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Giro d'Italia 2020: lo Stelvio, dove osano le aquile

Fabio Disingrini

Aggiornato 22/10/2020 alle 19:32 GMT+2

Il mito del Giro d'Italia, Cima Coppi per eccellenza, montagna sacra del ciclismo: la 18ª tappa della Corsa Rosa va sullo Stelvio dal versante più duro, quello altoatesino che sale dal Prato, tessendo una storia di tornanti e venticinque chilometri di ascesa lungo una strada che s'arrampica fino in cielo. Nel ricordo di chi, Coppi e Gimondi, Scarponi e Pantani, ci guarda da lassù.

Passo dello Stelvio: una serpentina verso il mito (Phil Galloway)

Credit Foto Eurosport

All'origine del mito, lo Stelvio è già "Cima Coppi"

Stelvio, la montagna sacra del ciclismo. Venticinque chilometri di salita lungo una strada che s'arrampica fino in cielo. La rotta del Giro d'Italia ha un cerchio rosso sulla diciottesima tappa, da Pinzolo ai Laghi di Cancano, 207 chilometri con partenza in salita a Campo Carlo Magno che porta in Val di Sole, poi l'inedita scalata del passo Castrin dalla Val d'Ultimo alla Val Venosta verso lo Stelvio atesino (25 km di cui metà oltre i 2000 metri d'altezza, al 7.5% di pendenza media e 12% di massima) e un traguardo in cima alle scale di Fraele. Un martirio alpino nella terra di mezzo: cantami, o Diva, dei corridor che fecero l'impresa.
Il Giro d'Italia ha scelto il suo simbolo e non poteva che essere la Cima Coppi, dal nome di chi per primo ha esplorato il confine umano e poi l'ha superato: Fausto solo al comando col suo telaio celeste e la grazia del Campionissimo. Il primo conquistatore a due ruote dello Stelvio.
La struttura morfologica di Coppi, se permettete, sembra un'invenzione della natura per completare il modestissimo estro meccanico della bicicletta. (Gianni Brera)
Nel 1953 la sfida è tra Coppi e Hugo Koblet, il pedaleur de charme venuto dalla Svizzera e primo vincitore straniero della Corsa Rosa. Tra i nasi aspri e i volti segnati di Fausto e Ginettaccio Bartali, Koblet sembra un angelo biondo che pedala in frac con questa sua straordinaria eleganza e il pettine nel taschino. Notevole seigiornista, Hugo va forte contro il tempo e a Follonica, il 18 maggio 1953, fa tappa e maglia a cronometro. Tredici giorni dopo, la Regina delle Dolomiti li chiama a una sfida immensa e qui Coppi e Koblet stringono un patto: «Hugo, se mi fai vincere la tappa, domani non ti attacco sullo Stelvio», così che Fausto alza le braccia al cielo sul traguardo di Bolzano scortato dal Falco biondo.
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Fausto Coppi fu il primo sovrano dello Stelvio nel 1953

Credit Foto LaPresse

La notte prima dello Stelvio è insonne. Coppi sveglia prima Biagio Cavanna e poi, verso l'alba, il suo meccanico, il Pinela De Grandi, per farsi montare sulla bici un rapporto estremo: 46x23. Passano le ore e al raduno di tappa, sotto il cielo plumbeo di Bolzano, Koblet si presenta con un paio di occhiali scuri che destano sospetto. Ettore Milano, che ha vinto la frazione di Napoli ed è compagno di Coppi nella Bianchi, chiede a Koblet una foto ricordo: Hugo si sfila le lenti e i suoi occhi sono tremendamente gonfi: chissà se per la fatica dei valichi, per lo champagne o la dolce colpa di una complice cortese. Sta di fatto che Coppi ha stretto un accordo e che ai piedi dello Stelvio, nel quintetto di testa con Bartali, Fornara e il giovane Defilippis, c'è anche Koblet. La strada è tortuosa e Fausto non può attaccare, però invita all'azione Defilippis, che non è in squadra con lui ma ha vent'anni... e alla prima sillaba del Campionissimo s'è già alzato in piedi sui pedali a testa bassa e pugni stretti sul manubrio. Koblet vede Defilippis sfrecciargli a fianco e senza voltarsi si getta all'inseguimento. Coppi replica, chiude Koblet, guarda fiero Ninetto e si libra in volo. Fausto sale in vetta con 4 minuti e 27 secondi di vantaggio su Koblet, poi scivola in discesa; lo svizzero cade due volte, fora e giunge sfinito sul traguardo di Bormio. Il giorno dopo a Milano, mentre Coppi vince il suo quinto e ultimo Giro d'Italia, Koblet dice d'aver perso dal più grande ciclista di tutti i tempi: il 1953, con l'iride ai Mondiali di Lugano e il trionfo del Vigorelli contro Patterson, è l'apice della carriera del Campionissimo.
Storie dell'Airone di Castellania, del Falco Biondo e del loro veloce volo. Lo Stelvio è appena stato scalato per la prima volta ed è già un mito.

