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Ciclismo, pagelle del 2020: Pogacar re della stagione, Ganna il migliore degli italiani

Marco Castro

Aggiornato 15/12/2020 alle 16:05 GMT+1

CICLISMO - In un anno straordinario, il corridore che merita il voto più alto è Tadej Pogacar, re del Tour a 22 anni. Giudizi stellari per Alaphilippe, van Aert e Roglic, andati fortissimo dall'inizio alla fine. Filippo Ganna è stato il simbolo del ciclismo azzurro, mentre Nibali ha faticato e di Viviani e Aru non si ricordano squilli. Dietro la lavagna gli organizzatori del Giro di Polonia.

Pagellone Ciclismo 2020

Credit Foto Eurosport

La Vuelta di Spagna ha mandato in letargo una stagione folle, inedita e non per questo meno spettacolare del consueto. Il meglio del grande ciclismo concentrato in tre mesi e spiccioli ci ha consegnato, come sempre, spettacolari gesta da fuoriclasse, piacevoli sorprese e amare delusioni. La Slovenia è salita alla ribalta con Pogacar e Roglic, van Aert e Alaphilippe hanno lottato su ogni terreno, Ganna si è consacrato a nuovo volto del ciclismo italiano. Per la prima volta nella storia non ci sono stati corridori italiani tra i primi cinque della classifica generale del Giro d'Italia e la Parigi-Roubaix ha dato forfait come non succedeva da quasi 80 anni. Nell'attesa, frenetica, di un 2021 che si spera essere meno complicato, diamo i voti ai grandi protagonisti di questa annata.
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Tadej Pogacar

Credit Foto Getty Images

Voto 10 a Tadej Pogacar, re di Francia

Pochi dubbi su chi merita il massimo dei voti. Quello che ha fatto Tadej Pogacar al Tour de France vale il prezzo del biglietto e l’azione nella cronometro alla Planche des Belles Filles resterà l'emblema di una stagione che, nonostante le sue fattezze straordinarie, ha regalato spettacolo come le precedenti. A 22 anni scarsi, questo ragazzo sloveno ha alzato l’asticella dopo il podio alla Vuelta 2019 e ha rivoltato la Grande Boucle come un calzino. Secondo corridore più giovane di sempre a vincere la corsa dei sogni, a oltre cent’anni dal pioniere Henri Cornet, quel che ha impressionato di più sono state le modalità dell’impresa. Contro un destino e una logica che lo volevano già a podio, lui non si è accontentato, sgretolando l’armata Jumbo Visma, di fatto da solo, e pedalando nella storia fino all’Arco di Trionfo. Ah, con quattro tappe complessive al Tour, due più classifica generale al Comunitat Valenciana e il titolo nazionale a cronometro, ancora contro Roglic. What else?
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Pazzesco Pogacar! Rimonta a La Planche des Belles Filles: il Tour è suo

Voto 9 a Roglic, Alaphilippe e van Aert, che non si fermano mai

Se Pogacar è il re, questi tre signori sono gli unici che meritano di sedere al suo tavolo. Uno sloveno, un francese e un belga, che non sono i protagonisti di una barzelletta ma il miglior spot che il ciclismo possa avere. Garanzia di spettacolo a ogni corsa a cui hanno preso parte, dall’alba al tramonto della stagione. Ma andiamo con ordine. Primoz Roglic è il deuteragonista di quel dramma meraviglioso – magari lui userebbe un altro aggettivo – che è stato il Tour de France. Perché se quell’assurdo finale l’ha retrocesso al secondo posto di una corsa che aveva in pugno, lui ha reagito da campione. Il colpo di reni alla Liegi, per cominciare, la seconda Vuelta di fila, per gradire. Sempre nel vivo della corsa, pure al Mondiale.
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Alaphilippe in solitaria: è lui il nuovo Campione del mondo

E a proposito di iride e di quell'iradiddio di un Julian Alaphilippe. Campione del mondo a Imola tra le lacrime e vero mattatore delle Classiche monumento, pur senza vincerne una. Secondo in volata alla Sanremo, secondo (e poi retrocesso) nel finale folle alla Liegi in cui aveva esultato, abbattuto da una moto quando si involava verso la volata a tre al Fiandre. Aggiungeteci una tappa vinta al Tour (bruciando Marc Hirschi, voto 7 alla nouvelle vague) e la Freccia del Brabante: onnipresente. E infine Van Aert, che fino a Parigi è stato il signore indiscusso del ciclismo. In saccoccia Strade Bianche, Milano-Sanremo, un titolo nazionale a crono, tappe sparse a Delfinato e Tour, poi due argenti iridati e il secondo posto al Fiandre dietro al grande rivale van der Poel (7,5 all'orgoglio di papà Adrie). Fenomeno vero il buon Wout, anche lui su ogni terreno.
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Primoz Roglic batte Julian Alaphilippe al fotofinish della Liegi-Bastogne-Liegi 2020.

