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Italia, la zona azzurra del ct Roberto Mancini: un passo alla volta, ma sempre di corsa

Roberto Beccantini

Pubblicato 16/11/2020 alle 17:19 GMT+1

NATIONS LEAGUE - "Nel Paese delle zone rosse, arancioni e gialle, dove le emergenze si tamponano, l'isola azzurra della Nazionale aiuta la nazione a credere in qualcosa, se non proprio in noi stessi. In compenso, non so dove potrà arrivare questa squadra: in rapporto al fuoco acceso, continuiamo a segnare poco".

Opinion, Italia-Polonia 2-0

Credit Foto Eurosport

Se della Nations League nessuno sentiva l'urgenza, prendiamoci il sorriso regalato, nel suo piccolo, dalla Nazionale di Roberto Mancini. Due a zero, ha demolito la Polonia a Reggio Emilia, è balzata in vetta al girone e se mercoledì a Sarajevo, contro la Bosnia, farà il dover suo, si qualificherà in pompa magna per la Final Four. Non è la prima volta che gli azzurri - 'questi', almeno - mi strappano dal divano. Sono giovani, hanno fame, giocano di prima, massimo due tocchi e, sempre sia lodato, corrono senza palla: dettaglio, cruciale, che aiuta persino gli elementi più in crisi a uscire dal labirinto: penso al Federico Bernardeschi juventino.
Mancava un sacco di gente, anche Leonardo Bonucci, ma proprio lì, nel cuore del bunker e al cospetto di un cliente del calibro di Robert Lewandowski, la squadra ha cominciato a fissare le insegne, "hic manebimus optime", con Francesco Acerbi e Alessandro Bastoni. Immagino Lewa: traslocare dalle munizioni del Bayern alla cartuccera polacca deve essere stato come mollare la Quinta Strada per il Sahara. In questi casi, è giusto brindare a patto di non ubriacarsi. Il ct Jerzy Brzeczek aveva escluso Piotr Zielinski e alzato un catenaccione vecchio come il gioco, come le facce dei suoi.
Fatico, tra i nostri, a trovare uno che non sia stato all'altezza: e se Gigio Donnarumma ha parato poco, mica colpa sua. C'era voglia di una partita così, generosa nel pressing ma non certo nell'arbitro, tutti al servizio di tutti, con Manuel Locatelli, Jorginho e Nicolò Barella padroni della manovra anche e soprattutto perché, semplicemente, la dettavano loro. Netto il rigore su Andrea Belotti, trasformato da Jorginho, splendida l'azione del raddoppio, firmato da Domenico Berardi, l'enfant du pays, al culmine di 27 passaggi (l'ultimo di Lorenzo Insigne, le bollicine che servivano). Il Mancio era a casa, in panca c'era Chicco Evani. Del ponte telefonico avrei fatto volentieri a meno (difendo i diritti dei "badati"); in compenso, non so dove potrà arrivare questa squadra, se alla fase finale della Nations League (probabile, ormai) o sul podio dell'Europeo. In rapporto al fuoco acceso, continuiamo a segnare poco: e non ci sarà spesso un avversario così timido e scarpone (Jacek Goralski, doppio giallo) a darci una mano, a crogiolarsi nella polvere.
Restano le tracce di calcio piacevole, di calcio moderno. Armonioso, direbbe Arrigo Sacchi. Con le speculazioni lasciate agli acrobati della borsa. E nel Paese delle zone rosse, arancioni e gialle, dove le emergenze si tamponano, l'isola azzurra della Nazionale aiuta la nazione a credere in qualcosa, se non proprio in noi stessi: impresa improba, visti alcuni governatori. A ognuno il suo. E una domanda: quanti gol farebbe un Lewandowski, a 32 anni, con quel popò di arsenale attorno? "Un passo alla volta", ecco il mantra del nostro mister. Ma sempre di corsa: una differenza non lieve, rispetto alle macerie che trovò nel 2018, quando tutti ci sentimmo perduti. Tutti, tranne lui.
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