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Ciclismo - 51 anni fa nasceva Marco Pantani: l'eroe romantico del ciclismo moderno

Fabio Disingrini

Aggiornato 13/01/2021 alle 07:49 GMT+1

Campione fatale, anima fragile, ultimo eroe di un'Italia innamorata del ciclismo: mezzo secolo di Marco Pantani scorre nel ricordo di chi, per sempre, amerà quel suo modo unico di scattare in salita e consegnare le vette al mito del Pirata.

Pantani Re-Cycle

Credit Foto Eurosport

Se oggi Marco fosse vivo, ringrazierebbe tutti per gli auguri di compleanno. Sarebbe di poche parole. Ci farebbe un sorriso tenero, con gli occhi lucidi e quel suo sguardo squisitamente malinconico. Starebbe con noi per poco, il tempo necessario alla sua leale riconoscenza. Non era in città, mescolato ai comuni mortali, il conforto di Marco. Era un uomo di mare innamorato dei monti. Lassù si portava la bici e qualche pensiero, faceva da solo. Recitava la sua ascensione nei templi verticali del ciclismo: il Galibier, l’Alpe d’Huez, le vette sacre del Giro d’Italia.
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Marco Pantani al Giro d'Italia nel 1998

Credit Foto Getty Images

Pantani aveva un modo unico di scattare in salita, curvo e tagliente. E bellissimo. Attaccava fino all’ultimo metro, poi sollevava il busto fiero, schiudeva le labbra, alzava lo sguardo e chiudeva gli occhi. Marco è stato l’immagine più fedele, più degna, più emozionante del ciclismo moderno. Anche alla fine, dopo l’esclusione più controversa della storia sportiva: quando è tornato e sembrava messo male, però migliorava, migliorava, e alla fine sì, alla fine fu ancora indescrivibile.
Quattro generazioni di italiani hanno un ricordo di Marco e lo proteggono nel loro cuore. Niente li potrà separare dall’amore per Pantani, che oggi avrebbe compiuto cinquant’anni e Ayrton Senna ne avrebbe avuti sessanta. Due campioni immensi, uomini straordinari segnati da un destino tragico. Strappati alla vita quando avevano la stessa età, giovani e belli così per sempre nei nostri pensieri.
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19 anni senza Marco Pantani. L'impresa al Giro 1998

C’è chi pensa che dopo Marco il ciclismo sia caduto nel fango e non è stato più lo stesso. Chi dice che la Formula 1, nella sua pura estetica di rischi lirici e logiche ardenti, è spirata con Ayrton. Chi ha smesso le sue passioni nei sepolcri di Campiglio e Imola. Loro ci hanno dato tutto, erano i nostri eroi cortesi, avevano affinità elettive col mito, trattenevano rapporti esclusivi con la strada. Sapevano attendere, potevano solo vincere. Ci mancano tanto e tutto il tempo che ci separa da loro sarà per sempre una smisurata preghiera.
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