Credit Foto Getty Images

Voto 8 a Filippo Ganna orgoglio italiano

Il 2020 è stato l’anno in cui ci siamo accorti che tra i fenomeni del ciclismo mondiale ha diritto di cittadinanza anche il ragazzone da Verbania. Su strada, naturalmente, perché nei velodromi lo era già da tempo. Filippo Ganna è il volto fresco, genuino e dirompente del pedale azzurro e se la stagione si chiudesse con una cerimonia, lui sarebbe stato di certo il nostro portabandiera. Il tricolore contro il tempo è stato l’antipasto, la crono da record alla Tirreno-Adriatico un avviso a tutti i naviganti. Un gigante tra i bambini ai Mondiali di Imola, per vestire la maglia più bella di tutte. E per finire, il Giro capolavoro. Tre tappe a cronometro, una in linea che ha portato molti a fantasticare sul suo futuro. Vestendo la ciclamino e la rosa, per una collezione di casacche senza eguali. Superpippo orgoglio nostrano, in una stagione in cui vanno citati con merito altri tre nostri portacolori. Diego Ulissi, uno che timbra sempre il cartellino quando la corsa diventa rosa. Giacomo Nizzolo, campione italiano ed europeo in linea, con una consapevolezza mai avuta. E Damiano Caruso, una vita da gregario ad alta quota premiata dal decimo posto finale al Tour e dallo stesso piazzamento al Mondiale.
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La pista, Imola, il Giro: il 2020 da record di Ganna

Voto 7 alla prima volta di Tao Geoghegan Hart

Da scudiero di Geraint Thomas a Re del Giro con un finale esaltante. Un cognome che tutti – o quasi – hanno imparato a pronunciare, perché Tao Geoghegan Hart è uno di cui ti innamori. Dalle difficoltà a causa di una foratura traditrice sull’Etna, quando il podio finale non era che una meravigliosa fantasia, alla cronometro di Milano, quella del sorpasso per appena 39 secondi su quel satanasso di Jai Hindley. In mezzo i capolavori di Piancavallo e Sestiere, oltre all’azione spaccagiro sullo Stelvio col fido Rohan Dennis, dove quasi tutti sono saltati per aria. L’ennesima bandierina del ciclismo britannico in un decennio clamoroso, irripetibile nei Grandi Giri. Wiggins, Froome, Thomas, Yates e ora anche Tao. Che storia.
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Giro 2020, Tao Geoghegan Hart (Ineos Grenadiers).

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Voto 6 a Sagan che onora il Giro alla sua maniera

Vedere Sam Bennett sfilare di verde vestito sugli Champs Elysées ha fatto un certo effetto. Peter Sagan battuto, per la prima volta sul campo, nella classifica a punti del Tour de France. Senza vittorie di tappa, tra l’altro. Eppure il fenomenale slovacco ha trovato comunque un modo per dare un senso alla sua stagione, per dire che lui, nonostante le critiche, ha ancora un ruolo da protagonista da recitare. La dichiarazione d’amore per il Giro è stata commovente. Per esserci alla corsa rosa, come aveva promesso da tempo, Peto ha rinunciato a tutte le Classiche del Nord che un calendario discusso aveva piazzato in concomitanza. E se anche qui ha trovato un velocista imbattibile – Arnaud Demare, voto 8 al plurivincitore del 2020 – lui ha risposto da fuoriclasse senza eguali. La tappa di Tortoreto, dove è andato in fuga nella prima ora di gara ed è giunto al traguardo tutto solo, chiamando il popolo del ciclismo dalla sua. Da brividi, come lui e la sua fantasia per estrarre dal cilindro conigli del genere.
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Voto 5 alla ruggine di Nibali