Dove osano le aquile: in memoria di Michele Scarponi

Dal 1965, la vetta più alta di ogni edizione del Giro d'Italia prende il nome di Cima Coppi e nessuna montagna tocca il cielo come lo Stelvio, quota 2758 metri. Un cielo alpino, terso, dove volteggia l'Aquila di Filottrano: Michele Scarponi non c'è più. È capitata questa cosa tremenda, l'incidente, il silenzio, le dita tremule sulla tastiera. Un anno fa, Michele è stato l'ultimo vincitore della Cima Coppi con quella magnifica scalata del Colle dell'Agnello: è salito in cima, ha carezzato l'impresa, poi s'è fermato ad aspettare il suo capitano, Vincenzo Nibali, che doveva vincere il Giro rovesciandolo dal suo epicentro. Quel giorno, il 27 maggio 2016, Scarponi ha svelato tutta l'umanità del ciclismo: domani il suo sorriso ci mancherà a ogni podio firma e l'aspetteremo su tutti i traguardi. La visione che avevi dell'amore, la tua ironia, e chissà dove sarai. Ciao Michele.
Scarponi è stato l'ultimo scalatore della Cima Coppi: il primo, con traguardo di tappa sullo Stelvio, fu Graziano Battistini. La corsa si fermò a ottocento metri dal Passo bloccato da una slavina. Era il 1965 e Felice Gimondi debuttava tra i professionisti alla prova del gigante.
La prima volta che ho fatto il Giro, ero sullo Stelvio coi primi del gruppo quando è venuto giù un muro di quattro o cinque metri di neve. Siamo scesi dalle bici e ce le siamo caricate in spalla per scavalcare la neve e avanzare verso la cima.
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Felice Gimondi e il ricordo del Passo dello Stelvio bloccato da una slavina nel 1965 (Phil Galloway)

Credit Foto Eurosport

Nella voce gentile di Gimondi e in quegli occhi grati ai pedali c'erano 3 Giri d'Italia, un Tour de France, una Vuelta a España, il Mondiale di Barcellona, due Lombardia, la Milano-Sanremo e la Parigi-Roubaix. Per lui, lo Stelvio significava tanto e dieci anni dopo il suo esordio il Passo è l'ultimo arrivo della Corsa Rosa: Gimondi stacca Battaglin nel finale, ma in vetta c'è già Francisco Galdós, spagnolo come José Manuel Fuente che per tre anni successivi ha dominato la Cima Coppi: Passo dello Stelvio, Passo Giau, Tre Cime di Lavaredo, 1972/74.
«Fuente fumava prima della tappa e c'aveva il fazzolettino qui sul braccio, era impressionante, scalava con dei rapporti durissimi». Di quest'epica iberica parla il Magro, pardon Riccardo Magrini, che nell'anno di grazia 1983 ha vinto una tappa al Giro d'Italia e al Tour de France, e oggi del ciclismo è voce narrante unica nel suo genere: «Nel 1975 ero dilettante e l'ultima frazione del Giro la ascoltai in radio perché ci fu un problema televisivo. Fausto Bertoglio vinse su Galdos quella mitica edizione col traguardo sullo Stelvio».
Nel 1980, Bernard Hinault partecipa per la prima volta al Giro e lo vince subito: Le Bleireau è reduce con altri venti (dei 174 iscritti!) da una Liegi-Bastogne-Liegi in trionfo nella tormenta di neve ed è sempre la neve ad accompagnarlo sullo Stelvio in un’ascesa mitica con il suo connazionale Jean-René Bernaudeau, vincitore di tappa a Sondrio.
La montagna sacra torna nel 1984, ma Torriani blocca il passaggio ridisegnando il tappone: «Per i maligni, lo Stelvio fu cancellato perché Moser era in maglia rosa, in realtà c'era un pericolo valanghe e il Passo era intransitabile per neve (succederà anche nel 1988, ndr). Lo Stelvio è la parte mitologica del Giro: quest'anno, con la doppia scalata, sarà una tappa bellissima, qualcosa di magico».
È in giorni come questi che si scrive l'epica perché quelle montagne t'incutono sempre timore. Pensi a chi ci è passato, ai grandi campioni e ai gregari staccati di minuti se non ore: se guardi a fondo classifica, c'è gente che alla fine ha fatto una tappa in più!
I ricordi di Magrini si trasformano in immagini: «Una corsa in bicicletta racchiude migliaia di storie: dal massaggiatore che prepara le borracce, al meccanico che fa la corsa fuori dall'ammiraglia; dal gregario che suda fatica per il capitano, al direttore sportivo che deve studiare ogni dettaglio. Senza considerare il pubblico che va sullo Stelvio la mattina presto in mezzo alla neve: ma perché lo fa? Per veder passare il corridore per un secondo? Bisogna avere una sensibilità pazzesca, poi però quando succede ti vengono i brividi: chi ama il ciclismo lo sa».
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Passo dello Stelvio, una serie di tornanti unici

