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Cent'anni sulle strade del Giro d'Italia, tra campioni ed eroi sfortunati

Alberto Coriele

Aggiornato 01/05/2017 alle 22:01 GMT+2

A pochi giorni dal via della corsa rosa, previsto per venerdì ad Alghero in Sardegna, ripercorriamo oltre un secolo di Giro d'Italia attraverso i corridori che hanno lasciato un segno, sia vincendo, ma anche rendendosi protagonisti di imprese non riuscite. I cosiddetti "eroi sfortunati".

2017, Miro Panizza, Bernard Hinault, Giro d'Italia 1982, LaPresse

Credit Foto LaPresse

La storia del Giro d’Italia è composta da eroi. Perché il ciclismo, per sua natura, si presta ad imprese epiche e ad altrettanto epiche cadute. "Per gli altri gli eroi sono tutti giovani e belli, tu cerchi quelli con la faccia sporca di fango, con la pelle cotta dal sole. Quelli con le biciclette lustrate come nobili cavalli", racconta il promo del Giro del centenario. Un Giro che raccoglie oltre un secolo di ricordi, di vincitori ma anche di eroi sfortunati, che il Trofeo Senza Fine l’hanno solo sfiorato, o hanno cercato il loro giorno di gloria tra le montagne, magari sfidando alle tormente di neve, senza trovarlo. Alcuni di loro sono stati campioni, il Giro lo hanno vinto, dopo aver fatto i conti con la malasorte. Altri hanno solo sognato, ma nella loro sfortuna hanno acceso l'entusiasmo.

Costante Girardegno

Girardengo fu uno dei protagonisti delle primissime edizioni del Giro d’Italia, nel primo dopoguerra. Nel 1920, alla seconda tappa, gli capitò di tutto: cadde, dovette superare diversi problemi meccanici e fu anche colpito dalla scure di una penalità per presunta irregolarità. Arrivò al traguardo di Lucca con un enorme ritardo, dodici minuti, che lo costrinse al ritiro nella giornata successiva. La sfortuna si prolungò anche per l’edizione successiva del Giro, nel 1921, quando il novese andò in crisi nei pressi di Rocca Pia, scese dalla bicicletta e segnò una croce nella polvere della strada, giurando che da quella strada non sarebbe più passato. Nel 1922, a completare un triennio nero per colui che per primo fu soprannominato Il Campionissimo”, le squadre Maino e Bianchi decisero di ritirare i rispettivi campioni Girardengo e Belloni dal Giro, privandolo dei due protagonisti principali.

Alfonsina Strada

Siamo nel 1924 e la storia di Alfonsina Strada da Castelfranco Emilia è qualcosa di unico nella storia del Giro d’Italia: fu l’unica donna a prendere parte ad una competizione per soli uomini. Molti hanno raccontato di lei, che sfidava le malelingue pur di seguire la sua passione sulle due ruote: in quel Giro d’Italia del 1924 la sua partecipazione fu tenuta nascosta per non alimentare tensioni, visto che la parità di genere tra uomo e donna era ben lontana dall’essere raggiunta. Nella tappa di Perugia, arrivò fuori tempo massimo per una serie di cadute e di forature, aggiunte alla fisiologica impossibilità di mantenere lo stesso ritmo dei colleghi. Ci furono discussioni in seno all’organizzazione, che decisa di escluderla dalla classifica del Giro, placando il clima di tensione che si era creato attorno a lei. Alfonsina decise comunque di portare a termine il Giro, pur fuori classifica, ed arrivò fino a Milano.

Alfredo Binda

Reduce da quattro vittorie del Giro d’Italia (1925-1927-1928 e 1929), Binda fu escluso dalla corsa rosa del 1930 per manifesta superiorià: fu pagato 22.550 lire dall’organizzazione per non prendervi parte e quando tornò, nel 1931, l’anno d’esordio della maglia rosa, cadde rovinosamente. Quello fu, nel 1931, un Giro funestato dalla malasorte che costrinse anche Learco Guerra al ritiro per problemi intestinali così come Marchisio, cha cadde allo stesso modo del Binda. Vinse Camusso.

Charly Gaul

Dopo l’impresa sul Monte Bondone nel 1956, quando Gaul spuntò da una bufera di neve che decimò il gruppo, nel 1957 sullo stesso Bondone si consumò una delle pagine più bizzarre di tutta la storia del Giro d’Italia. Il lussemburghese si fermò ad espletare un bisogno fisiologico e Luison Bobet lo attaccò, sfilandogli la maglia rosa, seguito da Ercole Baldini e Gastone Nencini. Fu proprio Gastone Nencini, il Leone del Mugello, a vincere la sfortuna di tre forature in dieci chilometri nella tappa da Levico ad Abano Terme, mantenendo la rosa fino a Milano.

Gianbattista Baronchelli

Nel 1974 Baronchelli, soprannominato Gibi, sfiorò l’impresa davanti al Cannibale Eddy Merckx: sulle Tre Cime di Lavaredo, staccò Merckx e andò quasi a strappargli la maglia rosa di dosso. Il Cannibale belga invece mantenne il vessillo del primato per soli dodici secondi. Dodici secondi che separarono Gibi dalla storia.