È dura giudicare con un voto insufficiente il simbolo del ciclismo italiano nell’ultima decade, colui che, nonostante i 36 anni appena compiuti, resta ancora il nostro punto di riferimento nelle grandi corse a tappe. Ma il 2020 di Vincenzo Nibali è partito col freno a mano tirato e non è mai decollato. Le dinamiche con cui si è sviluppata la stagione, poi, non hanno certo aiutato. La partenza con caduta alla Strade Bianche, poi un discreto Giro di Lombardia. Il rodaggio alla Tirreno-Adriatico e un Mondiale in cui ha abbandonato ogni velleità quando la corsa è entrata nel vivo hanno fatto da viatico al Giro. Iniziato con speranza nella sua Sicilia e concluso con un eloquente “vanno più forte di me” riferito a quei giovani terribili. Settimo comunque nella classifica finale, perché lo Squalo non molla mai. Ma con nuovi interrogativi che aleggiano sul crepuscolo della sua carriera. Meglio riprovarci o concentrarsi sulla Classiche di un giorno?
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Vincenzo Nibali, Joao Almeida - Giro d'Italia 2020, stage 18 - Imago pub only in ITAxGER

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Voto 4 alle difficoltà di Viviani

Si sapeva che il passaggio dai meccanismi impeccabili della Deceuninck-Quick Step alle dinamiche da affinare della Cofidis non sarebbe stato necessariamente rapido. E anche per lui, le difficoltà di un anno eccezionale hanno pesato più che per altri. Eppure la ripartenza agostana di Elia Viviani aveva lasciato ben sperare, con il secondo posto nella tappa d’esordio a la Route de l’Occitanie, dietro a Coquard. Poi, però, davvero poca roba. Indietro alla Sanremo, ritirato al Tricolore. Qualche volata discreta al Tour, anche se mai tra i primi tre. E ancora più in difficoltà al Giro, tolto il quinto posto a Villafranca Tirrena. Viviani non vince una corsa dal Giro di Slovacchia 2019, davvero troppo tempo. Uno zero alla voce successi che non gli era mai capitato nella sua gloriosa carriera da professionista. Da ritrovare.
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Voto 3 all’impalpabile Aru

Spiace per un corridore che appena tre stagioni fa era un faro del movimento italiano, ma i conti che si fanno a fine stagione iniziano ad essere ripetitivi. Fabio Aru continua ad essere un lontano parente del campione in grado di vincere la Vuelta e collezionare tappe ad ogni Grande Giro, in difficoltà dal punto di vista mentale ancor più che fisico. Il punto più basso della sua stagione è stato toccato al Tour de France, dove doveva correre in appoggio a Pogacar ma che invece ha finito con un prematuro ritiro durante la nona tappa. Con tanto di durissimo sfogo del ds della UAE, Beppe Saronni. Un momento di rottura insanabile che ha contribuito all’addio del sardo alla squadra emiratina per accasarsi alla Qhubeka-Assus (ex NTT). A 30 anni compiuti c’è ancora spazio per una rinascita? Sulla carta sì, ma la sensazione è che si tratti dell’ultimo treno buono. Coraggio!
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Voto 2 alla Movistar

Due, come le vittorie stagionali della squadra di Eusebio Unzuè (nel 2019 erano state 21). Ultima nella graduatoria delle squadre World Tour insieme alla Cofidis in questa speciale classifica. Il Team spagnolo, di fatto, non ne ha azzeccata mezza. A 40 anni, Alejandro Valverde ha dato dei naturali segni di cedimento. Troppo discontinuo Marc Soler, a cui comunque va il merito dei due successi stagionali. E perso Richard Carapaz, è arrivato un Enric Mas che, nonostante i prestigiosi quinti posti a Tour e Vuelta, non sembra avere carisma e personalità per fare il capitano. Un’annata da dimenticare, per tacere delle solite, astruse tattiche di gara nei momenti decisivi delle corse. E no, la conquista della classifica a squadre a Tour e Vuelta non è una consolazione.
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Enric Mas, Alejandro Valverde e Marc Soler

Credit Foto Getty Images

Voto 1 a un anno senza Roubaix

In una stagione funestata dal Covid-19, tante corse hanno dovuto alzare bandiera bianca. Con la riformulazione del calendario e la nuova Grand Depart del 1° agosto, però, sembrava che le competizioni più nobili potessero portare tutte a casa la pellaccia. Così non è stato. La Regina delle Classiche 2020 è svanita in una nuvola di polvere il 9 ottobre, due settimane prima del via. Non accadeva dal 1942, in piena Seconda Guerra Mondiale. Di certo il buco più clamoroso e doloroso dell’anno.
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Philippe Gilbert, ultimo vincitore della Paris-Roubaix.

Credit Foto Getty Images

Voto 0 alla sicurezza del Giro di Polonia

Il folle arrivo in discesa e le barriere fatte di cartapesta non sono una novità ma purtroppo stavolta sono costate carissimo al povero Fabio Jakobsen. A pagare, finora, è stato Dylan Groenewegen, squalificato per nove mesi come responsabile della caduta. Che dire invece di chi ha pensato ed autorizzato un finale del genere?
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