Credit Foto Getty Images


Passo dello Stelvio: la salita del Giro, la salita di tutti

Prima di vincere il Fiandre e poi altre 4 Classiche Monumento, Michele Bartoli attaccava le montagne del Giro con l'ardore dei giovani luogotenenti. Correva l'anno 1994 e oggi il suo ricordo si ferma sullo Stelvio: «Ci sono salite molto più dure, ma lo Stelvio per me è stata la scalata peggiore perché è interminabile. Lo Stelvio è una salita che, se viene affrontata in maniera forte e decisa per far selezione, è tra le più più provanti al mondo perché già dopo i primi duemila metri, si fa fatica a respirare e già ti sembra un colpo di grazia. Del resto è questo il bello del ciclismo: la resistenza dell'atleta, che rende lo Stelvio una salita magnifica».
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Altimetria: la salita verso il Passo dello Stelvio

Credit Foto Eurosport

Muri bianchi, strade taglienti, tornanti di ghiaccio, freddo estremo. L'ultima volta che la Salita dello Stelvio è stata cancellata, Vincenzo Nibali ha spostato l'epica sulle Tre Cime di Lavaredo, con la la sua maglia rosa coperta di neve per una delle imprese più straordinarie del ciclismo moderno. Era il 2013: quattro anni dopo, la montagna sacra si prepara a scrivere un'altra pagina. «Le strade che portano allo Stelvio riaprono ogni anno a fine aprile per essere pronte al pubblico del Giro: quest’anno c'è solo un po' di neve da sgomberare nella parte alta con circa un metro e mezzo a bordo strada». Il Passo dello Stelvio, a 2758 metri d'altezza, annulla le stagioni: «Anche in un'annata strana con poca neve non è da escludere, anzi è previsto che nevichi nei prossimi giorni!». Umberto Capitani è il direttore degli impianti di risalita al ghiacciaio che, da fine maggio fino ai primi di novembre, ospiterà campioni dello sci come i norvegesi Jansrud e Kristoffersen, verso le Olimpiadi di PyeongChang: «Loro si allenano qui, dove l'inverno è al contrario».
Lo Stelvio non è solo la salita del Giro d'Italia: è la salita di tutti i ciclisti in pellegrinaggio sulla montagna sacra. Andrea Maiolani è il direttore dell'Unione Sportiva Bormiese che organizza la Granfondo Stelvio Santini e la Re Stelvio insieme a Mapei: «La Granfondo presenta un percorso di 150 chilometri con ultima salita dello Stelvio dal versante di Bormiomentre la Re Stelvio è una cronosalita di 21 chilometri, gli stessi che saranno affrontati dai corridori del Giro d'Italia». Il giorno della Re Stelvio la scalata si fa anche di corsa, o con la E-bike a pedalata assistita: «È un altro modo pulito di godersi la salita in un ambiente di pregio paesaggistico, perché ci sono corridori amatoriali che partecipano alla prova agonistica accompagnati alla Re Stelvio da mogli e figli, cui doveva essere data la stessa possibilità». Perché tutti possano arrivare in cima e dire di aver «scalato una montagna che rientra nel canone della leggenda».

