu e Matteo Pessina a monte dell’1-0 (Daniele Orsato non è Paolo Valeri, a ognuno il suo), ha patito gli episodi, non la trama. Il Milan ha un gioco libero, leggero che, d’improvviso, s’impenna: fra le sgommate di Theo e le volate di Leao (11 gol), una delle rare sinistre al potere (anche se, spesso, sarebbe più corretto parlare di centro-sinistra, visti i sentieri e le coalizioni).
E’ stata la ripresa, ancora, a lanciare il Diavolo: era già successo all’Olimpico con la Lazio, a San Siro con la Fiorentina e al Bentegodi. Inflessibile la ditta Fikayo Tomori-Kalulu, un po’ giù Sandro Tonali, artefice degli ultimi sorpassi. Capita. La benzina del Milan è il coraggio, la rosa: non la più forte, ma forte per visione e solidarietà. Citavo Tomori e Kalulu: i titolari, all’alba del torneo, erano Alessio Romagnoli e Simon Kjaer. Spero di aver reso l’idea. E Zlatan Ibrahimovic, il vecchio totem attorno al quale danzò l’eresia, continua a essere leader ovunque, persino dal loggione.
Alle spalle c’è il lavoro del mister e del suo staff, aperti a un calcio flessibile e mai dogmatico, di Paolo Maldini, Frederic Massara, Ivan Gazidis: senza dimenticare Zvone Boban, che, ai tempi della cotta per Ralf Rangnick, mollò il fondo perché voleva mollare Pioli, sul cui carro non si respira più dalla ressa. Siamo fatti così: pronti a tutto. E a tutti, naturalmente.
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Stefano Pioli esulta a San Siro al termine di Milan-Atalanta 2-0

Credit Foto Getty Images

Cinque vittorie di fila, il Milan. E, dettaglio curioso ma in Italia molto indicativo, la difesa più blindata: come il Napoli. Per ora. L’attacco no: solo quarto, con 66 reti. Dietro a Inter (81), Lazio (72) e Napoli (71). Le trappole non vanno mai trascurate. La fatal Mantova, per l’Inter, nel 1967. La fatal Verona, sempre per il Milan, nel 1973 e nel 1990. La fatal Perugia, per la Juventus, nel 2000. Nel calcio molto è possibile, e dunque piano con le sbornie anticipate. Sarebbe il colmo cadere proprio sul traguardo, adesso che la gloria è lì, fame che alimenta la fama.
Per commentare o fare domande potete inviare una mail a roberto.beccantini@fastwebnet.it o visitare il blog diRoberto Beccantini.
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Pioli: "Messias è da Milan, non è qui per caso"

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