Serie A - Napoli, due scudetti in tre stagioni: un’impresa, non più un miracolo
Pubblicato 24/05/2025 alle 11:35 GMT+2
SERIE A - Il titolo di Antonio Conte appartiene al «volli, e volli sempre, e fortissimamente volli» di alfieriana memoria. E’ stato lo scudetto della maturità, dei Volonterosi, della difesa (la migliore, avevate dei dubbi?). Il trionfo fissa i confini dell’impresa, non del miracolo (non c’è stato, non ce n’era bisogno), come certificano i due hurrà delle ultime tre stagioni.
Napoli campione, la festa dei tifosi davanti al murales di Maradona
Video credit: Eurosport
Prima la Coppa America del 2027, poi lo scudetto. Il quarto della saga. Napoli cammina sulle acque in senso letterale e letterario. E’ stata una volata palpitante, avvelenata da pozioni che avrebbero stecchito Lucrezia Borgia, in controtendenza con il resto d’Europa, là dove le medaglie erano già tutte assegnate: da lontano (Paris, Liverpool) o da vicino (Bayern, Barcellona). Nessuno, però, come da noi, sul filo del traguardo. Nessuno come il Napoli.
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Napoli campione, festa e delirio dei tifosi nel centro città
Video credit: Eurosport
In principio fu la doppietta di Diego Armando. Con Corrado Ferlaino presidente, Ottavio Bianchi e Albertino Bigon allenatori. Quindi Aurelio De Laurentiis e la Grande Bellezza di Luciano Spalletti. Il titolo di Antonio Conte appartiene al «volli, e volli sempre, e fortissimamente volli» di alfieriana memoria. Nella mia griglia estiva ‘o Napule figurava subito dietro l’Inter, ma davanti a Milan, Juventus e Atalanta. Il trionfo fissa i confini dell’impresa, non del miracolo (non c’è stato, non ce n’era bisogno), come certificano i due hurrà delle ultime tre stagioni.
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Antonio Conte (Napoli)
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Il popolo brontolava: e adesso, senza Cristiano Giuntoli? Bravo, «the boss», a scritturare Giovanni Manna, scuola Juventus, a imprigionare la straripante gelosia e lasciare il teatro intero - mica banalmente il palcoscenico - al suo Carmelo Bene. L’eccezione è stata il decimo, sciagurato posto del rodeo scorso, quello girato attorno alla triade di tecnici (Rudi Garcia, Walter Mazzarri, Francesco Calzona), quando Adl si credette unto del Signore, cioè di sé stesso. Basta sbirciare l’archivio dal 2012-2013, da Mazzarri in poi: 2°, 3°, 5°, 2°, 3°, 2°, 2°, 7°, 5°, 3°, 1°, 10°, 1°. Un passo da grande. Il podio come nido, le forature come accidenti.
Sostiene Giovanni Trapattoni che, se il balzo da ottavi a secondi è tribolato, il salto da secondo a primo non ha prezzo. Sembra corto, è lunghissimo. L’avventura del Napoli «contigiano» cominciò a Verona, con una sconfitta così secca (0-3) da far traballare i pulpiti e infuriare i loggioni. Il crinale, esplosivo, venne valicato in scioltezza. Passa per un dogmatico, Conte, ma non lo è, o non lo è più: chez Madama salpò a bordo del 4-4-2 prima di sbarcare sul 3-5-2 srotolato proprio a Fuorigrotta, in un rocambolesco 3-3. Bene: a Castel Volturno issò in fretta la bandiera del 3-5-2, ma pur d’inserire Scott-machine McTominay non esitò ad abbracciare il 4-3-3; mossa che si celebrò allo Stadium - guarda, guarda - sull’onda di uno 0-0 squalliduccio.
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Scott McTominay of Napoli acknowledges the fans as he celebrates victory following the Serie A match between Napoli and Cagliari at Stadio Diego Armando Maradona on May 23, 2025.
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Il mercato, certo. Romelu Lukaku e non più Victor Osimhen. Il bersagliere scozzese e non più Piotr Zielinski. Nel cuore del bunker, Alessandro Buongiorno erede del «fu» Kim Min-jae. Sulle fasce, David Neres quale alternativa a Khvicha Kvaratskhelia e, da gennaio, addirittura suo avatar. Perché sì, il trasferimento invernale del georgiano sembrò produrre fratture fatali. Nell’assetto tattico - anche per il modesto contributo del supplente Noah Okafor, riserva del Milan - e nei rapporti tra il capo supremo e l’incontinente salentino. In cassa piovvero 75 milioni. E in bacheca, l’ennesimo scudo: voto?
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Romelu Lukaku
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E’ stato un lungo, vibrante duello con l’Inter di Simone Inzaghi, la Dea del Gasp ad allertare modiche ronde. I neo-campioni hanno disputato, complessivamente, 41 partite, gli ex campioni 58. La differenza, senza nulla togliere alla cazzimma dei vincitori, aiuta a spiegare l’epilogo, oltre che la trama. Vero, l’Inter aveva due squadre e il Napoli una, ma la road-map verso Monaco e la finalissima di Champions con il Paris di Kavra ha succhiato energie, ha preteso cali di tensione.
Il calcio di Conte è efficacia, non filosofia. Cooperativa e non Luna park, nel solco dei gol pesanti firmati dal più leggero della banda, Giacomo Raspadori. La città adora gli eccessi scenici, e il fatto di avere per le mani una «sola» creatura, ne ha spesso solleticato l’ironia e, qua e là, la fantasia. De Laurentiis ora pappone ora istrione, in base alla legge dei risultati, la legge che accomuna, dacché mondo è mondo, i salotti e le mangiatoie.
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Aurelio De Laurentiis e Antonio Conte
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E’ stato lo scudetto della maturità, dei Volonterosi, della difesa (la migliore, avevate dei dubbi?). Se ti imponi ai punti, per un punto, dopo 38 round, non ci sarà episodio in grado di evadere dalle guerriglie dei social. Conte, inoltre, è il primo tecnico, in Italia, a spalmare gli scudetti (5) su tre società: Juventus, Inter, Napoli. Ci sarebbe anche Fabio Capello, tra Milan, Roma e Juventus, ma nel suo caso balla la confisca di Calciopoli.
Per concludere. I miei Oscar: 1. McTominay, 2. Lukaku, 3. Stanislav Lobotka. A parte, ça va sans dire, il mister: insofferente ai ristoranti da venti euro, salice piangente a ogni stormir di replay, la pupilla fissa sul mercato, in un’orgia di «Ammo ‘a faticà» e «’Cca nisciuno è fesso». Immagino la goduria di Adl: per una volta si è fidato dei giornali (l’allenatore non è un semplice io, è Dio), ha mollato Kvara agli sceicchi, si è imbertato un tesorone e ha sbugiardato gli scettici. Incluso, clamorosamente, il regista del suo ultimo Oscar.
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Conte: "Il campionato lo vince chi merita, 38 partite sono tante. In Champions invece..."
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