Freddy Maertens

Il belga stava dominando quel Giro d’Italia del 1977: aveva vinto sette dei primi undici traguardo, era indiscutibilmente in maglia rosa ma, durante la seconda semitappa dell’ottavo giorno di gara, cadde all’Autodromo del Mugello e si fratturò il polso. Disse così addio al sogno di vincere il Giro e, allo stesso tempo, non si riprese mai del tutto da quell’infortunio patito all’apice della carriera.

Miro Panizza

È stato scritto anche un libro sulla storia quasi eroica di Miro Panizza da Fagnano Olona. Cresciuto a Cassano Magnago, che è lo stesso paese natale di Ivan Basso, Miro (all’anagrafe Wladimiro) fu per una carriera intera un gregario straordinario, che volava in salita e a volte lasciava sul posto i capitani. In quel Giro del 1980, quando vestiva la maglia della Gis Gelati, il suo ruolo era da scudiero di Beppe Saronni che, nonostante sette vittorie di tappa, dimostrò di non avere le gambe per giocarsi la maglia rosa con Bernard Hinault. I sogni italiani si materializzarono dunque nella figura minuta di Panizza, scricciolo di un metro e sessanta per cinquanta chili scarsi. Si vestì di rosa per la prima volta a 35 anni, rispose colpo su colpo agli attacchi di Hinault fino a quando, sui tornanti dello Stelvio, il sogno del gregario che si faceva campione si infranse davanti allo strapotere del francese.

Silvano Contini

Bernard Hinault turbò i sogni di un altro varesino, quel Silvano Contini che si presentò al Giro del 1982 da fresco vincitore della Liegi-Bastogne-Liegi. Vinse una tappa a Pescara, alzò di nuovo le braccia al cielo a Boario Terme e staccò il francese, vestendosi di rosa. Hinault sembrava in piena crisi ed i francesi già lo stuzzicavano, chiedendogli se fosse in grado di mantenere un posto sul podio. Risvegliarono il vulcano: il giorno successivo, a Montecampione, Hinault fece la voce grossa e spezzò i sogni di Contini, due anni dopo quelli di Panizza.

Johan van der Velde

È l’anno del Signore 1988, l’olandese Johan Van der Velde si rende protagonista di una fuga incredibile sul Passo del Gavia, sommerso dalla neve. Giunto in cima, per non perdere tempo, si gettò in discesa senza pensare ad indossare una mantellina, a coprirsi in qualche modo con dei fogli di giornale. Mentre ancora la giuria valutava la possibilità di interrompere la gara, lui era già in picchiata verso la Valtellina, ma qualcosa non andava. Il gelo e la neve che gli invadeva il viso lo costrinsero a fermarsi: entrò in un camper che sostava a bordo strada, gli misero delle coperte addosso e lo fecero rinsavire con della grappa. Lo vestirono con un paio di maglioni e, incredibilmente, van der Velde riprese la tappa ed arrivò con 47 minuti di ritardo. Però arrivò.

Cadel Evans

Cadel l’australiano, come molti altri personaggi citati in questo pezzo, è stato un campione vero, vincitore di un Tour de France nel 2011 e di un Mondiale a Mendrisio nel 2009. Ma la sua storia al Giro è funestata e si radica nel lontano 2002, quando da giovane 25enne, si presentò da maggiordomo di Stefano Garzelli alla corsa rosa. A Corvara si ritrovò però in maglia rosa, quasi a sorpresa, ma nella tappa successiva si rese protagonista di una delle crisi più nere della storia recente del Giro: sulla salita verso il Passo Coe, gli si spense letteralmente la luce, arrivò al traguardo con 17 minuti di ritardo da Pavel Tonkov e 14 da Paolo Savoldelli, che poi avrebbe vinto quel Giro.

Ivan Basso

Due volte vincitore del Giro - nel 2006 e nel 2010 - negli occhi degli appassionati di ciclismo c’è ancora il suo calvario sullo Stelvio nel 2005. Sullo Zoldo Alto Basso si era vestito di rosa ma già il giorno successivo, per dei problemi intestinali, è costretto a lasciare la rosa a Savoldelli. Il culmine lo visse sullo Stelvio: in condizioni fisiche pessime, decise di non ritirarsi comunque e di onorare il Giro. Scollinò lo Stelvio con 19 minuti di ritardo, scese dalla bicicletta e indossò una mantellina aiutato da Bjarne Riis, arrivò a Livigno pagando 47 minuti dal vincitore Ivan Parra. Non mollò, rimase in gruppo e si riprese vincendo poi due tappe, a Limone Piemonte e a Torino, a cronometro.

Axel Merckx

Il solo fatto di portare quel cognome è un peso non indifferente. Non è mai stato un campione come il padre, bensì un buon gregario: nel 2006, da Termoli a Peschici, lui è in fuga, passa sotto la Flamme Rouge da solo dopo una giornata intera in avanscoperta e ci resta fino a 150 metri dal traguardo, quando da dietro arriva Franco Pellizzotti a spezzare i sogni di gloria del belga figlio d’arte.

Steven Kruijswijk

Storia recente, recentissima. L’olandese dalle spalle grandi è in maglia rosa, sorpresa delle sorprese in un Giro d’Italia che vive la mezza crisi di Vincenzo Nibali ed il dualismo tra un olandese, lui, ed un colombiano, Esteban Chaves. Sulla discesa del Colle dell’Agnello, Kruijswijk sbaglia traiettoria e finisce dritto addosso ad un muro di neve. Cade, perde diversi minuti e, in un colpo, la maglia rosa e le speranze di vincere il suo primo grande Giro in carriera.
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