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Gigi Riva, un guerriero che fino all’ultimo ha detto no

Roberto Beccantini

Aggiornato 23/01/2024 alle 08:15 GMT+1

CALCIO - Luigi Riva detto Gigi ci ha lasciato così, a 79 anni, tradito da quel cuore con cui aveva sempre combattuto, ruvido padrone di sé stesso. E’ stato il più grande attaccante italiano del Dopoguerra.

Gigi Riva, il pensiero di Roberto Beccantini

Credit Foto Eurosport

Rifiutò le lusinghe dell’Inter di Angelo Moratti e la corte della Juventus di Gianni Agnelli. Ha resistito alle «offerte» dei medici: un’operazione? no, grazie. Luigi Riva detto Gigi ci ha lasciato così, a 79 anni, tradito da quel cuore con cui aveva sempre combattuto, ruvido padrone di sé stesso. E’ stato il più grande attaccante italiano del Dopoguerra. Un lombardo che migrò in un’isola, e ne diventò il tesoro. Ancora oggi, il record di gol in Nazionale è suo: 35 in 42 partite. Era nato a Leggiuno, sul lago Maggiore. L’infanzia povera gli aveva insegnato che quando la vita è dura, duri bisogna diventarlo. O almeno sembrarlo.
Appartiene a un Novecento che i ragazzi del Web hanno imparato a conoscere attraverso i racconti dei padri e le lenzuolate di Google. In questi casi, l’apologia di beato rischia di illuminare d’incenso. E’ un pericolo che va corso: decidano i lettori. Mancino, undici di maglia e nove di vocazione, il gol come ribellione al collegio, alle nebbie, e la Sardegna non più prigione, come gli apparve quando vi finì, ceduto dal Legnano, ma residenza e resistenza.
Ha legato la carriera al Cagliari, che condusse di peso al leggendario scudetto del 1970, e alla Nazionale, con la quale è stato campione d’Europa nel 1968 e vice campione del Mondo, sempre nel ‘70, in Messico. Secondo nel pallone d’oro del 1969, dietro Gianni Rivera e davanti a Gerd Muller, tre volte capo-cannoniere nel periodo marchiato dai difensori, senza le manette televisive a garantire un minimo di parità agonistica, e governato dalla smania delle autoreti: bastava un brandello di stinco, sulle traiettorie, per espropriare il tiratore. Più che cronache, erano autopsie.
Riva è stato un guerriero. Sacrificò due gambe all’azzurro della patria, ebbe una vita sentimentale che lo portò in rotta di collisione con la «bigotteria» dell’epoca. Gianni Brera lo ribattezzò «Rombo di tuono»: per come tirava, per come occupava il territorio; per come, soprattutto, lo contendeva agli avversari. Non aveva paura: e se l’aveva, la nascondeva. Non era stiloso o elegante. Ne aveva passate troppe, da ragazzo, per scendere a patti con le procedure o, peggio, con le mode. I suoi duelli con Tarcisio Burgnich toccarono picchi omerici, i corpi come corazze, i piedi come clave: e vinca il migliore.
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Gigi Riva

Credit Foto Getty Images

Viveva per il gol. La rovesciata di Vicenza e l’incornata in tuffo alla Germania Est rimangono manifesti senza tempo. Momenti e mementi di un calcio che, se ben gestito, sapeva premiare le idee, non solo Milano e Madama. Il Bologna nel 1964, la Fiorentina nel 1969. Il «suo» Cagliari. Lo voleva l’Inter, gli fece ponti d’oro la Juventus, pronta a sacrificare miliardi e un sacco di pedatori. Rispose come Bartleby, lo scrivano di Herman Melville: «Preferisco di no». In una sorta di metaforica sindrome di Stoccolma, il carcerato si era «innamorato» dei carcerieri (Cagliari, la Sardegna). E viceversa.
Da dirigente, accompagnò la Nazionale sul trono mondiale del 2006. Si piaceva lupo solitario, la chitarra di Fabrizio De André fra gli scalpi più cari. Una montagna di sigarette, le telefonate degli amici, pochi, la casa fortino. Uomo tutto d’un pezzo e non tutto d’un prezzo. Stanco, probabilmente. Difeso dalla famiglia, dal pudore felice di un popolo che lo adottò dopo che i suoi gol avevano acceso un sogno e la sua volontà medicato l’orgoglio. Dal ricatto, etichetta della Sardegna che filtrava dai telegiornali, al riscatto. Dal grido «pastori» all’urlo «campioni».
Libero fino all’ultimo, nel senso testuale e clinico del «termine». Un ponte levatoio perennemente in bilico sulla depressione. E quel rombo di tuono che ci spinge a sbirciare il cielo, perché il personaggio non è mai scappato dalla persona.
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Per commentare o fare domande potete inviare una mail a roberto.beccantini@fastwebnet.it o visitare il blog di Roberto Beccantini http://www.beckisback.it.
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