La discesa di Girardengo e Pantani

Professionisti e amatori si uniscono nel sudore e nella logica esistenziale del ciclismo. Gli arditi della Re Stelvio si godono quel bellissimo istante che è la discesa dopo la passione della salita, mentre noi scolliniamo in cima allo Stelvio con le parole di Michele Bartoli: «La discesa è abbastanza tecnica da entrambi i versanti perché ci sono molti curvoni e tornanti: una discesa da saper impostare e leggere che però non è pericolosa. Posso dirlo perché l'ho fatta al limite nel 1994 quando ero compagno di squadra di Casagrande che faceva classifica e doveva rientrare: sì, siamo andati giù proprio a tutta!». Certo che vent'anni dopo l'evoluzione del ciclismo ha convertito la discesa in una scienza esatta, assioma di oltranze meccaniche, dettagli aerodinamici, freni a disco e posture estreme. Basti vedere il miglior discesista di oggi, Vincenzo Nibali, o ripensare all'inventore della disciplina moderna: Paolo Savoldelli che della discesa è il miglior interprete di ogni tempo.
Savoldelli ha vinto due volte il Giro d'Italia (2002 e 2005) e la tappa dello Stelvio partirà da casa sua, da Rovetta, quando il Centenario avrà già celebrato le leggende del ciclismo sulle strade della Corsa Rosa. Ponte a Ema sarà un chilometro zero in onore di Gino Bartali che per la storia d'Italia non si può dire solo un ciclista: «È un tributo del Giro al campione toscano che, per il momento storico in cui ha corso, è stato un eroe nazionale. Un vero e proprio motivo di vanto per la nostra regione», dice Bartoli.
GIRO D'ITALIA, I SIGNORI DELLO STELVIO
Abbiamo trovato il nuovo Bartali (!?)
«Gino Bartali rappresenta il ciclismo perché da giovane, ovunque tu andassi ad allenarti, da lì c'era già passato Bartali – Riccardo Magrini sente il rumore delle ruote, ricorda –. Ho conosciuto Gino quand'ero un corridore, dispensava consigli e ci voleva bene. La sua toscanità ha fondato una vera e propria scuola: da Alfredo Martini al Coppino Carlesi, la Toscana è stata una linfa di corridori. Certo che Bartali è stato un po' scalfito dalla morte prematura di Coppi, eppure merita la stessa esaltazione di Fausto perché è stato un fuoriclasse, e poi ha avuto una portata civile inestimabile, un campione anche a livello umanitario. Mi ricordo quando dovevo passare professionista nel '74 dopo i Mondiali juniores di Montreal e Franco Calamai della 'Gazzetta' scrisse: Abbiamo trovato il nuovo Bartali. Sai che non mi fece proprio piacere, perché quell’accostamento era davvero troppo grande».
Da Firenze per Bartali a Selvino per Gimondi, poi a Tortona sulle strade di Costante Giradengo, che del ciclismo italiano è la prima grande leggenda. Lì vicino ci sono due santuari: quello laico di Castellania e la sacra basilica di Oropa, come una tappa ciclostorica dalla partenza al traguardo, è la linea magnifica di ottant'anni di ciclismo: nel 1919 a Castellania nasce Fausto Coppi; nel 1999, il Santuario di Oropa diventa Montagna Pantani. Ma il Giro aveva già svelato la grazia del Pirata cinque anni prima nella tappa dello Stelvio: quel giorno, il 5 giugno 1994, Pantani è fresco di successo a Merano e al podio firma c'è anche Wladimir Belli: «Fu una frazione durissima per le salite e il chilometraggio. Mi ricordo le parole del mio direttore sportivo Pietro Algeri (Lampre, ndr)…
A Trafoi inizia la salita e poi ricordati: quando esci dal bosco non guardare in alto!
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Passo dello Stelvio: una serpentina verso il mito (Phil Galloway)

Credit Foto Eurosport

«Partiamo, fra scatti e controscatti sei a già a quota duemila, accusi la salita, l'altura e poi vedi gli "indiani" (gli spettatori in gergo, ndr) che riempiono la strada e sei nel vivo e il pubblico grida, e i tornanti t'invitano per istinto naturale a guardare in alto, come mi avevano detto di non fare: lì ho capito che cosa potesse significare fare lo Stelvio». La tappa è bellissima: sul Mortirolo Belli e Chiappucci hanno mezzo minuto di vantaggio, ma sulle pendenze più dure arriva Pantani che è compagno di squadra del Diablo: «Lì s'è capito il suo carattere e la sua convinzione, perché rientrando su di noi ha tirato dritto fra gli urlacci di Chiappucci che era il suo capitano». Sì, Marco tira dritto, va in fuga, sale a Santa Cristina, vince ad Aprica, non si ferma più. Come quando diceva a Belli - che in quella tappa fu terzo - «Belù, oggi allaccia le cinture».
Girardengo, Coppi, Bartali, Gimondi, Pantani: miti d'Italia che il Giro esalterà. «La parte celebrativa della maglia rosa è doverosa. Oggi c'è poca memoria ed è giusto che ci siano dei luoghi dedicati a chi ha fatto la storia del ciclismo». Parola di Gianni Mura. Amen.
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Passo dello Stelvio, 2758 metri di neve e mito.

Credit Foto LaPresse

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Giro d'Italia 2020, tappa 18: Pinzolo-Laghi di Cancano, percorso in 3D


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