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Paolo Maldini tra Milan, presente e futuro: "No ad altri club italiani. Inter? Il segreto è la dirigenza"

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Aggiornato 09/05/2024 alle 10:49 GMT+2

CALCIO - Ecco le parti più interessanti dell'intervista di Paolo Maldini a "Radio TV Serie A con RDS": Milan - ovviamente -, il figlio Daniel, la passione per il calcio, Silvio Berlusconi e i tanti allenatori avuti, le esperienze da capitano e da dirigente e anche una risposta sull'Inter.

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Paolo Maldini è stato uno dei difensori più forti di tutti i tempi e da dirigente ha cercato di riportare al Milan dove gli compete: l'ex leggenda rossonera è stata ospite del format Storie di Serie A, con Alessandro Alciato, su Radio TV Serie A con RDS. Ecco le parti più interessanti della sua intervista: Milan - ovviamente -, il figlio Daniel, la passione per il calcio, Silvio Berlusconi e i tanti allenatori avuti, le esperienze da capitano e da dirigente e anche una risposta sull'Inter.


Il Milan

"Cos’è per me il Milan? Era qualcosa presente da prima che io nascessi, mio papà è stato calciatore del Milan. È la squadra della mia città, l’ambiente dove sono cresciuto. Ho iniziato a giocarci a dieci anni e ho smesso a quarantuno, va al di là del tifo o del lavoro: è estrema passione. Il rapporto che c’è va oltre le ere in cui sono passato attraverso questa grande società. Ogni squadra può far sì che il tifoso rivendichi qualcosa di particolare, noi milanisti abbiamo un passato glorioso con delle cadute, ma alla fine è più facile che i tifosi ricordino i momenti brutti per poi tornare a quelli belli: noi in questo siamo stati maestri, i rimbalzi del Milan negli anni sono stati clamorosi.

Daniel

“È un destino da cui non si scappa, la sua è stata una scelta libera, come quella di Christian, di giocare. È successo a loro quello che è successo a me: c’è un papà ingombrante, credo che soprattutto i primi anni da ragazzo vuoi giocare, divertirti ed essere uno dei tanti. Ci sono pressioni, lui e Christian sapevano a cosa sarebbero andati incontro. Se avessi potuto cancellare questa cosa l’avrei fatto, per dare loro anni più sereni. Si divertono, lo sport è molto democratico, alla fine va avanti chi ha valori. Deve essere uno stimolo o diventa una pressione troppo forte, soprattutto oggi con i social e un’attenzione spasmodica, ai miei tempi era diverso”.
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LA JUVENTUS DA PICCOLO

A me piaceva il calcio, sapevo del passato di mio papà, avevo capito quello che aveva fatto. Io ero tifoso di calcio in generale, amavo la Nazionale, la prima competizione che ho visto in televisione è stato il Mondiale del ‘78, una squadra composta da tanti giocatori della Juventus. Mi sono appassionato alle loro storie, seguivo la Juventus come fosse la Nazionale. Poi ho fatto un provino con il Milan e le cose sono tornate come dovevano essere".

L’esordio al Milan

“Liedholm mi disse: “Malda, entri”. Sono entrato a destra e ho fatto il mio esordio. Ci penso perché ogni tanto fanno vedere qualche immagine, soprattutto il 20 gennaio sui social o in televisione. Sono legato moralmente alle relazioni che ho avuto con le persone e ai momenti. Vittorie e sconfitte mi ricordano le relazioni con le persone, non si è soli nelle vittorie e nemmeno nelle sconfitte. Cosa mi ha insegnato Liedholm? A giocare a calcio con una visione moderna, mi disse: “ricordati di divertirti, il calcio è divertimento”.

Silvio Berlusconi

“Ha portato un’idea moderna e visionaria del calcio e del mondo in generale. Ricordo il primo discorso, eravamo in una sala a pranzo a Milanello e ci disse che voleva vederci giocare il miglior calcio del mondo, giocando allo stesso modo sia in casa che fuori. Era convinto che saremmo diventati presto campioni del mondo, arrivò a stagione in corso, ma dall’anno dopo cambiò tutto: palestra, alimentazione, Milanello, allenatore diverso e nuovi preparatori atletici. Era tutta farina del suo sacco: aveva già immaginato una struttura adatta per andare a competere con le migliori squadre al mondo. C’è sempre tanta diffidenza per l’imprenditore che entra nel calcio. È stato forse più difficile quando ha preso Sacchi, è stato il vero stravolgimento calcistico. Tutto il resto intorno a noi era fatto per farci crescere come persone. C’erano dirigenti con ruoli ben specifici, c’era rispetto delle regole".
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Sacchi, Capello e Ancelotti:

"Con Sacchi ci siamo subito messi a disposizione, ma è stata durissima, fisicamente e mentalmente. Dal punto di vista fisico c’era più conoscenza rispetto ad altri club, ma non ancora abbastanza, sono andato in overtraining per mesi e questa è una cosa che fisicamente non mi faceva stare bene. Capello? Era un uomo di campo, dava sempre piccoli esempi di cose da fare. Sono dettagli che ti formano, è una persona pratica, ha rallentato i ritmi di allenamento di Sacchi proseguendo il suo lavoro. Quel Milan lì, dei primi anni ’90, è stato in assoluto il più forte, tra titolari e riserve avevamo giocatori di altissimo livello. Rapporto con Ancelotti da allenatore? Ci si comporta in maniera naturale perché non puoi fare finta che il passato insieme non ci sia stato. Non c’era bisogno di dire tante cose, veniva naturale dal momento che c’era rispetto dei ruoli e delle persone. Carlo è una persona tranquilla, ma la sua è una maschera".

Capitano

“Nel 1997 avevo ventinove anni, erano già tredici anni di Serie A e tre anni da capitano della Nazionale. Mi ero abituato a quel tipo di ruolo, farlo al Milan quotidianamente era diverso, le responsabilità erano ampie. Momento più duro da capitano? Non parlavo tanto, ero più riservato, è un ruolo che impone determinate cose e le devi imparare. Coppa più bella? La prima è indimenticabile, sono tutte belle e distribuite in vent’anni, questa è la fortuna. Quella di Manchester è arrivata a nove anni dopo l’ultima alzata, forse quella è stata la più ambita, perché ero capitano ed era passato tempo".

Dirigente

“Quando è arrivata l’opportunità ho analizzato bene la cosa, con Leonardo ho trovato una persona con i miei stessi principi e ideali, si parla sempre di lavoro di squadra all’interno di un club. Ho scelto di fare il dirigente in primis perché era il Milan, poi nei trentuno anni di esperienza ho avuto cose da raccontare e insegnare. Poi c’è il lavoro in sé, che è tutt’altro rispetto a ciò che ci si aspetta. Milan, Nazionale o niente? È una regola che vale soprattutto per l’Italia, non riuscirei mai a vedermi in un club diverso dal Milan".
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Inter campione d’Italia

"L’Inter ha una struttura sportiva che determina il futuro dell’area sportiva. È stata gratificata con contratti a lunga scadenza, c’è stata un’idea di strategia. Non è un caso che il Napoli sia andato male dopo gli addii di allenatore e direttore sportivo. Si dà poca importanza alla gestione del gruppo, a volte si considerano i giocatori come macchine che devono produrre qualcosa, ma per farlo servono persone che li aiutino a farlo. Il supporto ai calciatori credo che sia ancora qualcosa di inespresso nel calcio sia in Italia sia a livello mondiale, ci si dimentica che sono ragazzi giovani che hanno bisogno di supporto e di qualcuno che dica loro le cose come stanno, non sempre è facile arrivare a parlarne con loro".
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