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Caro Michele ti scrivo: ecco cosa sei per le Marche, ecco cos'hai lasciato nel cuore della tua terra

Giulia Cicchinè

Aggiornato 21/04/2020 alle 10:19 GMT+2

Un personale ricordo di Michele Scarponi, tra le lacrime dell'Italia e il dolore di una regione, le Marche, che ancora stenta a crederci. Il campione dell'Astana rappresentava in ogni singolo punto la sua terra e per questo che ad ogni pedalata dell'Aquila di Filottrano, c'era una regione intera, pronta ad esultare con lui. Una regione che oggi ha ancora il cuore spezzato.

Michele Scarponi

Credit Foto Getty Images

Caro Michele, ti vorrei scrivere e ti vorrei raccontare quello che vedo con i miei occhi, ti vorrei parlare di questo dolore che tutto il mondo del ciclismo sta attraversando e ti vorrei ringraziare di tutto quello che ci hai fatto vivere: da tifosa, appassionata, italiana e soprattutto marchigiana.
Così, se le lacrime e la tastiera mi assistono, ci provo.
Il 22 aprile 2017 mi sono svegliata nel “letto di Milano”, che non ha nulla a che vedere con le nostre Marche. Quando ti svegli e senti la salsedine nell’aria, fa tutto un altro effetto. Il cellulare vibrava, le notifiche all’impazzata e i social non facevano che parlare di te. Ho pensato: “Boh, avrà rilasciato qualche intervista delle sue prima del Giro”. Ma le notizie che ti vedevano protagonista, erano decisamente peggiori di come me le aspettassi. Eri volato via.
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Michele Scarponi

Credit Foto Getty Images

Ho chiamato mio padre, nelle Marche, e l’intera regione ti stava già piangendo.
Questa nostra terra, Michele, ancora oggi non trova pace. Abbiamo provato il dolore del terremoto solo qualche mese fa, con il terreno che ancora continua a ballare, non ci siamo fermati davanti all’inverno rigido che ha distrutto i nostri campi e con il cuore gonfio di quelle lacrime che da allora non si sono mai placate, siamo qui a piangerti.
Chi ci sta leggendo, Michele, penserà che siamo figli di una terra bucolica che dipingiamo in maniera quasi perfetta. Ma le Marche, per i Marchigiani, sono il paradiso terrestre. Ed è per questo che tu non te ne sei mai voluto andare da Filottrano. Chi ci sta leggendo poi, penserà che io sono una pazza a paragonare un disastro di un terremoto, a quello di una perdita umana.
E invece no, non sono pazza. Per chi vive nella realtà di una piccola regione basata sull’agricoltura e sul turismo, ogni campione è il frutto coltivato dalla nostra terra, dal nostro sudore e dalla nostra determinazione. Ci teniamo a dimostrare che casa nostra, seppur bellissima, ci mette davanti a difficoltà. Le stesse che tu, in sella ad una bici, sei riuscito a superare. Per chi, diciamocelo, vive con poco e senza grossi lussi nei piccoli borghi, avere campioni come te, nei quali riusciamo a rivederci, è motivo di vanto. Nel 2012, quando il Giro d’Italia partiva dalla Danimarca con una crono individuale, vederti pedalare vestito di Rosa ci ha riempito d’orgoglio. E quando ti chiamavano “Il Marchigiano”, per noi era pura soddisfazione. Uno dei nostri era nel gruppo del Giro d’Italia, e poi al Tour e in altre mille gare che noi guardavamo dal ciglio della strada, chi sul lungomare e chi tra le colline. Come quando eravamo piccoli, e uscivamo persino da scuola per vedere il gruppo sfrecciare.
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Tour of The Alps, 17 aprile 2017: Michele Scarponi vince la 1a tappa a Innsbruck

Credit Foto Getty Images

Provo a spiegarti meglio, Scarpa.
Sei sempre stato un umile lavoratore e incarnavi perfettamente il modo di essere Marchigiano. Testa china e pedalare, verrebbe da dire. Quel volto scavato dalla fatica di chi pedala, pedala e non molla mai. Attaccato alla tua terra, alla tua famiglia e alle tradizioni di questa nostra casa. Ma anche costante, determinato con la voglia di crescere e diventare autonomo pur restando un eterno Peter Pan. Quasi geloso di questa nostra terra, tanto da non volertene mai andare ma per via del lavoro, ti toccava farlo e portavi le Marche...fuori regione. Donavi cuore, sorrisi e battute a tutti. Per questo, la tua morte ci ha lasciato sbigottiti e sì Michele, è una tragedia che ancora una volta fa traballare le Marche e riapre le ferite che piano piano stavamo cercando di ricucire.
Al tuo funerale erano attese più di 7 mila persone. Eri uno del gruppo e uno del popolo. Eri uno di noi. E, con te, sono partiti i disegni dei tuoi bambini, la divisa e il caschetto (mai senza eh, mi raccomando) e dei ramoscelli di ulivo, per volere del tuo Fan Club.
Simboleggia le nostre terre, ma anche perché è una pianta resistente al caldo e al freddo, proprio come un ciclista, che soffre di tutto e non cede
E allora Michele, lasciatelo dire anche se sembrerà banale e inflazionato: stacci accanto.
Difendi la tua famiglia e abbracciala ogni giorno, veglia su quel gruppo di ciclisti che come te non fa che pedalare alla ricerca di un sogno. Continua a guidare gli amatori della domenica mattina, che uscivano solo per fare una sgambata con te tra le nostre colline. Ma su questo, Michele, sono abbastanza sicura e non mi vergogno nel dire che sono certa che, gira gira, non ci hai lasciato davvero.
Lo so, lo sto ripetendo ma certe volte vale la pena essere ridondanti. Tu sei qui in mezzo a noi e ci sarai in tutte le occasioni della vita dei tuoi splendidi bimbi e di tua moglie, nei ritiri dell’Astana e in tutte le cerimonie del foglio firma. In Italia e anche fuori.
Ci sarai nel vento.
Te lo dico perché quando se n’è andato mio nonno, che manco a farlo apposta era un ciclista e si chiamava pure Michele, mi hanno detto:
Lui non se n’è andato davvero, ti è accanto e lo sentirai nel vento. Quando in bici non riuscirai a fare le salite o banalmente quando ti peseranno i sacchetti della spesa mentre cammini su una ‘costa’ lui ti darà una mano
Ho sentito mio nonno. Quindi Scarpa, continueremo a sentire anche te.
Daje! Buon viaggio.
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